Lavori in corso La riforma della leva E' quindi partita in pompa magna proprio con il sinistro governo Prodi la grande stagione di riassetto della leva e della forma dell'esercito, del "fare la guerra" all'italiana. Le cose sono ancora troppo nel vago perché si possano dare analisi puntuali e definitive, questo nonostante la grande stampa dia già per "prese" tutta una serie di decisioni che sono ancora in fase di definizione. Quello che però possiamo cogliere sono le linee di fondo, le ragioni, le prospettive di queste manovre che vedranno nei prossimi anni - come già in parte stiamo sperimentando - cambiare profondamente la struttura, i modelli, le funzioni che hanno caratterizzato le forze armate nel contesto della società italiana degli ultimi cinquant'anni. C'era una volta... Non si può comprendere l'attuale discussione sulla leva senza contestualizzarla in quello che è stato definito il "Nuovo Modello di Difesa". Con l'89 e la caduta dei regimi dell'Est si apre una nuova fase degli equilibri di potere nel mondo, e la cesura è talmente "radicale" che c'è già chi la indica come la chiusura (e l'avvio) di un'epoca. In effetti crolla un intero mondo ed un intero paradigma ideologico e psicologico, quello che per cinquant'anni aveva ingabbiato le popolazioni di metà - e più - del globo nella contrapposizione tra regimi "comunisti" e democrazie capitaliste sotto la persistente minaccia della distruzione del pianeta: l'era dell'atomica e della Guerra Fredda. Di fronte all'ingenua euforia che segue la caduta del Muro, infarcita di fatue quanto interessate illusioni sulla fine della minaccia militare e della possibilità stessa della guerra nella storia, qualcuno effettivamente avrebbe potuto chiedersi cosa ci stessero a fare queste immense macchine di distruzione sparse per il pianeta se il "nemico" era scomparso. Ed in effetti questa eventualità viene in breve scongiurata in quella che è una vera e propria caccia al nuovo Nemico, perché non manchi mai la giustificazione dell'esistenza del Potere e del suo braccio armato, l'esercito. Solo due anni dopo un primo ritrovamento: Saddam, ed è la Guerra del Golfo. Ma la ricerca si fa complessa: a tutt'oggi, come ci conferma Stefano Semenzato, senatore verde, "il nostro modello di difesa... è in una situazione in cui interessi materiali, burocrazie interne, inerzie culturali tendono a portare avanti ristrutturazioni nelle più diverse direzioni: si continuano così a produrre carri armati, concepiti dieci o venti anni fa e destinati a difendere la soglia di Gorizia dall'invasione delle truppe sovietiche, e insieme si progetta la nascita di nuove portaerei per improbabili missioni a difesa di interessi italiani sparsi sul pianeta. Tra i due estremi si trova chi vuole difenderci con esercito, marina ed aereonautica dagli immigrati, chi teme la Libia; chi si vuole preparare ad una nuova Guerra del Golfo; chi fa presente il pericolo russo e così via. ...Insomma, la sensazione di chi sta in un osservatorio particolare come quello di una commissione Difesa del parlamento è che negli stati maggiori e nel ministero ognuno, a seconda delle proprie convinzioni o convenienze, individua una qualche minaccia e chiede soldi, armi e uomini per farvi fronte."1 La nuova concezione del ruolo dell'esercito, al di là delle varie "minacce" prospettate, cambia radicalmente l'oggetto delle sue attenzioni. Non più la tanto rivendicata (dai pacifisti) e costituzionale "difesa dei confini da aggressioni esterne" bensì direttamente, ed in coerente linea con i processi di globalizzazione, la "difesa degli interessi vitali - politici, strategici, economici - dell'Italia nel mondo". Un testo illuminante (una vera e propria pietra miliare) è l'intervento dell'allora ministro della difesa, il socialista Salvo Andò, alla quarantaquattresima sessione del Casd, Centro di alti studi della difesa, Roma, 13 ottobre 1992: "Negli scenari geopolitici che si vanno delineando, l'Europa è davanti a compiti più impegnativi, non più limitati alla garanzia della sua integrità territoriale. Occorre che nelle forme e nei modi opportuni, i paesi europei diano il loro contributo alla risoluzione delle crisi che minacciano la comunità internazionale nel suo insieme, e quindi - direttamente o indirettamente - l'Europa stessa". Al "mutamento degli scenari internazionali con conseguente mutamento della minaccia" si aggiunge "una sfida interna della criminalità organizzata a cui lo stato sta rispondendo anche con l'impiego delle forze armate". E' su questi fenomeni che "s'impernia il "nuovo modello di difesa" che punta a mettere a