IL DISERTORE
N. 19 - Dicembre 1998/Gennaio 1999
Supplem. al n°169 di Sicilia Libertaria -
Aut. Trib. RG n. 1/87 - Dir. Resp. Giuseppe Gurrieri
***
Per ben due volte nel giro di poche
settimane - fra metà ottobre e metà novembre - abbiamo potuto assistere,
angosciati spettatori, allo spettacolo della costruzione di una guerra in pochi
giorni. Nel primo caso, contro la Jugoslavia di Milosevic, materialmente sulle
nostre teste; nel secondo, contro l’Irak di Saddam, in una replica tutta
americana della Guerra del Golfo del 1991. Guerre virtuali? Pressione
psicologica, esibizione di muscoli? Crediamo di no: per due volte siamo stati
sull’orlo del baratro: non è stata per nulla scontata la sospensione di un
conto alla rovescia che può ripartire in qualsiasi momento. Siamo stati ad un
passo dall’essere materialmente coinvolti in una guerra, e quel che è peggio è
che ormai un dato del genere sembra percepito come una realtà
"normale": provoca al massimo l’assieparsi di entusiasti curiosi al
lato delle basi militari, mentre anche noi antimilitaristi fatichiamo a
prendere la rincorsa per stare dietro a ciò che ci succede attorno.
Il botta e risposta terroristico dell’estate
(bombe degli integralisti islamici alle ambasciate USA e missili USA contro
strutture in Afghanistan e Sudan) ha reso evidente che quello militare è ormai
lo strumento principale, "naturale" degli stati, ed in particolar
modo degli USA, per risolvere qualsiasi problema: il terrorismo, che venga da
piccole organizzazioni politico-mafiose, come dalla loro versione organizzata
ed istituzionale (gli stati) diventa uno strumento globale che può colpire
ovunque con tempi di attivazione ristrettissimi. In fondo è sempre stato così,
ma la sensazione di trovarsi comunque di fronte ad un’escalation nei livelli di
conflittualità del disordine mondiale è abbastanza diffusa.
La geografia mondiale dei conflitti è sempre
più affollata: caso emblematico quello dell’Africa, un intero continente
sconvolto da guerre di cui ormai fatichiamo a cogliere le fila, ed in cui
naufragano anche le vane speranze di chi si illudeva di un Sudafrica democratico
e progressista. E’ un continuo susseguirsi, pur nella diversità dei contesti,
di crude lotte per il potere, una fotocopia dell’altra.
La guerra, insomma, si fa sempre più
globale, diluita: nessuno pensa più nemmeno di dichiararla: è un fattore al confine
della normalità quasi in ogni luogo, sulle cui cause reali ormai pochi si
interrogano o spendono parole.
Di fronte alla globalizzazione della guerra
è necessario globalizzare l’antimilitarismo, non tanto pensando di poter
intervenire ovunque per impedire conflitti, cosa, anche ritenendola possibile,
sicuramente fuori dalla nostra portata e rispetto alla quale seguiamo comunque
con attenzione i tentativi delle associazioni pacifiste; si tratta di far
uscire l’antimilitarismo dalla logica dell’emergenza radicandolo nella
quotidianità, facendolo diventare sensibilità e pratica quotidiana diffusa fra
le persone e sul territorio, diffondendo pratiche di disobbedienza, di non
collaborazione, di rifiuto. Occorre urgentemente produrre anticorpi che
blocchino l’espandersi incontrastato dell’infezione militarista delle
coscienze. Dalla lotta contro la militarizzazione sul territorio, nel lavoro,
nella scuola, alle svariate obiezioni possibili, occorre innanzitutto
contrastare il militarismo nostrano - sempre più inserito nei meccanismi
planetari e regionali del dominio - magari a partire da una seria critica e
disobbedienza collettiva alla nuova legge sull’obiezione di coscienza, al ruolo
futuro del servizio civile e di quello militare nel contesto della professionalizzazione
dell’esercito.
