IL DISERTORE
Foglio di
collegamento della Cassa di Solidarietà Antimilitarista
N. 23 –
Agosto/Novembre 1999
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Sommario:
- Scusate il ritardo
- Corruzione di minori:
professionalizzazione dell’esercito e pubblicità
- Non vogliamo schiacciare quel bottone:
donne ed eserciti
- Nonsottomessi: nuove dichiarazioni
- Spagna: nonsottomessi nelle caserme
- Brevi
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L’avrete notato da soli: abbiamo saltato un
numero del bollettino e così questo vale per due. La ragione principale, e ce
ne scusiamo con voi, sono stati nostri impegni personali. Oltre a questi hanno
sicuramente pesato anche la mancanza di notizie e materiali pervenuteci. Non
sappiamo se non fanno più processi ai nonsottomessi o se sono i nonsottomessi
stessi a non segnalarceli; in ogni caso invitiamo chiunque abbia qualcosa che
pensa possa interessarci a spedirla, e ringraziamo quindi chi già da tempo ha
questa attenzione.
Un’altra osservazione: nel 1991, subito dopo
la Guerra del Golfo, ci fu un’esplosione di nonsottomessi: si passò nel giro di
pochi mesi da una decina ad una trentina, se non ricordiamo male. La recente
guerra della Nato, da questo punto di vista, non sembra aver prodotto un simile
segnale di rifiuto in termini immediati. Segno, anche questo, dei tempi che
cambiano (in peggio)?
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Gardaland è un parco di divertimenti sul
Lago di Garda, non distante da Verona. È in questo mondo di plastica che
l’esercito ha pensato bene di realizzare, in piene vacanze estive, RAP Camp,
con la collaborazione dello stessa direzione di Gardaland, che è tra gli
sponsor di varie pagliacciate simili in altri luoghi. RAP Camp è un baraccone
pubblicitario dell’esercito: per una giornata intera si possono ammirare e
"montare" i mezzi militari e si può allegramente giocare con
simulazioni di guerra. Se sei bravo ti regalano qualche gadget, e in ogni caso
puoi riempirti le tasche di simpatici volantini che ti fanno notare a chiare
lettere che arruolarti come volontario nell’esercito è l’unico lavoro sicuro e
remunerativo del futuro. Il tutto farcito con contorno di muscolosi parà e di
Sound System con DJ in mimetica.
Come lo chiamerebbero "loro"?
Istigazione a delinquere, apologia di reato, corruzione di minori? Noi lo
chiamiamo propaganda dell’assassinio legalizzato. Già, perché gli eserciti,
oggi, non sono statici baracconi con ufficiali malinconici e filosofi come nel
Deserto dei Tartari di Buzzati. Gli eserciti oggi si usano, sono macchine che
si muovono per il mondo e sparano, ogni giorno.
Per questo c’è bisogno di lucidare e oliare
il meccanismo, e per questo servono, come siamo abituati a sentire, efficienza
e professionalizzazione. I due concetti servono a definire due processi:
ammodernamento della struttura e legittimazione sociale.
Con la fine della Guerra fredda e l’avvento
di un mondo multipolare, dove le densità di potere non sono così chiaramente
definite come un tempo, le potenze economiche e militari devono intervenire più
spesso per affermare il loro dominio quando venga messo in discussione da altri
poteri "disturbanti". Questo Nuovo ordine mondiale si basa sulla
mobilitazione militare perpetua (di bassa o alta intensità) e necessita di strumenti
militari rapidi, snelli e tecnologicamente avanzati. Parallelamente, una
situazione di guerra perpetua necessita di un sufficiente consenso sociale su
cui appoggiarsi. I processi di professionalizzazione di alcuni eserciti europei
vanno in questa direzione.
