da il manifesto 6 aprile 2001

La specie
Ogni anno sulle strade italiane si contano più morti che su un moderno campo di battaglia. Al fine di occultare questa strage quotidiana sotto una rassicurante cortina di normalità, ci siamo concentrati sulla mostruosa eccezione: il "pirata della strada", mezzo uomo e mezza macchina, corre veloce e non si ferma mai.
Costui, in principio, era albanese. Il primo esemplare della storia venne arrestato, detenuto, rilasciato e a furor di popolo espulso per sempre dalle strade del Regno.
Pensammo allora di poterci incolonnare tranquilli, ma ecco saltar fuori altri esemplari: spesso italiani, quindi inespellibili; a volte minorenni, dunque non carcerabili.
Ora sembra che l'ultimo esemplare sia un generale dell'esercito italiano che marzialmente tira dritto e umanamente se ne frega. Ci domandiamo: evoluzione della specie o amaro ritorno alla normalità?
l.q.

Il generale in fuga
Era sull'auto blu che ha causato 4 morti sulla Roma-Ostia: "Non era mio dovere fermarmi"
MARINA DELLA CROCE - ROMA

Il "pirata della strada" questa volta era vestito di nero e aveva le spalline a righe rosse. Sarebbe stato lui, L. M., 32 anni, carabiniere per scelta, autista per motivi di servizio, a provocare, mercoledì mattina, la strage sulla Via del Mare, tra Ostia e Roma, meglio nota come la "strada della morte" (230 vittime in 10 anni). Ieri il militare, che accompagnava da casa a Roma il generale Domenico Tria, si è autodenunciato. Ha ammesso, dicendo di aver segnalato immediatamente l'incidente anche al 112, di aver visto, dopo il sorpasso "una vettura sbandare, ma che poi ha perso la visuale dallo specchietto retrovisore" e che comunque non si è potuto fermare "perché c'era molto traffico". Ora è indagato per omicidio plurimo e omissione di soccorso, e oggi sarà interrogato dal pm Giuseppe Saieva che potrebbe interrogare anche il generale (nonché direttore del Centro alti studi della Difesa). Tria ieri sera ha sostenuto che "la vettura di servizio su cui mi trovavo a bordo non è stata coinvolta in alcun incidente". E poi ha aggiunto: "Non essendoci stato alcun collegamento con l'accaduto e con la sua dinamica, quale ho poi appreso solo dagli organi di informazione nella sua gravità, non ho ritenuto di dover fermare l'autovettura", ha concluso autoassolvendosi. Peccato che la polizia stradale sostenga esattamente il contrario, e cioè che è "improbabile che il conducente dell'auto che ha provocato l'incidente non si sia accorto di nulla". E anche la procura militare, che ha aperto una seconda inchiesta, vuole vederci chiaro. L'inchiesta è condotta dal procuratore Antonino Infelisano che intende approfondire proprio l'utilizzo, più o meno conforme alle regole, della Lancia K in dotazione allo Stato Maggiore della Difesa, guidata dall'appuntato dei carabinieri.
Nell'ennesimo "incidente di servizio" mercoledì hanno perso la vita quattro persone, una donna di 42 anni, Loredana Veniamin, i suoi due figli, uno di 18 anni e l'altro di 11. La quarta vittima è un uomo di 40 anni. L'auto blu aveva effettuato un sorpasso azzardato costringendo la vettura della donna, che procedeva in direzione opposta, a sbandare e poi a scontrarsi frontalmente con una Peugeot 206, a sua volta tamponata da altre automobili. L'auto della donna è esplosa, mentre la potente auto blu si dileguava.