E’ per questo che invitiamo innanzitutto i
nonsottomessi ad incontrarsi e a discutere, a pronunciarsi su ciò che sta
cambiando e sulle campagne di stampa implicitamente denigratorie nei confronti
di chi sceglie il rifiuto del servizio militare e del servizio civile.
***
Pubblichiamo in questo numero del disertore
la dichiarazione di nonsottomissione di Orazio Plantone, preannunciata sul
n°18, ed inoltre le lettere con cui Gianluca di Bari e Patrik Nicolini di Trieste
ci comunicano la loro scelta di nonsottomissione. La lettera di Gianluca è
rimasta sepolta per tutta l’estate in qualche meandro del nostro labirintico
archivio (?); la pubblichiamo ora con ritardo, scusandoci con lui. Patrik
Nicolini da parte sua non si è "consegnato" alla caserma Vittorio
Emanuele III di Trieste il 19 agosto scorso, ma si è presentato il giorno
stesso lì davanti per distribuire un volantino. Ci permettiamo di aggiungere
due parole: abbiamo trovato la sua lettera molto interessante; tra le altre
cose ricordiamo che in Spagna i nonsottomessi utilizzano spesso questa pratica
anche a livello collettivo, realizzando quello che chiamano "le
presentazioni". Non ci sembra in ogni caso che l’invio della dichiarazione
o la presentazione siano due pratiche che si escludano a vicenda, tutt’altro.
Oltre che a rendere pubblica la propria scelta di nonsottomissione sappiamo
inoltre che la dichiarazione ha il fine pratico di evitare la denuncia per
diserzione, che porta ad una spirale - comunque non infinita - di condanna,
nuova cartolina, condanna, ecc. che si risolve dopo il compimento di una
condanna equivalente ai mesi del servizio militare.
***
Trieste 13/10/1998
Un po’ di tempo addietro mi arrivò una
cartolina. Sanciva il mio obbligo a presentarmi il giorno 19 agosto presso una
delle tante caserme che infestano i nostri territori.
Nemmeno per un momento pensai di consegnarmi
effettivamente nelle mani di qualche gaglioffo in divisa, nemmeno per un
istante pensai di riferirgli le mie ragioni.
Ho preferito dire la mia a chi si è trovato
nella mia stessa situazione, cioè ai ragazzi che erano in procinto di abdicare
alle proprie responsabilità (oltre che alla propria vita) pur di imparare il
mestiere del burattino.
Mi sono recato quindi innanzi alla caserma
il giorno e l’ora in cui i militi mi aspettavano. Ho distribuito i miei
volantini in modo che da questi potesse scaturire un dialogo diretto con i
ragazzi.
Sostanzialmente nel volantino si diceva che
mettere piede in quella caserma avrebbe significato rassegnarsi alla
prevaricazione ed alla soppressione della propria individualità e che non
entrarvi sarebbe stato veramente il minimo che si possa fare.
Inoltre si invitava a ribellarsi ed a
colpire gli uomini e le strutture che vogliono inculcare l’insano concetto
della sottomissione.
Mi sono stati espressi solidarietà e stima,
tuttavia nessuno dei presenti ha deciso di andarsene.
Comunque continuo ad essere dell’idea che
una comunicazione diretta con i "richiamati alle armi" può essere
un’ottima pratica che offre l’opportunità di diffondere ribellione e
non-sottomissione.
Alle volte ho avuto l’impressione che il
discorso della diserzione e della cosiddetta obiezione totale venissero portati
avanti con un approccio un po’ troppo "abitudinario", intendo dire
che è importante trovare nuove strade e porsi in maniera più efficace possibile
e non adagiarsi su strade già sperimentate.