Il 3 settembre scorso il consiglio dei
ministri ha approvato un disegno di legge per la professionalizzazione delle
Forze Armate e la conseguente abolizione del servizio di leva nel 2005. Il
provvedimento serve sia per "rifare" l’esercito in vista dei suoi compiti
pseudo-imperiali del 2000 (non a caso l’Italia vorrebbe entrare nel Consiglio
di sicurezza dell’ONU), sia per ottenere quel consenso sociale che, dicevamo,
risulta necessario. Finalmente farà il militare solo chi vorrà, senza inutili
sprechi ed odiose coercizioni, e per giunta bene, in modo
"professionale". Nell’era della delega e nel regno dell’esperto
imparare ad ammazzare sarà un mestiere rispettabile, come fare l’avvocato, il
medico, l’assicuratore, l’architetto. D’altronde la guerra, ridiventata un
evento normale, quotidiano, ha bisogno come altri di qualcuno che se ne occupi.
L’abolizione della leva, che potrebbe
segnare la fine (tranne che in previsti casi eccezionali) dell’obbligo imposto
dallo stato di destinargli un anno della propria vita, non è certo frutto,
quindi, di un diffuso consenso alle tematiche antimilitariste. Non si pone,
comunque, per noi l’alternativa - falsa e fuorviante - fra esercito di leva ed
esercito professionale: sapendo riconoscerne le trasformazioni, è l’esercito in
sé che va combattuto.
Resta da vedere cosa sarà in futuro di
questo Disegno di legge, visti i problemi di finanziamento (è previsto infatti
un forte incremento delle spese) e l’ovvia opposizione della lobby delle
holding del Servizio civile: Caritas, Arci, Legambiente, WWF, che si sono
incontrate, assieme ad alcune delle associazioni di obiettori di coscienza
(Associazione Obiettori Nonviolenti) in un "insolito" abbraccio con
storici difensori dell’esercito di leva (vedi Rifondazione). Potrebbero
ottenere l’introduzione di un "Servizio civile volontario" ancora
finanziato dallo stato.
Inoltre, l’arruolamento volontario non va
così bene come sembra: nel 1998 su 14.000 posti disponibili per le tre armi
sono pervenute 10.756 domande. Solo in 4.148 si sono presentati alla prima
selezione, e gli ammessi sono stati 3.157.
Ecco quindi due strade per
"rimpolpare" i ranghi: l’apertura alle donne (che fa anche più buono
e democratico), che in molti paesi rappresenta la quota di arruolamenti che
copre il deficit maschile per raggiungere il numero minino necessario di
arruolati, e, contemporaneamente, le campagne promozionali.
Dalle discoteche agli "happening"
in piazza, alle spiagge, alle scuole, l’esercito bombarda i giovani di
allettanti pubblicità: opportunità di lavoro e di realizzazione personale,
scuola di vita, strumento di successo, occasione di solidarietà.
Questa storia di Gardaland simboleggia
l’apice di tale degradazione. Nel parco dei divertimenti ci si può svagare ad
ammazzare per finta. Ma le armi questa volta non sono innocui giocattoli: sono
vere, servono sul serio ad ammazzare, a straziare, a distruggere. Il corto
circuito fra realtà e fantasia non può essere più totale. Come Squeak the
Mouse, ci si può trovare ad ammazzare stando in un cartone di Walt Disney.
Realtà virtuale e realtà "reale" coincidono tragicamente. Quale
sublime esempio di educazione alla pace e alla solidarietà!
Non dobbiamo abituarci alla presenza dei
militari e della loro propaganda cancerogena. Non dobbiamo permettere che si
facciano pubblicità nelle scuole, nei parchi giochi, ovunque. La "guerra
perpetua" non può diventare da quotidiana a scontata.
Cerchiamo quindi di disturbare queste
squallide operazioni di marketing, boicottiamone gli sponsor
"civili", e non stanchiamoci di elencare e ricordare i crimini di cui
i militari, sempre e ovunque, si rendono protagonisti. Perché se sono
professionisti di qualcosa, lo sono del peggior crimine: l’assassinio
legalizzato.