 

Da liberazione 6 aprile 2001
Arroganti e vili
Confesso di trovarmi in difficoltà. Ci sarebbero, infatti, tante cose da commentare con voi, amici lettori, che scegliere non è facile. Potremmo, ad esempio, parlare della politica che sembra ogni giorno allontanarsi di più dal comune sentire per diventare affare di "lorsignori". I quali si spartiscono lo spartibile: piazzano mogli e figli e nipoti nei collegi maggioritari sicuri, e recuperano generi e amanti nel proporzionale; ci fanno votare con una legge truffaldina e non contenti ci rubano anche il voto con liste civetta; e per sommo sberleffo si battono il petto e si dicono d’accordo con noi che protestiamo promettendo appena possibile, magari quando saremo morti, una bella legge elettorale chiara e onesta. Nell’attesa gli amici di Bossi e Berlusconi avranno il loro referendum per trasformare la Lombardia nella prima repubblica autonoma padana. Potremmo anche scrivere che mentre qui "lorsignori" organizzano simposi e convegni sul lavoro e la concorrenza, a due passi da noi, nella vicina Francia, amministratori locali, sindacati e cooperative di consumatori decidono di boicottare le merci della "Danone", perché la grande multinazionale riduce gli organici mettendo sul lastrico centinaia di lavoratori. Potremmo anche scrivere che finalmente vediamo i supergendarmi del mondo abbassare un po’ la cresta perché i cinesi fanno gli impuniti, come si dice a Roma, e non si calano le braghe al primo strillo del Pentagono. E invece, oggi, voglio commentare con voi un piccolo episodio di casa nostra, che trovo però emblematico della più generale arroganza e strafottenza dei potenti. Sulla strada Roma-Ostia, già celebre per l’alto numero di incidenti che vi accadono, un’auto guidata da un carabiniere compie una spericolata manovra di sorpasso provocando un maxi scontro e quattro morti. L’auto blu portava un generale, e non contenta d’aver fatto una strage prosegue la sua corsa verso chissà quali importanti appuntamenti, senza minimamente fermarsi e prestare soccorso alle vittime. Non fosse stato giorno pieno e non ci fossero state decine di testimoni, qualcuno avrebbe potuto buttarla sul "è stato un albanese". Una iella casuale o un sintomo preoccupante? Propendo per quest’ultima definizione, perché non se ne può più di auto blu e doppie o triple scorte che dragano le nostre città, Roma di certo, ma anche altre, scorrazzando tutte ad alzo zero, ostacolando il traffico normale. Non sono solo le auto blu e le scorte a far tracimare la bile dal fegato dei cittadini corretti, ma il cattivo esempio come si sà è peggio della gramigna per il grano, e soprattutto possiamo dire che di strafottenze, di arroganze, di chi ritiene di essere al di sopra della legge, non ne possiamo proprio più. Non ne possiamo più di chi magari domani dirà che si rimedia correggendo il codice della strada o varando una nuova legge elettorale. Le civette, da dovunque cantino, non le amiamo. Anzi, vogliamo cacciarle.

Alessandro Curzi

 

Da repubblica 6 aprile2001

Un generale sull'auto pirata
La stradale: un sorpasso azzardato ha causato la strage
la tragedia
sulla via del mare
MARINO BISSO