disposizione del nostro paese forze più contenute, con prontezza differenziata, agili, flessibili, facilmente integrabili in complessi multinazionali. Allo stesso tempo però questa realtà, per poter essere pienamente fruita, richiede un netto miglioramento qualitativo dello strumento militare, la revisione in senso unitario e di maggior efficienza dell'organizzazione di comando, un adeguamento delle strutture ai nuovi scenari d'impiego, e infine anche una riforma del rapporto tradizionale tra volontariato e leva. Per il controllo del territorio in funzione anticrimine possiamo pensare a una missione, o se vogliamo a una specializzazione, in aggiunta a quella assegnata alle forze armate attuali. Ma resta il fatto che anche quest'esigenza più recente conferma le linee-guida del nuovo modello di difesa, in quanto viene soprattutto a richiedere una maggior professiona- lità dello strumento militare." 2 Nuovi obiettivi della leva Conseguente a questa nuova impostazione è il progetto di riforma del servizio di leva, le cui motivazioni sono da Andò chiaramente messe sul tappeto: "L'ipotesi di modello di arruolamento misto, verso il quale ci si sta orientando, richiede di conciliare diverse esigenze. Vi sono - in primo luogo - esigenze di bilancio che impongono una sensibile riduzione quantitativa, di circa il 30%, dello strumento militare al fine di recuperare risorse per i necessari ammodernamenti. ...Secondariamente, le esigenze di maggior qualificazione richiedono di indirizzarsi verso forze più professionalizzate, soprattutto con riferimento all'esercito. Si va quindi a configurare a regime un complesso militare con un consistente aumento di volontari, circa tre volte in più degli attuali, e una parallela riduzione di oltre il 50% della leva". In questo senso le esternazioni dalemiane su un'esercito "tutto volontario" appaiono più come sparate per guadagnarsi facili consensi dei giovani che vedrebbero di buon occhio l'abolizione della coscrizione obbligatoria più che progetti reali: di concreto c'è solo la prospettiva che viene indicata dal nuovo modello di difesa in una sostanziale quanto significativa continuità dai ministri socialisti della difesa fino al governo Prodi. Riassumendo: risparmiare per professionalizzare, quindi forte riduzione dell'organico di leva e del periodo di ferma e aumento numerico e qualitativo dei militari di professione, inquadrati in corpi speciali ad alta densità tecnologica, con nutriti stipendi e relativi compensi per le missioni, oltre ad un canale preferenziale per entrare come dipendenti dell'amministrazione statale una volta smessa la divisa grigioverde. Questi i principali mutamenti, in parte già in fase di attuazione, nell'ambito del servizio militare. Il servizio civile nazionale I vari progetti di riforma del servizio civile non sono quindi il frutto di un ampliamento dell'influenza di una concezione pacifista né tantomeno l'effetto di una lotta sociale: sono in realtà soltanto una variabile funzionale alla riforma delle forze armate. Una prima conferma ce la offre ancora il fido Andò: "Certamente questo nuovo disegno delle forze armate nazionali richiede di risolvere a priori quella sorta di disparità sociale che verrebbe a crearsi tra chi è toccato, e chi no, dalla leva. L'ipotesi di un servizio nazionale, obbligatorio per tutti i giovani, vuol bloccare questa forma di potenziale disparità venendo anche incontro alla diffusa sensibilità di poter prestare i propri obblighi verso la patria in forme che non s'identifichino necessariamente con il servizio in armi". I documenti ufficiali in discussione sulla riforma del servizio civile sono due e mostrano alcune differenze, anche se spesso si tende a confonderli: da una parte la proposta di riforma della legge 772/'72 sull'obiezione di coscienza in discussione al parlamento e dall'altra il Disegno di legge sul "Servizio civile nazionale" presentato dal Governo il 22 gennaio scorso. La riforma della legge 772, ri-approvata recentemente in Senato dopo un tortuoso iter (prima approvata, poi respinta al mittente da Cossiga, infine persa nelle paludi parlamentari) porta come novità il diritto soggettivo all'obiezione di coscienza (niente "giudizio" sulle motivazioni di coscienza dell'obiezione), il principio della parificazione con il servizio militare (ma restano tre mesi in più di "addestramento"), la territorialità, ovvero la prassi di svolgere il servizio civile nella regione di appartenenza, e l'uscita a livello gestionale dalle strutture del Ministero della difesa. Quanto anche modifiche così modeste diano fastidio alle gerarchie militari