***
Non vogliamo premere quel bottone
Ecosì ci risiamo: abbiamo scoperto per
l’ennesima volta l’acqua calda. Pure tu, donna, anche se sei meno muscolosa,
anche se a casa tra i calzini sporchi e le camicie da rammendare già eri ben
addestrata a dire "Signorsì" chinandoti ai desideri e alla volontà del
maschio, ora potrai accedere, anche in Italia, all’apparato militare.
Schiacciando un semplice bottoncino potrai fare come i soldatini maschi:
migliaia di morti.
È tutto molto più semplice di quel che può
sembrare: devi obbedire, avere buona mira, non fare domande (né tanto meno
portene), e anche tu magicamente sarai complice, anzi protagonista, di omicidi
programmati e legalizzati.
Naturalmente non tutte avranno
quest’opportunità: prima ci saranno i cessi da pulire, le pentole da lavare e
bisognerà soprattutto saper dimostrare di essere ligie al dovere, proprio come
nelle "migliori famiglie", dove la donna sa stare al suo posto e
tirare fuori le unghie solo quand’è opportuno, ovvero con chi è più debole.
Insomma, l’ennesima presa per il culo mascherata goffamente da "pari
opportunità", che con la scusa della creazione di nuovi posti di lavoro ci
farebbe finire in uno dei luoghi fisici della morte e del sopruso, del
maschilismo e della gerarchia. In uno dei luoghi, ricordiamolo, dove si usa sistematicamente
l’umiliazione del corpo e del pensiero femminile per piegare le popolazioni,
insegnando ai bravi e ligi soldatini a stuprare. Non solo: a segnare con
amputazioni le vittime dei loro stupri così che esse, le donne ma anche le
bambine e le vecchie, diventino simbolo di un orribile dominio.
E noi dovremmo entrare in questo luogo per
cosa? Per emanciparci? O per subire stoicamente umiliazioni da caserma come
prova virile di forza? Non è più giusto dire che dovremmo appiattirci e
svuotarci della nostra specificità per emulare questi assassini omologati e
prezzolati?
No grazie. Io non ci sto e come me molte
altre individualità o gruppi di donne che alla logica del più forte, della
gerarchia e dell’essere pedina di interessi economici che si basano sullo
sfruttamento delle vite e dei territori altrui preferiscono
l’autodeterminazione e la pluralità. Al mondo militare che propone disciplina
calata dall’alto (Magari a suon di bombe all’uranio impoverito) o missioni
umanitarie devastanti contrapponiamo una lotta fatta di parole e gesti vivi che
vogliono un mondo vivo e non quell’immensa pattumiera che le devastazioni del
militarismo propinano.
Chiamano pace i villaggi bruciati, i bambini
e le bambine mutilati/e dalle mine antiuomo, i campi profughi. Pace sono anche
gli inevitabili errori durante gli allenamenti per la prossima guerra, che
provocano morti come quelli del Cermis, dove i militari adesso si arrogano
anche il diritto di chiedere il risarcimento danni per "lesione
all’immagine pubblica". Pace gli accordi tra potenti dove si decide come
ripartirsi i bottini di guerra. Tutti questi accordi, tutti i soldi che si
investono per rendere questo mondo più grigio, più sporco e più triste non ci
hanno viste e non ci vedranno complici, ma anzi continuiamo ad affermare che
siamo vive e che ci piace un mondo vivo ricco delle sue diversità (sessuali,
culturali, etniche...) continuando a lottare con parole e gesti che non si sono
riconosciute nella donna-manager, nella donna timorata di dio, né si
riconoscono nella donna militare, ma che anzi solidarizzano e s’incontrano con
le lotte degli obiettori totali, dei disertori e di tutte le individualità che
affermano "fuori la guerra dalla storia".
Emma
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Marco Pessotto, che già aveva resa pubblica
la sua indisponibilità all’arruolamento non presentandosi alla visita di leva,
ha ricevuto nel frattempo la cartolina. Evidentemente, non si è presentato in
caserma ma ha inviato al suo posto una breve missiva.
Non sono una marionetta
Al distretto militare di Padova
Al Ministero della Difesa - Levadife
Al 84° BTG "Venezia" di Falconara
Marittima
Con la presente intendo informarvi che il
20/10/’99 non sarò a Falconara Marittima per compiere il servizio militare.