ROMA - Non era un pirata della strada ma un carabiniere che al volante dell'auto blu stava accompagnando un generale al ministero della Difesa. Il carabiniere è sospettato di aver provocato con la sua guida imprudente l'incidente costato la vita a quattro persone, tra le quali una donna e i suoi due figli di 11 e 18 anni. La strage è avvenuta, mercoledì mattina, sulla via del Mare, un strada maledetta che collega Roma a Ostia.
Il colpo di scena è di ieri quando il sostituto procuratore Giuseppe Saieva ha deciso di indagare per omicidio colposo plurimo Marco Lucioli, 32 anni, al volante della Lancia K, col lampeggiante acceso, in dotazione allo Stato maggiore della difesa. A bordo c'era anche il generale Domenico Tria, direttore del Centro alti studi della difesa. Anche la Procura militare ha aperto una seconda inchiesta.
L'iscrizione al registro degli indagati è scattata dopo che sul tavolo del magistrato è arrivata una prima informativa della polstrada. Il giorno stesso, il carabiniere che conduceva l'auto blu aveva presentato un dettagliato rapporto ai superiori dove riferiva di non essersi accorto della gravità dello scontro ma di aver visto solamente nello specchietto retrovisore un auto che sbandava. Il militare aveva spiegato, inoltre, che stando effettuando un sorpasso era impossibilitato a fermarsi in quanto rallentando avrebbe rischiato di essere tamponato. La relazione è stata successivamente trasmessa al comando della polstrada che adesso la sta verificando. Secondo gli investigatori non c'è dubbio che l'incidente sia da addebitarsi al sorpasso azzardato. Alla polstrada fanno notare inoltre come "sia impossibile che il conducente non si sia accorto di nulla".
Questa mattina, il carabiniere ripeterà la sua versione davanti al pm Saieva. Il magistrato ha già disposto ulteriori accertamenti per capire a quale velocità procedesse l'auto blu e se superasse il limite dei settanta chilometri orari. Gli inquirenti vogliono inoltre sapere se l'andatura fosse giustificata da esigenze di servizio oppure per ragioni di sicurezza per tutelare l'alto ufficiale. Il magistrato vuole soprattutto chiarire per quale ragione la Lancia K non si sia fermata. L'altra ipotesi di reato al vaglio della Procura è l'omissione di soccorso.
Nei prossimi giorni anche il generale Tria sarà ascoltato ma solo come persona informata sui fatti. L'alto ufficiale ha già precisato che l'auto su cui viaggiava non sarebbe "stata coinvolta in alcun incidente". Una spiegazione che dovrà ribadire anche al procuratore militare, Antonino Intelisano, intenzionato a valutare le eventuali responsabilità sia del carabiniere che dell'ufficiale. "Il conducente di un veicolo militare ha sicuramente precise direttive, ma anche il "capomacchina" - ha spiegato Intelisano - che ha la responsabilità del veicolo, deve attenersi ad un determinato comportamento, invitando eventualmente l'autista alla prudenza". Intanto il Cocer polemizza "non è più accettabile l'anomalo impiego dei carabinieri, sovente esposti a situazioni di inutile rischio...".

"Se si fermavano
potevano salvarli"

Lo sfogo di Emilio Carmelino: ha perso la moglie e 2 figli
le reazioni
SALVO PALAZZOLO

