Abolire la leva? abolire gli eserciti!
Il 3 settembre 1999 il Consiglio dei ministri ha approvato attraverso un disegno di legge presentato dal ministro della Difesa Scognamiglio la professionalizzazione totale delle Forze Armate e l’abolizione del Servizio di leva entro il 2005. Al momento in cui scrivo il testo non è ancora stato reso pubblico, ma le dichiarazioni del ministro e la copertura massmediatica della notizia possono contribuire a farsi un’idea del contenuto della decisione.
Dal 2005 le Forze Armate dovrebbero essere composte esclusivamente da volontari: 113.000 soldati e 77.000 fra ufficiali e sottufficiali. I tipi di ferma saranno due: breve (1 anno) e lunga (5 + possibilità di altri 4). Le donne avranno "pari opportunità di carriera e d’impiego". Ai volontari che terminano il servizio saranno riservati sbocchi nelle Forze Armate, di polizia, nei Vigili del Fuoco e nella Pubblica Amministrazione. La leva obbligatoria di massa rimane in caso di guerra o in casi eccezionali.
Si chiude con questo provvedimento la serie di interventi inaugurata al crepuscolo degli anni ’80 e volti alla cosiddetta professionalizzazione delle FF. AA. secondo il Nuovo Modello di Difesa.
Finita la Guerra Fredda, la necessaria ridefinizione del concetto di "minaccia", moderno surrogato dell’antiquato "nemico" ha portato prima alle operazioni di "polizia internazionale" sotto mandato ONU ed infine alla guerra diretta per "fini umanitari". Questo processo, in linea con la ridefinizione degli assetti mondiali di potere collegata al processo di globalizzazione economica, ha avuto bisogno di ammodernare uno strumento essenziale, rappresentato dalle Forze Armate. Una serie di paesi europei ha proceduto quindi a progetti di riforma dei propri arsenali ed eserciti; fra questi l’Italia.
Per quanto riguarda la gestione della carne da cannone, Francia e Spagna hanno preceduto di qualche anno l’Italia sulla strada dell’abolizione della leva obbligatoria, un processo che viene affiancato da una strategia di riqualificazione dell’immagine delle Forze Armate presso un’opinione pubblica scettica o disinteressata (per l’Italia) o in parte apertamente ostile (Spagna). L’abolizione della leva obbligatoria, oltre agli evidenti vantaggi propriamente militari per le contemporanee e future Blitzkrieg umanitarie globali, è infatti un potente strumento di consenso: finalmente farà il militare solo chi vorrà, senza inutili sprechi (si veda la "perdita di tempo", spreco per eccellenza nell’era della comunicazione globale) ed odiose coercizioni, e per giunta bene, in modo "professionale". Nell’era della delega e nel regno dell’esperto imparare ad ammazzare sarà un mestiere rispettabile, come fare l’avvocato, il medico, l’assicuratore, l’architetto. D’altronde la guerra, ridiventata un evento normale, quotidiano, ha bisogno come altri di qualcuno che se ne occupi.
Il governo D’Alema , con la decisione di questi giorni, spinge il piede sull’acceleratore. Eravamo rimasti infatti al Disegno di legge Prodi del gennaio ’97, che prevedeva una robusta (ma non completa) professionalizzazione delle Forze Armate ma il contemporaneo mantenimento della leva obbligatoria attraverso un "Servizio civile nazionale" obbligatorio. La nuova Legge sull’obiezione di coscienza approvata nel luglio dello scorso anno restava nella medesima linea prefigurando la creazione del famigerato Servizio civile nazionale. Già ai tempi D’Alema si era pronunciato a favore della professionalizzazione completa e dell’abolizione della leva, ma avevamo interpretato le sue come uscite più che altro strumentali.
Resta da vedere cosa sarà in futuro di questo Disegno di legge, visti i problemi di finanziamento (è previsto infatti un forte incremento delle spese, anche a fronte dei risparmi sull’abolizione della leva) e l’ovvia opposizione della lobby delle holding del Servizio civile: Caritas, Arci, Legambiente, WWF, che si sono incontrate, assieme ad alcune delle associazioni di obiettori di coscienza (Associazione Obiettori Nonviolenti) in un "insolito" abbraccio con storici difensori dell’esercito di leva (vedi Rifondazione). Potrebbero ottenere l’introduzione di un "Servizio civile volontario" ancora finanziato dallo stato.
La polemica, evidenziata dalle contrapposte opinioni pubblicate sulle pagine del "Manifesto", si basa sulla falsa contrapposizione fra esercito di leva e servizio civile rispetto all’esercito di volontari: la leva obbligatoria sarebbe preferibile perché garantirebbe maggior possibilità di controllo e di riforma, mantenendo una funzione educativa per alcuni, mentre per altri è la contropartita del servizio civile che permette questa funzione educativa, garantendo servizi sociali che lo stato non è più in grado o non vuole mantenere.
