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14° Festival Mondiale della Gioventù e degli Studenti

Undicimila giovani da 130 paesi, ospiti di un popolo intero

«Esto festival es un golpe muy duro por los Estados Unidos y por los capitalistas». Così ci accoglie Mari, una ragazza della UJC (la gioventù comunista di Cuba), che ci guida nel Barrio di Cojmar. Qui nella villa panamericana, una sequenza di fabbricati di recente costruzione fatti con il lavoro volontario, ci attendono i comitati di accoglienza delle famiglie che ci ospiteranno.

L'atmosfera è quella delle grandi occasioni: è un paese che, pur essendo povero, dona una parte di sé ai delegati di tutte le latitudini. Non è propriamente uno scambio, alla solidarietà internazionale i cubani hanno offerto la loro più intima dignità. A pochi metri da qui si è concluso, con il discorso di Fidel allo stadio panamericano, il XIV festival della gioventù. I delegati dovevano essere 5 mila, alla fine saranno più di 11 mila: una invasione pacifica che ha travolto il bloqueo, l'embargo statunitense, dando un'ennesima dimostrazione della vitalità straordinaria della rivoluzione che dura da quasi quaranta anni. La folla di delegati, giovani e squattrinati, è stata ospitata dall'intero popolo, tutti sanno cos'è e dov'è il festival, a testimonianza di una partecipazione realmente popolare. Qualcosa di più di un enorme sforzo organizzativo, come possono testimoniare i delegati che hanno visitato le altre provincie dell'isola.

A Santiago, meta di qualche giovane comunista, l'arrivo è stato tutto un tripudio di bandiere e una mediazione del carnevale tra due ali di folla, gli increduli delegati venivano accolti danzando e cantando; persino gli algidi coreani si sono accorti del calore del popolo della provincia da cui partì la rivoluzione: l'assalto alla caserma Moncada; lo sbarco del Granma, la Sierra maestra. All'Avana gli incontri si succedevano freneticamente: al palazzo delle convenzioni o al Mirex (il ministero degli Esteri), all'università o presso una casa-club (ce n'era una per continente).

I dibattiti si sono alternati agli incontri, alle mostre, ai video e ai concerti. Si viaggia davvero senza spostarsi, tante sono le facce, i colori e i suoni che si intrecciano. C'è però un tratto comune, un segno di appartenenza: voler cambiare il mondo, come il Che, che trent'anni fa cadde in una selva sperduta della Bolivia, nascendo argentino e vivendo per la rivoluzione a Cuba. Qui non ci sono barriere e si può "guardare il mondo con gli occhi del Che, sognare gli stessi sogni" come dice Hebe Bonafini, la leader delle Madres de Plaza de Mayo che da vent'anni, ogni giovedì, vanno in piazza, con i fazzoletti bianchi calati sulla testa per non cedere al vento il ricordo dei loro figli desaparecidos, scomparsi nell'Argentina dei generali. Questa volta la loro piazza è stata però Plaza de la Revolución: per vincere con Cuba una scommessa di libertà, per essere più libere, magari anche solo di piangere i propri morti. Al tribunale antimperialista, come negli altri incontri, hanno raccontato le lotte per la liberazione e le guerre quotidiane per ottenere quelli che Frei Betto ha giustamente definito "diritti animali": acqua, cibo e diritti essenziali alla sopravvivenza di più di un miliardo di uomini e di donne è stato un percorso in immersione quello fatto: incontri una guerrigliera ventenne, un profugo del popolo che non c'è dei sarawhi (ma i sarawhi ci sono e lottano da secoli contro le barbarie di decine di invasori), un sem terra brasiliano o una radicale americana, certo è che sentirsi dire in faccia come si può morire di globalizzazione è impressionante, anche se te lo dicono in una lingua impronunciabile: lo vedi segnato sui loro volti e impresso nei loro occhi. Intanto si raccontano giovani donne che tentano di mettere insieme il differenzialismo delle statunitensi con i racconti di stupri di generazioni di africane e centroamericane.

I paesi rappresentati sono 131, le associazioni, i gruppi, i partiti molti di più. La delegazione più numerosa è quella degli Usa. Sono circa 900, concreto segno di una attenzione crescente. E i cubani ci tengono a ricordare che, prima di tutto, il blocco vìola la carta costituzionale americana. Ma quando interviene una splendida Assata Sakur che legge un messaggio di Mumia Abu Jamal, ci sembra più vicina anche la nostra compagna Silvia e si sente fiero l'orgoglio del popolo afroamericano, che non si rassegna. ,

L'America Latina e Cuba, che del sud America è la "sentinella" sono al centro del Festival. Per una volta l'Europa non è il centro del mondo e prende forza quest'isola irriverente, allegra e rivoluzionaria.


Articolo di Gennaro Migliore tratto da Liberazione del 7 agosto '97