Saluti, Patrik
***
21/8/1998
Ancora una volta, con non so quale superiore
certezza, lo Stato chiama per servire la Patria con la brutale violenza della
politica criminale delle armi, che da sempre ha portato distruzioni, genocidi,
stermini; ha oppresso gli indifesi, i puri, i semplici individui che
quotidianamente cercavano di guadagnarsi da mangiare onestamente e con sani principi
etici e morali. Adesso lo Stato mi chiama per servire la Patria (alla quale fra
l’altro non mi sento di appartenere) perché evidentemente, convinto ancora di
poter gestire, manovrare e distorcere i sani principi di chi del potere, delle
armi e della violenza non ne vuol sapere; di chi preferisce lunghe passeggiate
a contemplare la natura o di chi aspira a ben altro che non la superiorità di
poter sottomettere un suo simile.
Con la presente, io sottoscritto Plantone
Orazio Martino, nato a Massafra (TA) (...) dichiaro:
di avvalermi della libertà individuale di
presa di coscienza per rifiutare qualsiasi tipo di sottomissione, declinando la
vostra imposizione nei miei confronti a
presentarmi in caserma e, opponendomi al
vortice del sistema capace di ingoiare e sminuzzare valori grandi come libertà
e dignità, che vengono irreversibilmente calpestati.
NO ALLE DISCRIMINAZIONI RAZZIALI E DI CETO
NO ALLE IMPOSTE ED AI COMPROMESSI
NO ALLA SOTTOMISSIONE
NO ALLA VIOLAZIONE DELLA LIBERTÀ’
INDIVIDUALE
Sono un uomo non un oggetto, ho il diritto
di assaporare, gustare, palpare, apprezzare, godere delle esperienze che la
vita mi offre;
sono un cittadino di mondo avido di sapienza
non di potere, ho la facoltà di scegliere ed è per questo che decido quando,
come e se muovermi in una direzione o nell’altra affinché raggiunga il mio
obbiettivo, il benessere dell’anima e non quello materiale, amando chi mi
circonda non opprimendo il prossimo.
Io credo nell’uomo e nella sua necessità di
realizzarsi liberamente da qualsiasi forma di servitù, quella mentale
soprattutto; la naja assume un ruolo di educatore: insegna o meglio stereotipa
i cervelli, impone l’adulazione per i potenti; insegna rassegnazione, viltà,
opportunismo, insensibilità, competitività, e fedeltà verso il dominatore:
l’uomo superiore; dovrebbe essere lo strumento la cui funzione sta nel
preparare le menti alla sottomissione ed al "signorsì" ma io
preferisco urlare SIGNORNÒ, divertitevi senza di me.
Orazio Plantone
***
Il 30 luglio 1998 mi sarei dovuto presentare
a prestare servizio per la patria al Maricentro di Taranto. Non l’ho fatto.
Era una scelta a cui ormai mi preparavo da
tempo e nell’ultimo mese ha fatto scaturire in me una serie di riflessioni.
Le mie idee antiautoritarie e libertarie mi
hanno sempre fatto rifiutare l’opzione del servizio militare. Le stesse idee mi
allontanano da quella del servizio civile alternativo, soprattutto quando il 1°
articolo della nuova legge sull’obiezione di coscienza continua comicamente a
recitare:
"I cittadini che (...) non accettano
l’arruolamento nelle Forze Armate e nei Corpi Armati dello Stato, possono
adempiere gli obblighi di leva prestando un servizio civile, diverso per natura
e autonomo dal servizio militare, ma COME QUESTO RISPONDENTE AL DOVERE
COSTITUZIONALE DI DIFESA DELLA PATRIA e ordinato ai fini enunciati nei principi
fondamentali della Costituzione".
Ecco, io questa patria opprimente e
sfruttatrice non la riconosco e nulla voglio avere a che fare con essa e con la
sua difesa.
Fin qui, diciamo, le motivazioni
ideologiche.