ed ai guerrafondai nostrani è testimoniato dalla fatica con cui la proposta di legge è arrivata ad un primo traguardo, ed alle difficoltà che ancora dovrà superare per una completa approvazione. Ma l'elemento più significativo e "rivoluzionario" è costituito dal disegno di legge del governo Prodi sul Servizio civile nazionale. Vediamolo nel dettaglio: innanzitutto, la gestione del Servizio civile nazionale viene affidata ad una Agenzia direttamente alle dipendenze della Presidenza del Consiglio dei ministri. Questo in contatto con il ministero della Difesa e con le Regioni; vengono formate una Consulta nazionale e delle consulte regionali per il servizio civile per l'individuazione delle attività e delle strutture pubbliche e private per l'utilizzo degli obiettori, per la loro formazione, la formazione di formatori e l'informazione sul servizio civile. In seguito alla parificazione fra servizio militare e civile, non sarà richiesta una dichiarazione di obiezione di coscienza ma varrà la possibilità di un' "opzione" da scegliere fra il servizio militare e quello civile. Faranno il servizio militare: 1) Tutti coloro che opteranno per il servizio militare; 2) Tutti coloro che, pur optando per il servizio civile "risultino necessari al soddisfacimento delle esigenze delle Forze armate"; 3) Personale femminile ammesso su base volontaria. Faranno il servizio civile: 1) Tutti coloro che optino per svolgere il servizio civile "e che non risultino necessari al soddisfacimento delle esigenze delle Forze armate"; 2) Tutti coloro che, per obbedienza alla coscienza, "non accettino l'arruolamento nelle FF.AA. e nei corpi armati dello Stato"; 3) "I cittadini abili al servizio militare eccedenti il contingente di leva che ne facciano volontariamente richiesta"; 4) "Cittadine italiane che, a titolo volontario, ne facciano richiesta". Inoltre, "si prevede per il futuro la possibilità che possano accedere al Servizio Civile anche i cittadini non italiani residenti nei confini nazionali" 3. Le basi ideologiche del nuovo sistema Il progetto Prodi, abbiamo visto, viene da lontano. Ma le sue radici più dirette traggono la linfa proprio da quel mondo dell'associazionismo e del volontariato "pacifista" che maggiormente verrà investito dalla riforma. In particolare, la Caritas e l'Arci elaborarono due proposte nella primavera del 1996 che costituiscono i diretti antecedenti degli attuali progetti governativi. La proposta ARCI, presentata nel Marzo del 1996 prevedeva un servizio civile obbligatorio per i cittadini maschi "che si dichiarino obiettori di coscienza oppure optino per un periodo di servizio civile piuttosto che militare" affiancato da un servizio civile volontario "per un numero prefissato di ragazzi e ragazze, non abili a specifici compiti militari ma motivati ad attività di servizio civile... potrebbero essere avviate esperienze pilota di attività rivolte anche ai sedicenni e ai diciassettenni" 4. Quella della Caritas, un vera e propria proposta di legge, arriva pochi mesi dopo, nel giugno del 1996, e prevede, oltre all'obbligo del servizio civile per gli obiettori di coscienza, anche l'obbligo per gli arruolati nel servizio di leva che risultino eccedenti e di coloro che vengano dichiarati inabili al servizio militare. Anche qui si prevede la presenza delle "giovani donne" a titolo volontario5. Al di là delle differenze di dettaglio, quello che unisce le due proposte è il substrato ideologico: considerata la professionalizzazione delle forze armate come un dato di fatto, quello che si propongono è di "governare" la transizione. Più concretamente, si tratta di imbrigliare e sfruttare quella gran massa di giovani che risulterebbero eccedenti nel contesto di una forte riduzione del contingente militare di leva: "Che fine facciamo fare alle decine di migliaia di giovani che, pur obbligati alla leva, in questi prossimi dieci anni non saranno chiamati a svolgere il servizio militare? Data per impraticabile la risposta "lasciamoli a casa", si apre un terreno di riflessione che è vissuto come una grande occasione per lo Stato di aprire un dialogo con le nuove generazioni. ...con questi materiali si propone una modalità di valorizzazione di queste immense risorse giovanili da subito."6 Il primo interesse quindi di holding della solidarietà come Arci e Caritas non è un'ipotesi pacifista o tantomeno antimilitarista bensì l'occasione di "accedere ad una grande risorsa di saperi e di braccia"7. Evidente, in questo senso il fastidio mostrato verso ogni velleità di critica all'esercito e al militarismo: "L'idea di servizio civile ha finito