ROMA - "Se solo il generale e il suo autista si fossero fermati, se avessero aiutato Giorgio a uscire dall'auto in cui era rimasto intrappolato. Gli sarebbe stata risparmiata quella fine terribile, arso vivo". Non riescono a rassegnarsi i compagni di scuola di quel giovanotto di 18 anni che tutti ricordano con il sorriso sempre in volto. Ieri mattina, i ragazzi della quarta del Liceo scientifico "Enriques" di Ostia avevano un appuntamento gioioso, per andare in gita a Parigi. Giorgio Carmelino aveva scelto di non partire, ma aveva assicurato che ci sarebbe stato anche lui a salutare il gruppo.
Dopo l'incidente, i compagni hanno pensato che non avrebbe avuto più senso partire. "Ma riderebbe di noi se restassimo qui - dice una compagna in lacrime - lui l'avrebbe preso quell'aereo".
Prima della gita, però, un lento pellegrinaggio verso la casa di Giorgio, a Ostia. I parenti e gli amici piangono non solo la sua morte ma anche quella del fratellino Thomas, di 11 anni e della madre, Anna Loredana Veniamin, 44 anni. In quella casa c'è un silenzio irreale, che si fa ancora più profondo quando squilla il telefono e qualcuno, in tarda mattinata, fa sapere che l'auto pirata potrebbe essere stata guidata da un carabiniere. Da quel momento il silenzio si trasforma in un fiume di interrogativi. Papà Emilio cerca di farsi forza, ma le domande si affastellano. "Ma poi perché aveva così tanta fretta? E se avesse rallentato? E se si fosse fermato, se avesse avvertito subito i soccorsi.... Forse Anna, Thomas e Giorgio e il signor Vito Cascione sarebbero ancora vivi".
I familiari delle vittime chiedono giustizia. A bassa voce, perché il dolore è troppo grande e i loro morti non sono stati ancora sepolti. I feriti, ricoverati al Grassi di Ostia, fanno invece sentire la rabbia che si portano dentro ma anche la riconoscenza verso i soccorritori. "Vogliamo ringraziare di cuore una dottoressa, che ha prestato i primi soccorsi - dicono Enrico e Sonia Cerasaro - così come gli operai dell'Anas che ci hanno liberato prima dell'esplosione".
Come Ostia anche Fiumicino è a lutto. Rosanna Cascione ha perso il fratello Vito. "Chiediamo con forza giustizia", dice. Lei e suo padre hanno già dato mandato a un legale, perché si occupi di seguire l'inchiesta. Mercoledì mattina, nessuno li aveva avvertiti. Rosanna continuava a comporre il numero telefonico del fratello. Ma niente. Erano poi stati i giornalisti a darle la notizia della morte di Vito. "Almeno oggi qualcuno delle istituzioni ha avuto la cortesia di avvertirci degli sviluppi del caso - sussurra - una magra consolazione".
Piangono i compagnetti di scuola di Thomas alla media Passeroni di Ostia. Sul suo banco, tanti mazzi di fiori bianchi e una scritta, "Sarai sempre nei nostri cuori".
(ha collaborato Costanza Calabrese)

i precedenti

Palermo 1985: un'auto di scorta di Borsellino travolge e uccide due studenti
Locri ‘96, la scorta del procuratore Gratteri travolge un giovane sul motorino
Trapani, due persone morte nello scontro con la scorta del procuratore Petralia

 

Peculato e ingerenze
le ombre sull'ufficiale

il personaggio
ALBERTO CUSTODERO
TORINO Un curriculum di tutto rispetto, ma non fortunato, quello di Domenico Tria, comandante del Centro Alti Studi della Difesa. Tria è arrivato ai più alti gradi (è generale di corpo d'armata), occupando posti di grande responsabilità (capo di gabinetto del ministro della Difesa). Se gli aneddoti sul suo conto registrano anche qualche discussione di troppo (come quella avuta qualche mese fa con la polizia municipale di Roma che non lo aveva autorizzato a compiere, con l'auto di servizio, una manovra vietata dal codice della strada), la sua brillante carriera è stata offuscata da alcune ombre. Come l'indagine preliminare della procura militare di Torino nella quale è indagato per peculato militare per fatti relativi al suo periodo di comando, nel '91, alla brigata Legnano. Per Tria, il pm torinese, nel gennaio del 2000, aveva chiesto e ottenuto dal gip la sospensione dal servizio, annullata poi dal tribunale del riesame. In quella delicatissima fase, gli uffici giudiziari militari furono teatro di un giallo del quale si è occupato a lungo il Consiglio di magistratura militare. Al procuratore militare di Torino, Pier Paolo Rivello, infatti, nel dicembre del '99, arrivò una telefonata di Giuseppe Scandurra, procuratore generale militare presso la Corte di Cassazione, con la quale la massima autorità giudiziaria delle Forze Armate italiane chiedeva notizie sulla misura nei confronti del generale Tria. Fu una telefonata davvero strana come tempi e modi, tanto da sollevare il sospetto che si trattasse di una sorta di "ingerenza". Il Consiglio di magistratura militare ha giudicato "inopportuno" quell'intervento, senza ravvisare estremi disciplinari a carico di Scandurra. In difesa di Tria si attivò anche l'Avvocato dello Stato, dottor Figliolia, che non pensò di tutelare lo stato, quella volta, preferendo intervenire a favore dell'ufficiale, pur accusato di un delitto contro la pubblica amministrazione.