Eppure la scelta che ho fatto è più
personale che ideologica. Le mie riflessioni scaturiscono dal valutare come le
cose vadano intorno a noi. Da parte nostra c’è molta stanchezza e poca
propositività. Da parte del sistema c’è esultanza, perché sta vincendo, ci sta
vincendo tutti e su tutti i fronti. Scusate il pessimismo, ma l’appiattimento
strisciante raggiunge ormai tutti i livelli. E così, anche la lotta
antimilitarista sembra dover rimanere bloccata sull’obiezione totale. Ma anche
questa si sta omologando, mettendoci nella terribile condizione di dover anche
ringraziare per la sua clemenza chi ci opprime quotidianamente. Io su questo
voglio essere chiaro. Io in questo voglio rapporti chiari con chi odio con
tutte le mie forze.
Tutto quello che faccio nella mia vita è
inteso ad abbattere questo mostro, e in questa lotta è bene che ognuno usi i
mezzi che ha a disposizione. Io sono contro lui, lui è contro me e contro
chiunque la pensi come me. Se tra i suoi mezzi, c’è quello infame della galera,
che lo usi fino in fondo. Poiché io non voglio neppure minimamente essere
riconoscente a chi distrugge i miei sogni, la nostra terra, a chi ci sfrutta,
opprime, mortifica, a chi nel quasi totale silenzio assassina in carcere i miei
compagni.
La morte di Baleno e Sole mi ha molto
colpito, e molto ha contribuito alla mia scelta. Come anarchico credo
fortemente nell’altissimo valore della vita ed è perché a questa ci tengo, che
lotto per cambiarla. Mi ha quindi rattristato e riempito d’amarezza il fatto
che due anarchici siano stati costretti a privarsene. Nonostante potessimo
avere modi lontani d’intendere l’azione, nonostante a livello teorico tanti
potessero essere i motivi di discussione accesa, erano pur sempre due individui
che DENTRO si portavano un mondo migliore, come me e come tutti quelli che col
cuore ritengo compagni. E allora di qui rabbia, rancore, dolore. E, insieme, la
forte decisione a non accettare, né concedere nulla a questo infame sistema.
Per questi e altri personali motivi mi sono
rifiutato di presentarmi, e allo stesso modo mi rifiuto di fornire a lor
signori le stesse spiegazioni e riflessioni che invece mi fa piacere
condividere con tutti voi. Non so sinceramente come la cosa andrà avanti, come
andrà a finire. Mi è stato detto che in questi casi la condanna è a dieci mesi
complessivi di carcere. La notizia in questo momento mi lascia sereno. Non
voglio sentirmi né eroe, né vittima, né missionario. Non voglio mostrare a
nessuno qual’è la giusta via, né assolutamente, con questo gesto, sentirmi più
o meno anarchico di chiunque scelga diversamente. Rispetto totalmente qualsiasi
scelta che sia frutto di un’elaborazione personale e che comunque, in qualsiasi
caso, sia libera da sacrifici o da stupidi gesti di eroismo.
Non so se sono riuscito a spiegare quel che
sento nel profondo, la trovo comunque una cosa difficile da fare. Nell’esporre
le mie considerazioni personali non volevo offendere nessuno, almeno non in
maniera distruttiva, poiché io stesso sono il primo a individuare dei malori,
ma allo stesso tempo non riesco a fornirmi di uno slancio propositivo che possa
aiutare anche un minimo a districarci da questo pantano. Forse solo un invito a
cercare in tutto i modi di vivercela sul nostro corpo questa Idea, tutti i
giorni, e non lasciare che siano loro a vivercela sui nostri cadaveri.
In questo momento difficile mi sento molto
vicino a tutti voi. Un fraterno abbraccio
Gianluca
***
Il 2 ottobre a Roma, presso il tribunale
militare, è stato processato in contumacia il nonsottomesso Donato Di Domizio
per il reato di diserzione aggravata. Nel corso del dibattimento, nonostante
l’opposizione del P.M., Donato è riuscito ad ottenere la modifica
dell’imputazione in rifiuto del servizio militare, per la quale l’autorità
militare non è più competente. Le carte verranno quindi trasmesse al Pretore di
Pescara per un nuovo processo, civile. Donato eviterà quindi di ricevere
nuovamente la cartolina precetto dopo l’eventuale condanna.