La cosa non dovrebbe stupirvi: sino già
stato dichiarato renitente il 2/10/’97, e la mia mancanza era stata
accompagnata da una missiva che ne illustrava le motivazioni.
Oggi riconfermo quello che avevo deciso due
anni fa: non mi consegno a degli assassini con le stellette.
Non avete nemmeno più la scusante che non
avete mai! (mai!) fatto male a nessuno, che è solo un’esperienza di vita, che
il periodo delle guerre è finito da molto: devo forse ricordarvi Belgrado in
fiamme?
Mi dissocio dalla vostra organizzazione di
miseria e distruzione. Non sono una marionetta nelle vostre mani sporche di
sangue.
Marco Pessotto
Gaiarine (TV)
29 settembre 1999
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Spagna:
NONSOTTOMESSI NELLE CASERME
Continuano in tutto lo stato spagnolo le
dichiarazioni, i processi e le incarcerazioni per "Nonsottomissione nelle
caserme". Di fronte alla professionalizzazione delle Forze Armate
attraverso la progressiva eliminazione, già in atto, della leva obbligatoria,
gli antimilitaristi in Spagna hanno deciso di rispondere con una campagna che
prevede l’arruolamento come volontari e la pubblica diserzione dopo due o tre
giorni di caserma. Come abbiamo fatto notare negli scorsi numeri del Disertore,
le pene a cui vengono condannati sono pesanti e quindi hanno bisogno di tutta
la nostra solidarietà.
Fino ad oggi su 30 nonsottomessi nelle
caserme sono stati processati da tribunali militari e condannati in 14. Gli
ultimi in ordine di tempo sono stati:
Raùl Alonso, di Valladolid, il 10 marzo
scorso. Il giorno del processo, per protesta, il consiglio di facoltà di
Filosofia dell’Università di Valladolid ha decretato un giorno di sospensione
dell’attività docente.
Miguel Angel Burón, di Madrid, il 18 marzo
scorso. Una cinquantina di persone hanno manifestato la loro solidarietà
davanti al tribunale.
José Manuel, di Valladolid, il 15 aprile.
Unal Molinero, di Bilbao, il 20 maggio.
Durante il suo processo l’accusa ha chiesto una condanna a 4 anni di carcere
militare.
Rafael Fernández, di Siviglia, il 9 giugno,
dopo 6 mesi di carcere preventivo. Rafael ha dovuto subire 17 giorni di
trasferimenti attraverso carceri civili prima di "arrivare" alla sede
del processo.
Nuovi nonsottomessi nelle caserme sono
Javier Rodriguez, di Portugalete, che si è presentato fuori dalla caserma
vestito da vichingo con alcuni compagni. Rappresentando il dio DeserThor e suo
padre Odinonsottomesso, hanno simulato l’abbattimento di una porta di fronte al
Comando Militare di Bilbao. A Barcellona si è presentato, durante una
manifestazione contro la guerra, José Millàn.
Oltre al citato Rafael Fernendez sono stati
inoltre incarcerati, con condanna a 2 anni e 4 mesi: Ignacio Ardanaz Ruiz
(Taxio), il 26 marzo; Raul Alonso, di Valladolid, in giugno. Nel frattempo,
durante un’azione nonviolenta per il decimo anniversario dell’insumisión, è
stato arrestato Javi Gómez, di Bilbao. Il 14 luglio, infine, sono stati
arrestati Joseph Ghanimede e Alberto Naya durante la celebrazione di una
processione in onore di San Insumisión, compresa ovviamente di vinazza,
frittata, frittelle, gente (circa 100 persone) e tamburi, il tutto davanti al
Tribunale militare di A Coruña. Qui si sono consegnati, non prima di essersi
spogliati di una divisa militare sotto la quale si nascondeva una casacca da
carcerato. Tutti e sei si trovano nel carcere militare di Alcalá de Henares.
