da il manifesto del 9 marzo 2001

Ambigui protagonisti
CASO IMPASTATO Poliziotti, carabinieri e magistrati implicati
R. CA. - PALERMO

Più di uno venne assassinato dalla mafia, qualcuno morì suicida, altri fecero carriera, altri ancora vennero invece travolti dalle polemiche o sono imputati di collusioni mafiose. Nessuna dietrologia, ma la mattina del 9 maggio del 1978, intorno ai resti del corpo di Peppino Impastato, circolava un'umanità che avrebbe avuto un ruolo fondamentale, in positivo e negativo, nella battaglia che parte delle istituzioni hanno combattuto contro Cosa Nostra.
Francesco Scozzari. E' uno dei due magistrati a cui viene affidata quasi subito l'inchiesta. Il suo nome finisce sui quotidiani nazionali cinque anni più tardi. Assassinato il consigliere istruttore Rocco Chinnici, Scozzari è travolto dalle accuse registrate nel diario personale del magistrato ucciso. Tra queste l'accusa di avere avuto un atteggiamento morbido in alcuni processi di mafia in cui Scozzari era chiamato a svolgere il ruolo della pubblica accusa. Il Csm l'8 settembre del 1983 lo trasferisce, ma Scozzari preferisce dimettersi dalla magistratura.
Domenico Signorino. E' l'altro magistrato incaricato delle prime indagini. Otto anni dopo l'omicidio Impastato è Pm nel primo maxiprocesso contro le cosche, ma il 3 dicembre del 1992 (pochi mesi dopo le stragi di Falcone e Borsellino), travolto dalle dichiarazioni di alcuni pentiti che lo accusavano di collusioni con i boss, si uccide con un colpo di pistola.
Rocco Chinnici. E' il magistrato che eredita le indagini di Scozzari e Signorino, che ipotizza per la prima volta il delitto di mafia e il depistaggio dei carabinieri che condussero le prime indagini. Viene assassinato il 29 luglio 1983 con un'autobomba insieme a 3 carabinieri e al portiere del suo stabile.
Antonio Subranni. E' il maggiore dei carabinieri che viene ritenuto il principale responsabile delle indagini iniziali dell'Arma. Indagini che escludevano la pista del delitto di mafia e conducevano al suicidio o all'incidente del terrorista. Diventerà generale, comandante del Ros dei carabinieri, consulente della stessa Commissione nazionale antimafia, prima di andare in pensione.
Emanuele Basile. Il capitano dei carabinieri di Monreale, che partecipa alle prime indagini, verrà assassinato dalla mafia il 4 maggio del 1980 per le sue inchieste sull'escalation criminale della cosca corleonese di Totò Riina. Dopo i primi rilievi non parteciperà più all'indagine.
Carmelo Canale. Oggi alla sbarra per concorso in associazione mafiosa (una decina di pentiti lo accusano di avere fornito informazioni riservate ai boss), è l'investigatore che sequestra lettere e documenti di Peppino dalla casa della zia, dove il giovane viveva. Esce da queste carte la lettera dalla quale i carabinieri suppongono una volontà suicida del giovane. Ci vogliono 23 anni ed i consulenti dell'antimafia per scoprire che la lettera ha tutt'altro tono. E sono gli stessi consulenti, sempre 23 anni dopo, e con fatica, ad ottenere dal comando dei carabinieri le carte di Peppino sequestrate (anche informalmente) e mai fornite ai magistrati.
Antonino Lombardo. Il maresciallo dei carabinieri morto suicida il 4 marzo del 1995, cognato di Canale, non partecipa alle indagini sul delitto Impastato. Arriva dopo quel delitto alla compagnia di Terrasini (il comune limitrofo a Cinisi). Accusato di collusioni con i boss della zona, Lombardo (come scrive lui stesso nei rapporti conclusivi dei colloqui avuti nell'autunno del 1994 con il boss Gaetano Badalamenti detenuto negli Usa) in quegli anni raccoglie più di una confidenza del boss Gaetano Badalamenti, ma nulla sarà mai registrato in atti ufficiali riguardo al delitto Impastato.
Boris Giuliano. Il capo della squadra mobile assassinato dal boss Leoluca Bagarella il 21 luglio del 1979, viene visto da più testimoni sul luogo del delitto. Ma non partecipa alle indagini. I carabinieri, pur sostenendo la pista dell'incidente del terrorista, tengono lontani anche gli investigatori della Digos. Giuliano aveva già scoperto il ruolo fondamentale della mafia di quella zona intercettando all'aeroporto due valigie con circa mezzo milione di dollari provenienti dagli Usa (l'incasso di una grande partita di droga) e presumbilmente indirizzate a don Tano Badalamenti. "Esperto di eroina e di lupara", lo derideva dai microfoni di Radio Aut Peppino Impastato, ma pochi in quei giorni lo ricordarono.