Gianni di Rovereto è stato condannato a 10
mesi senza sospensione condizionale della pena questo 3 dicembre dal tribunale
militare di La Spezia. Il giudice, sebbene il P.M. fosse favorevole, non ha
voluto commutare l’imputazione da mancanza alla chiamata a rifiuto del servizio
militare accanendosi di fatto con una condanna pesantissima rispetto a tutti
gli ultimi processi a nonsottomessi.
***
LA NUOVA VISITA DI LEVA
Cosa cambia per i nonsottomessi
Dal 31 dicembre 1998 entrano in vigore una
serie di nuove normative sulla visita di leva che potrebbero avere conseguenze
anche per i nonsottomessi.
In particolare, le novità riguardano il
momento in cui lo stato chiama per sottoporre alla visita di leva: nel
trimestre che precede il compimento dei 18 anni per tutti i ragazzi che non
stiano frequentando alcuna scuola, alla fine della scuola (chiedendo il rinvio
al massimo per tre anni) per gli studenti di scuole superiori, mentre per chi
utilizza forme di rinvio successive, dovute in particolar modo alla frequenza
universitaria, la visita slitta dopo l’ultimo rinvio utilizzato: non oltre i 26
anni per corsi universitari della durata di 4 anni, ma anche oltre per corsi
più lunghi, dottorati e simili. E’ quindi possibile che un certo numero di
coloro che hanno intenzione di seguire la strada della nonsottomissione venga
chiamato per la visita di leva in età più avanzate rispetto al passato: aumenta
la probabilità che, avendo maturato nel frattempo le proprie opinioni
antimilitariste, si rifiuti di sottoporsi anche alla visita oltre che al
servizio di leva. Fino ad oggi questi casi rappresentavano una netta minoranza.
Cosa succederebbe? Chi intende rifiutare la
visita di leva può essere prelevato dai carabinieri e condotto in caserma, ma
non può essere obbligato a subire a forza la visita. Viene quindi - di norma -
arruolato d’ufficio e denunciato per renitenza alla leva. Per questo reato
viene processato dal tribunale militare che ha competenza per il distretto di
appartenenza del renitente, con una condanna i cui termini di legge prevedono
pene da un minimo di uno ad un massimo di due anni di carcere. Il minimo è
comunque ridotto, potendosi applicare tutte le attenuanti del caso e la
condanna può essere con la sospensione condizionale della pena, quindi senza
carcere.
Si ripropone evidentemente la possibilità di
essere processati due volte per un "reato" che è sostanzialmente
dello stesso tipo: la prima da un tribunale militare (per il rifiuto della
visita), la seconda da un tribunale civile (per il rifiuto del servizio militare
e civile).
Da un giornale commerciale veronese ("L’altro
giornale", 9 novembre 1998) apprendiamo inoltre un’altra novità che,
se confermata su scala generale, contribuirebbe senz’altro ad un aumento dei
rifiuti della visita di leva. Presso la caserma Martini di Verona è stato
inaugurato un programma sperimentale che ha coinvolto 697 ragazzi nel 1998,
utilizzando anche le strutture della caserma Duca di Montorio Veronese. Oltre
ad una razionalizzazione dei tempi dei due giorni di visita "queste
centinaia di giovani che hanno vissuto l’esperienza hanno avuto la possibilità
di provare i mezzi corazzati, hanno preso confidenza con le armi in dotazione,
hanno eseguito tiri al simulatore. (...) Per completare la full-immersion dei
giovani nella realtà militare è stata prevista l’obbligatorietà del
pernottamento in caserma". Il nuovo metodo, introdotto "utilizzando i
consigli d’incaricati della società Idea Plus (...) si aspetta che sia ritenuto
valido anche a livello centrale ed attuato in tutta Italia". Dopo le
piazzate di R.A.P. Camp una nuova tappa, ancora più subdola perché
obbligatoria, verso la propaganda dell’esercito professionale.