Per scrivere ai nonsottomessi in carcere:
Establecimiento Penitenciario Militar de
Alcalá de Henares, Carretera de Meco, km. 5, 28805 ALCALÁ DE HENARES (MADRID).
Info:
- Mambrù, n°60 - Ap. de Corr. 1286, 50080
Zaragoza (España); e-mail: mambru@posta.unizar.es
- Boletìn electronico antimilitarista, n°15,
set. ’99 - http://www.uv.es/~alminyan
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Lunedì 4 ottobre si è tenuto a Verona il
processo contro i 21 antimilitaristi denunciati nel dicembre del 1995 in
occasione del processo contro Max Terzi, un nonsottomesso veronese, per il
rifiuto del servizio militare e di quello civile. Quel giorno Max venne
condannato a cinque mesi di carcere, mentre era da pochi giorni in carcere,
sempre a Verona, un altro nonsottomesso della città, Stefano Capuzzo.
La mattina del processo una quindicina di
compagni e compagne si ritrovano davanti al Tribunale: qualche volantino, due
striscioni, un microfono per spiegare ciò che stava avvenendo. Con il pretesto
del sequestro di uno striscione ("Quando la patria chiama… rispondi
signornò") la polizia aggredisce i manifestanti, arrestandone cinque e
facendo scattare ventuno denunce. I reati contestati sono manifestazione non
autorizzata, oltraggio e resistenza aggravata a pubblico ufficiale, istigazione
a commettere reati.
Il processo è stato diviso in due, avendo
alcuni degli imputati richiesto il rito abbreviato.
La prima sentenza è stata di assoluzione per
tutti, tranne una pesante condanna a quattro mesi per Michele Pircher, unico
presente di coloro che furono arrestati, che ha già scontato una condanna a
quattro mesi per il rifiuto del servizio militare mentre ha tuttora pendente una
condanna – con la condizionale – ad un anno e quattro mesi per il rifiuto del
servizio civile.
Per tutti coloro che non si sono presentati
e che quindi non hanno richiesto il rito abbreviato, e per due compagne alle
quali è stata negata questa possibilità, il processo sarà in primavera.
Sono sempre utili sottoscrizioni per il
pagamento delle spese processuali. Potete utilizzare il numero di conto
corrente della Cassa (vedi ultima pagina) specificando nella causale
"processo Verona".
La Passalacqua e la Santa Marta sono due
enormi caserme nel centro di Verona: le due più grandi aree verdi della città.
Da anni erano in via di dismissione e si parlava di un campus per l’università,
anche se potevano essere utilizzate per moltre altre cose ancora. Ma...
sorpresa! In realtà il Governo, con il silenzio del Comune, le ha assegnate
alla NATO per la realizzazione di un enorme Comando. Mentre i politici si
scandalizzano sulle pagine dei giornali, è nato un comitato che vuole opporsi
al nuovo Comando e ne chiede la restituzione ai cittadini. Si riunisce a Verona
presso il Circolo Pink, in Via Scrimiari 7.
La guerra continua. Il Procuratore del
Tribunale militare di Verona ha aperto un’inchiesta per il reato di "istigazione
alla diserzione". I fatti: Trento, Facoltà di Sociologia, mese di maggio
1999. Si tiene un dibattito sulle testimonianze dirette dai Balcani, presenti
vari oratori. Giannina Dal Bosco, delle Donne in nero di Verona, racconta la
sua esperienza di viaggio nei Balcani e dà notizia di un gruppo di disertori
dell’esercito Yugoslavo respinti alla frontiera di Trieste nonostante la legge
italiana sull’accoglienza ai disertori dell’Ex-Yugoslavia.
I militi presenti prendono nota e fanno
rapporto. Circa un mese fa l’inaspettata sorpresa: Giannina viene invitata dai
Carabinieri per un interrogatorio, e ha occasione di scoprire sulla propria
pelle dell’inchiesta in atto.
Un ennesimo "effetto collaterale"
della guerra: come è noto, le conseguenze dei conflitti si trascinano nel
tempo.