con l'associarsi a quella di conflitto ideologico"8, oltre al dato non contestato della normalità e utilità dell'esistenza degli eserciti: "la sicurezza sostanziale e globale delle popolazioni è il frutto di azioni integrate e non della sola azione e presenza militare". Possiamo a questo punto cominciare a tirare qualche conclusione. Un esercito di crumiri Un dato che salta immediatamente agli occhi è cosa significhi gettare in un ambito come quello della "solidarietà" un contingente di 2-300.000 giovani all'anno invece degli attuali 30.000. In un contesto di smantellamento dei diritti "pubblici" e a prezzo calmierato (scuola, sanità, pensioni...) e di attacco alle garanzie sociali frutto di anni di lotte dei lavoratori, i colossi del Terzo settore (il "no profit") si propongono in questo caso come fattore di accelerazione dei tagli e dei licenziamenti, e non nascondono affatto i loro propositi: "le politiche sociali potrebbero essere più sostenibili in termini economici con una contrazione dei costi del personale, garantendo la continuità di determinati servizi sociali"9 Un'ampia serie di servizi, oggi svolti da personale stipendiato, potrebbero essere quindi affidati ad enti del Terzo settore che vi utilizzerebbero giovani in servizio civile. Inoltre, anche numerose forme di possibile creazione di reddito, quelli che vengono definiti i "lavori socialmente utili" e che potrebbero costituire una parziale soluzione al problema della disoccupazione giovanile, verrebbero in realtà coperti da serviziocivilisti. Il Disegno di legge del Consiglio dei ministri infatti così definisce i possibili settori di impiego del Servizio civile nazionale: "sviluppo della cultura, tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione: ...attività di vigilanza, prevenzione e previsione nonché di educazione ed assistenza agli utenti [per la] tutela dei beni ambientali, ...l'accesso ai musei, gallerie e monumenti, ...protezione civile, tutela della salute: ...assistenza domiciliare ... alle persone anziane e a quelle con handicaps fisici e mentali, ...prestazioni socio-sanitarie, ...attività sportive e ludiche per l'infanzia meno privilegiata", fino alla possibilità di richiamo di "coloro che hanno prestato il servizio civile per ...avvenimenti di interesse nazionale tipo Giubileo e Olimpiadi"10. Il nuovo Servizio civile nazionale produrrebbe quindi un esercito di lavoratori a basso costo militarizzati e non sindacalizzati che entrerà immediatamente in concorrenza con le fasce di giovani disoccupati, sempre più ampie ed ormai strutturali: bell'esempio di "etica della solidarietà"! Solidarietà coatta E' proprio il concetto di "solidarietà" uno dei cardini sui cui ruota la riforma del servizio civile, solidarietà che lenirebbe i problemi sociali prospettando un nuovo "patto di cittadinanza" fra le istituzioni dello Stato ed, appunto, i cittadini. Quale pratica di reale solidarietà sia possibile sotto minaccia di carcere e sanzioni ci è difficile comprendere. La pratica della solidarietà nasce come mutuo appoggio fra gli sfruttati, in particolare all'interno dei movimenti dei lavoratori, contro il potere dello Stato e dei padroni. Solo in questo senso la solidarietà è un'arma contro le devastanti conseguenze prodotte dall'assetto di potere politico ed economico attuale: solidarietà perché fra pari, perché libera e spontanea. Solidarietà perché conflittuale con le cause dei problemi sociali. Storicamente, l'interesse "umanitario" nei confronti dei "disagiati, poveri, sfortunati" e quant'altro è espressione di una concezione gerarchica dei rapporti sociali, in una parola: carità. Lenire gli effetti senza modificare il sistema che li produce, agendo da "calmiere sociale". Assistiamo qui non solo all'istituzionalizzazione della solidarietà come processo di riproduzione del sistema statale e capitalista, cosa non nuova, ma addirittura all'istituzione della solidarietà coatta, una contraddizione in termini tipica dei sistemi politici ed economici più totalitari, come quando all'inizio del secolo i lavoratori di Valdagno venivano obbligati dall'industriale Marzotto a lavorare gratis la domenica per finanziare la costruzione dell'ospedale che avrebbe curato i malanni prodotti loro dal medesimo sistema di lavoro. Tutto questo accompagnato da una militarizzazione degli stessi Enti, che già non sono un esempio edificante di democrazia interna, i quali dovendo "far lavorare" anche chi viene loro affidato senza libera scelta, svilupperanno ulteriormente il loro sistema repressivo: "Le sanzioni sono irrogate dal legale rappresentante dell'ente o