***
Legge sull’obiezione: tribunale militare
ricorre contro
Da un articolo apparso sul "Gazzettino"
nel mese di ottobre apprendiamo che i giudici del Tribunale militare di Padova,
su sollecitazione del procuratore militare Maurizio Block, hanno sollevato due
eccezioni di incostituzionalità rispetto alla nuova legge sull’obiezione di
coscienza. L’eccezione riguarda il differente trattamento dei processati per il
reato di diserzione, in mancanza di una dichiarazione sulle motivazioni del
rifiuto (pena non inferiore alla durata del servizio militare: 10 mesi)
rispetto a quelli processati per rifiuto del servizio militare, che invece
producono le loro motivazioni (pena media di 3-4 mesi eventualmente commutabili
in multa). In realtà una differenza esisteva anche prima, solo che entrambi i
reati venivano processati dai tribunali militari, dove non era possibile
l’eventuale conversione in multa. I tribunali militari sottopongono da sempre i
disertori non ideologizzati ad un calvario di condanne spesso intricatissimo:
la decisione del ricorso ha origine probabilmente per l’orgoglio ferito di non
poter più punire anche gli antimilitaristi.
Invece di eguagliare "al ribasso"
le due diverse condizioni, perché invece non eguagliarle "al rialzo",
equiparando le condanne dei disertori a quelle dei nonsottomessi e dei
testimoni di Geova? Chi non vorrà poi accettare la formula mercantile della
multa troverà sicuramente la strada per farlo.
***
DOMENICA 24 GENNAIO A REGGIO EMILIA
PRESSO IL CIRCOLO BERNERI (VIA DON MINZONI
1/D) - ore 10,30
NONSOTTOMESSI IN ASSEMBLEA!
La cassa di solidarietà antimilitarista - in
collaborazione con i compagni e le compagne di Reggio - convoca un incontro tra
vecchi e nuovi nonsottomessi per discutere le possibilità di intervento comune
in merito alle nuove disposizioni di legge riguardo l’obiezione totale (ad
esempio, la conversione in multa della pena affosserà la scelta di
nonsottomissione snaturandola dei suoi contenuti antimilitaristi? Diventerà la
totale obiezione una scelta di comodo per figli di papà che se la possono
permettere?). La c.s.a. propone agli invitati di elaborare prima dell’incontro
un testo sull’argomento per farne un manifesto (volantino o altro) ad ampia
diffusione.
Oltre alla discussione sulle questioni
legate al servizio militare e al suo naturale rifiuto, l’incontro di Reggio
servirà per tastare il terreno e ipotizzare la rinascita di un valoroso
movimento di lotta al militarismo...
Renitenti, fuggiaschi, disertori, obiettori
sono caldamente invitati a parteciparvi. L’invito è esteso anche a
antimilitaristi/e che abbiano desiderio di confrontarsi su codesti argomenti.
Per chi viene da lande remote è previsto un
servizio pernottamento previa comunicazione. Per informazioni:
0522/541331 (Circolo Berneri) oppure
045/8902003 (c.s.a. - Iride o Emanuele)
***
Giornata internazionale dei prigionieri di
coscienza
Situazione nonsottomessi 1998
Nel corso del 1998 un solo nonsottomesso è
stato incarcerato in Italia: Luca Bertola
- Luca Bertola, condannato dal Tribunale
militare di Torino il 22 novembre 1996 a 3 mesi di reclusione per mancanza alla
chiamata di leva, è stato arrestato Mercoledì 15 aprile 1998 nella sua casa a
Pont S. Martin (AO) ed ha scontato la condanna nel carcere civile di Brissogne
(AO).
