In tempi di spaesamento e di grandissimo sconforto, di delocalizzazione spinta di ogni relazione sociale, "fare mente locale" significa rammemorare l'orientamento, ridefinire i contesti delle proprie esistenze nel dialogo congeniale con i luoghi ove esse si danno.
Reimparare ad abitare è, per noi, la posta in gioco nella partita contro la megamacchina dell'estraneazione che è la società di capitale.
E proprio la questione dellabitare che oggi torna, seppur ancor nascostamente e spesso in modo distorto, al centro della riflessione di chi sente l'insostenibile peso e la trasparente violenza della condizione moderna, del suo accelerare verso "nuove" forme di "flessibilità" (siano esse relative al salario o alle mansioni o, ancora, al domicilio o all'etica); del suo evolvere nel senso della monocultura del profitto che, appunto, a se ogni cosa flette; del suo annichilire i luoghi nella riproduzione di questa materia sociale; della sua volontà di potenza che è volontà coloniale, pervasività delle sue forme di dominio.
Come riprendere, quindi, la via dell'abitare occultata dalle abbacinanti trasparenze dei rapporti sociali dominanti? Come abitare?
Se la risposta del Capitale a quest'ultima domanda appare già data nei suoi processi di "globalizzazione" dell'economia e di "mondializzazione" dei suoi presupposti culturali, che attualmente spingono alla moderna Europa di Maastricht, la nostra risposta è, invece, ancora in formazione e per lo più si dà al negativo o in forma interrogativa. Sappiamo bene ciò che non vogliamo e, nello stesso tempo, fatichiamo ad uscire da quella che ci è continuamente rappresentata e spesso ci appare come lunica storia possibile.
Deficitiamo, in sostanza, di visioni attive. E ciò non è certo un caso essendo questa deficienza il prodotto specifico dell'immaginario moderno dominante.
Come prodursi, quindi, in visioni attive? .....
(continua)