La Stampa
Venerdì 27 Luglio 2001
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Il gran ritorno di Massimo, con l’elmetto
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«Rimpiango la Dc, almeno era un partito
democratico»
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ROMA
UN discorso impetuoso, uno dei più duri pronunciati contro un governo da molti anni a
questa parte. Tredici minuti così non se li aspettavano neppure i suoi compagni di
partito e quando Massimo D’Alema ha scandito l’ultima parola, dai banchi dei ds,
(ma anche da quelli della Margherita e di Rifondazione), si è alzato un applauso
liberatorio e prolungato, che è diventato ovazione. In meno di un quarto d’ora D’Alema
ha distillato parole di straordinaria asprezza: «Il rifiuto di una indagine autorizza a
sospettare che non si tratti soltanto di voler coprire responsabilità», «ma che atti di
violenza abbiano avuto la copertura, se non forse incoraggiamento» politico. D’Alema
alludeva forse al passaggio di alcuni parlamentari di An nella sala operativa della
Questura di Genova nelle ore più calde? Difficile dirlo, ma subito dopo l’ex
presidente del Consiglio ha scandito una frase fortemente allusiva: «E’ come se si
fosse lungamente attesa la possibilità di consumare una vendetta politica!».
Con queste premesse, quasi naturale - per D’Alema - definire le «rappresaglie»
della polizia di tipo cileno e di segno fascista, mentre assai meno prevedibile - e molto
dalemiano - è stato il passaggio più caustico di tutto l’intervento: «Ho visto che
oggi il ministro dell’Interno rimpiange il pci... Noi rimpiangiamo la democrazia
cristiana, che era un partito democratico e con la quale non si era esposti a rappresaglie
sugli arrestati!». Tre ore più tardi, stavolta in maniche di camicia, Massimo D’Alema
ha concesso il bis all’assemblea della sua «corrente» al teatro Brancaccio: «Non
è tollerabile che in un posto di polizia di un paese democratico siano massacrate delle
persone» e dunque occorre «riportare l’opposizione su una linea di combattimento».
Dunque, un D’Alema con l’«elmetto» che con due discorsi in parallelo - uno in
Parlamento e uno ai quadri ds - prova a riprendere il timone: in una volta sola, prova a
tracciare la rotta sia all’opposizione parlamentare che al suo partito. Il messaggio
più forte è rivolto alle incerte truppe dell’Ulivo. Nelle ultime 48 ore l’opposizione
in Parlamento era apparsa divisa, incerta se presentare o meno una mozione di sfiducia nei
confronti del ministro dell’Interno. Un mix di indecisionismo e di durezza che aveva
consentito alla maggioranza di alzare un muro, confortata a quanto pare, anche da sondaggi
favorevoli alla linea dura. D’Alema ha provato a sfondare quel muro di gomma con un
discorso particolarmente puntuto, intervenendo nel dibattito seguito all’intervento
del ministro degli Esteri sui risultati politici del vertice di Genova.
L’incipit dalemiano è un doveroso riconoscimento «all’utilità dei G8» e una
rivendicazione puntigliosa dell’azione dei governi dell’Ulivo in merito alla
presenza a Genova di Kofi Annan, al dialogo con le organizzazioni non governative, al
documento sulla riduzione del debito. Poi partono i primi «missili»: la nuova
collocazione internazionale dell’Italia come ponte tra Europa e Usa? D’Alema
definisce l’idea «curiosa e velleitaria». Con un esito possibile: quello di
«isolarci in Europa». Ma le parole più dure, D’Alema le usa quando decide di
deviare dall’argomento del dibattito parlamentare, affrontando la gestione della
piazza da parte delle forze dell’ordine.
D’Alema traccia subito un muro, etichettando i «gruppi violenti» come «nemici
della democrazia», una definizione che provoca l’applauso di tutte le opposizioni,
tranne di quella di Rifondazione. Per il presidente dei ds, il rifiuto dell’indagine
conoscitiva «appare curiosa da parte di una maggioranza che pretende di promuovere
Commissioni di inchiesta a raffica sui comportamenti passati dell’opposizione». Poi
l’affondo. Rivolgendosi direttamente a Ruggiero: «Da ogni parte viene una denuncia
di violenza intollerabile: la stampa internazionale, che lei sicuramente segue, la Camera
penale di Roma e l’Unione delle Camere penali denunciano intollerabili violazione di
diritti costituzionali. Dove sono i garantisti? Dove è l’avvocato Pecorella?».
E ancora: «L’ambasciata di Germania ha annunciato l’avvio di un’indagine
sul trattamento nelle carceri italiane dei cittadini tedeschi... un’indagine che
farà l’ambasciata dato che è impedita al Parlamento dell’Italia!». Al termine
della raffica più intensa, ricca di aggettivi e di rimembranze (era meglio la dc), il
presidente dei deputati An Ignazio La Russa interviene sul presidente della Camera Casini:
«E’ un dibattito senza orologio, presidente...». Il verde Marco Boato: «Poi
interromperemo anche voi, quando parlerete!». Pietro Armani di An: «Stai zitto!». D’Alema:
«Ho apprezzato che lei sia stato nominato ministro degli Esteri con l’evidente
intenzione di tutelare l’immagine internazionale dell’Italia: compito importante
anche se non semplice...».
Poi il trasferimento all’assemblea del Brancaccio: qui D’Alema è stato accolto
con un battimani scrosciante. Ai quadri del suo partito il presidente ds bissa il discorso
fatto tre ore prima a Montecitorio, con il risultato di galvanizzare una corrente che si
colloca al centro del partito e che dopo il fiammeggiante discorso di D’Alema,
probabilmente non sente più alcun «complesso di inferiorità» nei confronti del
correntone di sinistra-centro.
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