- Emanuele Del Medico e Davide Agostinelli
hanno scontato invece la condanna con una pena alternativa (affidamento sociale):
Emanuele Del Medico, condannato a 4 mesi dal
Tribunale militare di Napoli il 15 ottobre 1996, ha scontato la pena nella
forma dell’afidamento sociale dal 12 marzo all’11 luglio 1998.
Davide Agostinelli, condannato a 2 mesi e 20
giorni dal tribunale di Imperia l’8 gennaio 1998, ha scontato la pena nella
forma dell’affidamento sociale fra i mesi di agosto ed ottobre.
Nel 1997 si sono dichiarati nonsottomessi
con dichiarazioni, lettere o documenti pubblici: Igor Londero, Gianluca
Bellini, Orazio Plantone, Alessandro Tosatto, Salvatore Fierro.
Nel 1997 sono stati processati e condannati
per nonsottomissione: Davide Agostinelli (2 mesi e 20 giorni) e Fabio Sgarbul
(9 mesi con la condizionale)
Dati aggiornati al 29/11/1998.
Invitiamo caldamente i nonsottomessi e i
compagni a segnalarci eventuali errori o omissioni.
***
Poco prima di spedire questo disertore
veniamo a sapere che gli Stati Uniti stanno bombardando l’lraq.
Rapida, sconcertante, terribile la notizia
ci raggela.
La morte vola sui cieli di Bagdad.
La morte è verdastra. La morte è in diretta
come otto anni fa, stesso copione. Ma questo non è il copione di un film già
visto: è televisione; ben peggiore del peggiore film bellicista perché ci educa
a cenare seguendo tracciati di missili, ci abitua all’etica della guerra -
quella vera - da assaporare in poltrona senza tanti "ma" o
"però".
E noi, in procinto di addormentare le nostre
coscienze, assistiamo increduli al grande gioco dei potenti in cui le parti,
quella degli amici e quella dei nemici della democrazia, si confondono e si
mescolano per partorire un’unica verità: che la ragion di stato – a qualsiasi
latitudine questo si trovi – uccide.
Migliaia di vite sacrificate non valgono
niente paragonate ai motivi fondamentali per cui si scatena una guerra:
conservare il potere, spostare altrove l’attenzione dell’opinione pubblica,
rivendicare la supremazia del più forte, rafforzare la propria immagine.
Impotenti e schiumanti rabbia non possiamo
di fronte a simili degenerazioni del genere umano che testimoniare il nostro
rifiuto nell’accettare l’inaccettabile, auspicandoci che la coscienza degli
uomini e delle donne prima o poi getti nella pattumiera della storia la
barbarie della guerra, le giustificazioni dei suoi artefici.
TUTTE LE GUERRE CONTRO DI NOI
NOI CONTRO TUTTE LE GUERRE C.S.A.