Solo in un caso sul "Manifesto" si evidenzia (è un articolo di Marco Bascetta del 7 settembre) come la leva obbligatoria (militare o civile) sia "lavoro coatto" e come sia "interesse dei sudditi di sottrarvisi", che "non ha mai contribuito all’evoluzione e alla democratizzazione della società" e che "la vita militare è servita ad inculcare obbedienza cieca, rispetto delle gerarchie, disciplina funzionale alla fabbrica e alla stabilità dei poteri forti": "ciò che non è riformabile è il principio del lavoro coatto, la servitù e l’imposizione". Nutriamo forti dubbi sulla conclusione di Bascetta (il problema starebbe nel "controllo democratico") ma condividiamo l’analisi.
Quasi unica fra le associazioni degli obiettori, la Lega Obiettori di Coscienza saluta l’abolizione della leva obbligatoria ponendosi ancora l’obiettivo dell’abolizione delle Forze Armate. Di fronte alla possibilità dell’introduzione di un Servizio civile volontario, opta per un "riempimento di contenuti" dello stesso.
Da un punto di vista antimilitarista occorre porre l’attenzione sul fatto che l’abolizione della leva non è il frutto di un generalizzato discredito sociale dello strumento e dell’ideologia militare accompagnato da diffuse forme di rifiuto e di insubordinazione all’obbligo, ma un provvedimento in linea con la modernizzazione delle Forze Armate e la riqualificazione dell’immagine delle stesse nella società.
Nessun rimpianto per la leva obbligatoria, ma nessun brindisi. Lo stato continua a organizzare ed a combattere guerre e a considerarci, qualora dovesse averne bisogno, carne da cannone.
L’alternativa esercito di leva/esercito professionale è una falsa alternativa: l’obiettivo non può che essere l’abolizione delle Forze Armate e delle strutture di dominio, condizioni necessarie per lo sradicamento delle possibilità della Guerra.
Le sbandierate "pari opportunità" per le donne sono in realtà ancora una volta l’apertura dell’accesso ad un universo fisico e simbolico maschile (auspichiamo un rovesciamento della questione: che nessuno faccia il militare) ma soprattutto un fattore strumentale alla professionalizzazione: è principalmente l’ingresso delle donne che sopperisce statisticamente (si veda il caso spagnolo) ad una certa "crisi di vocazione" maschile che rischia di non far raggiungere le quote minime previste di arruolamenti.
I forti incrementi salariali e la garanzia di un posto di lavoro contribuiranno alla caratterizzazione "di classe" del nuovo esercito: la carne da cannone saranno soprattutto i ragazzi senza lavoro del Sud, paradossalmente schierati a difesa degli interessi economici dell’Italia nel mondo. La forte quota di posti garantiti nell’amministrazione pubblica favorirà inoltre un processo di militarizzazione della stessa.
Occorrerà inoltre ragionare intorno alle conseguenze dell’eventuale introduzione di un servizio civile volontario e sul ruolo del volontariato in generale, sia per la sua possibile forma di "ricatto differito" (maggiori "punti" a chi svolge lavoro gratis in determinati enti ed associazioni), sia per la "delegittimazione" delle forme di autorganizzazione non inserite in questo quadro che può indurre. Si pensi al paradosso che già oggi avanza, visto che alcuni Centri sociali si sono rivolti alla L.O.C. per avere informazioni su come ottenere la convenzione per disporre di obiettori in servizio civile, per il momento ancora "coatti".
Il fattore sicuramente più preoccupante riguarda però il successo della politica di riverniciatura delle FF. AA. rispetto alla società, pure a fronte di un’infinita quantità di episodi criminali che le hanno viste coinvolte a vario titolo in questi anni: la strage di Casalecchio, la Somalia, la strage di Otranto, il Cermis, la recente guerra nei Balcani, ed ora di nuovo la Folgore ed Ustica. Oggi, inoltre, lo stato può addirittura permettersi di eliminare un potente strumento di educazione all’obbedienza.
Si tratta di lavorare ancora per ostacolare il più possibile il tentativo di nascondere la natura intrinsecamente criminale degli eserciti, smontando le campagne pubblicitarie (si veda il R.A.P. Camp), la menzogna della Guerra umanitaria e la strumentalizzazione in funzione pro-professionalizzazione di episodi come quello di Pisa.
A livello del mondo del lavoro si pone la questione dell’opposizione all’aumento delle quote riservate agli ex militari ed all’aumento delle spese militari a fronte dei continui tagli delle spese sociali.
Occorre infine continuare a sostenere chi rifiuta oggi sia il servizio militare che quello civile, valutando per il futuro nuove forme di disobbedienza civile come quella che in Spagna si chiama "nonsottomissione nelle caserme", ovvero l’arruolarsi come volontari e il disertare pubblicamente dopo alcuni giorni.
Dile
* Pubblicato su: Umanità Nova – settimanale anarchico, ottobre 1999.