***
Ciao, Giovanni
Giovanni Trapani se n’è andato in un
ospedale di Roma, mercoledì 21 ottobre. Aveva 58 anni. Solo pochi giorni prima,
dopo essere rimasta sospesa per un certo tempo - troppo! - tra l’inchiostro
della penna e la buca delle lettere, una mia lettera aveva cercato di
raggiungerlo, non so con quali esiti. Una delle ultime volte che ci eravamo
sentiti, ancora parecchi mesi fa, mi chiese di scrivere ed inviare un messaggio
ai giornali anarchici: era solo e malato, desiderava che qualcuno si facesse
vivo con lui. Non so se i suoi appelli, anche attraverso il quotidiano il
manifesto, abbiano avuto successo; anch’io, che pure mi ero ripromesso di
scendere a Roma entro breve e cercavo di comunicarglielo, appunto, con quella
lettera, ho tardato troppo. Non era una persona facile. Un anarchico
"contro" gli anarchici: instancabile critico, fino all’ossessione
personale, di singoli compagni ed organizzazioni, non smise un istante di
ricordare agli anarchici che su alcune questioni - prima fra tutte quella che
riguarda il dibattito sulla violenza e sulla nonviolenza -non tutto era stato
detto e c’era ancora molto da fare. Condusse una battaglia solitaria (per un lungo
periodo condividendo la strada con la sua ex compagna, Veronica Vaccaro) che lo
portò a scontrarsi con la quasi totalità del movimento anarchico, ottenendone
diffidenza quando non aperto ostracismo, ed a confrontarsi con i movimenti
pacifisti e con alcuni cattolici di base. Eppure questo uomo piccolo, un
emigrante, sottoproletario da sempre, scontroso, ostinato, che difficilmente
esercitava l’arte dell’ascolto dell’altro - chi non ricorda i suoi
interminabili monologhi? - aveva molto da insegnare. Forte della lezione
dell’anarchico belga Hem Day, che aveva avuto l’opportunità di frequentare per
un periodo della sua vita e del quale non mancava di ricordare gli
insegnamenti, non si stancò mai di scrivere - lui, autodidatta - e diffondere
lettere, fogli, opuscoli (I "fogli di pensiero e azione" e la collana
di opuscoli a questi collegata, "Il passero solitario"...) che
avevano come asse principale la discussione sul nesso tra teoria anarchica e
teoria nonviolenta: Gandhi, Tolstoj, Hem Day, Pierre Ramus, per citarne alcuni,
erano autori a cui teneva particolarmente e dei quali intendeva diffondere le
riflessioni, in particolare sulla questione della violenza, segnalando il
pericolo che gli anarchici, soddisfatti dalla definizione malatestiana di
"antiviolenza", eludessero nei fatti il dibattito, uno dei più
importanti e "delicati". Conobbi Giovanni proprio per questo:
impegnato in una prima frequentazione del Movimento Nonviolento di Verona
(allora avevo 15-16 anni), avevo per mio conto sviluppato un forte interesse
per l’anarchismo e proprio sulle pagine di "Azione Nonviolenta"
trovai la notizia di uno degli incontri da lui promossi su "anarchia e
nonviolenza", a Ivrea, che avevano l’obiettivo di contaminare tra loro le
culture anarchica e nonviolenta e poi di creare un vero e proprio movimento
anarchico nonviolento. Fu quindi il primo anarchico che conobbi: qualcuno, con
malizia, mi disse in seguito che ero fortunato se avevo continuato il percorso
di avvicinamento all’anarchismo anche dopo averlo conosciuto. Per alcuni anni i
nostri contatti furono abbastanza stretti, fino all’organizzazione di incontri
su "anarchia e nonviolenza" anche a Verona, ed alla stampa di un
opuscolo sulla comparazione del pensiero anarchico con quello di Gandhi. Poi,
con gli anni, anche in seguito all’acuirsi di alcune divergenze, si fecero più
rarefatti fino quasi a scomparire del tutto, per poi riprendere saltuariamente
negli ultimi tempi: la malattia e le delusioni avevano reso Giovanni più debole
ma anche più interessato alla riflessione e meno allo scontro, più disponibile
al dialogo. Di lui mi rimane, oltre ai numerosi ricordi di incontri e
discussioni, l’abito mentale a non dare per scontata, a non evitare la
riflessione critica sui riflessi comunque autoritari della violenza, anche di
quella liberatrice, riflessione e pratica che è linfa vitale del mio anarchismo
come dell’attività antimilitarista, uno dei campi in cui mi sono sempre più
sentito coinvolto. Negli ultimi mesi tante morti hanno rapito persone care e
particolarmente vicine come Marina Padovese oppure stimate e conosciute, come
Pier Carlo Masini o Joyce Lussu. Sono convinto che la morte di Giovanni
riuscirà a strappare solo poche righe nei nostri giornali, e quindi mi preme di
ricordarlo così, su questo foglietto allegato al "Disertore": un
piccolo bollettino, proprio come i suoi "Fogli".
Ciao, Giovanni.
Andrea Dilemmi