dell'organizzazione interessati"11. L'assunzione della logica militarista che coniuga educazione e repressione, obbedienza e gerarchia è totale. Quale beneficio possa venirne alla stessa qualità dei servizi sociali interessati non possiamo francamente capire. Statalizzazione del Terzo settore e Difesa Popolare Nonviolenta Anche in questo caso il progetto del Servizio civile nazionale produrrebbe un'accelerazione di un processo già in atto: "Gli obiettivi di questa proposta sono prioritariamente rivolti a ...indicare nuovi strumenti e nuovi approcci per le politiche sociali in una welfare community in un quadro legislativo di incentivi al Terzo settore e con una pubblica ammini- strazione in grado di permettere alle forze sociali progettualità ed elevati standards di efficacia ...in un processo che gioverebbe alla necessaria, profonda autoriforma del Terzo settore stesso."12. Si tratta quindi di una funzione di "supplenza" degli enti rispetto ad alcune funzioni statali in fase di smantellamento che non va però nella direzione della apertura di spazi di autogestione bensì, proprio attraverso l'utilizzo dei serviziocivili- sti, nella direzione contraria, quella di un più stretto legame di relazione ed interdi- pendenza con i centri del potere. Questo riflette una modifica di mentalità e progetto politico che con il passare degli anni ha coinvolto il mondo pacifista. Se l'iniziale definizione di Difesa Popolare Nonvio- lenta presentava dei caratteri interessanti, oggi assistiamo ad un generale scivolamento verso la logica istituzionale che mette in discussione il ruolo stesso dell'ipotesi pacifista. Con forse eccessiva semplificazione, possiamo dire che la Difesa Popolare Nonviolenta viene pensata come un'insieme di pratiche che possano essere efficaci nel con- trastare sia un'invasione militare straniera, sia la nascita di processi dittatoriali interni ad un paese. In questo senso è la proposta politica storica che i movimenti non- violenti oppongono all'esistenza degli eserciti. Cardine della DPN è la disobbedienza civile come fatto generalizzato: una coscienza diffusa ed una rete di processi autonomi ed autogestiti nella società che si concretizzano nella pratica della non-collaborazione e del boicottaggio del potere invasore e dittatoriale. Con gli anni, ed una tappa fondamentale in questo senso è proprio l'approvazione della Legge sull'obiezione di coscienza nel 1972, l'attenzione si sposta dall'educazione/autor- ganizzazione della società civile al tentativo di democratizzazione e smilitarizzazione delle istituzioni politiche e militari. Si tenta di far accettare il principio di "difesa della patria" attraverso lo sviluppo delle forme assistenziali e dei servizi sociali da una parte e la formazione di "corpi di intervento umanitario" nei conflitti. Questo ricercando costantemente il rapporto con le istituzioni statali e sovranazionali come l'ONU. Abbiamo sotto gli occhi i risultati di questo processo, che vedono tramontare le ipotesi di contrapposizione alle radici delle guerre mentre si cerca piuttosto di gover- narne alcuni aspetti, curarne gli effetti, in un contesto che verifica in realtà una costante diffusione di conflitti e una radicalizzazione delle loro stesse forme di violenza. La fine della prospettiva antimilitarista Tralasciando un altro elemento fondamentale di questo processo, ovvero la riappropriazione da parte dello stato del corpo della donna, che credo possa essere più compiutamente analizzato dalle compagne, si tratta ora di segnalare la conseguenza più rilevante dell'in- tero processo di riforma del servizio di leva. Già gli obiettori totali sottolineavano quanto il servizio civile non fosse uno strumento reale per contrastare il militarismo nell'ambito dell'obbligo di leva. Il movimento pacifista ha però sempre inteso il servizio civile in prospettiva proprio come uno strumento per contrastare concretamente l'esistenza degli eserciti. Oggi assistiamo ad una radicale ridefinizione, che porta definitivamente e con tutta evidenza il servizio civile a convivere tranquillamente con quello militare, anzi, a contribuire concretamente, integrandovisi, alla riforma delle forze armate e del sistema italiano di difesa. Ovviamente non in senso pacifista ma dando come ovvia l'esistenza degli eserciti e delle guerre "per garantire la pace". Che questo sia un processo reale ce lo confermano anche voci interne al mondo pacifista: "Questo servizio civile diverrebbe un carrozzone burocratico simile all'odierno esercito e, inoltre, perderebbe qualunque connotazione "pacifista" e/o di alternativa al militare, intendendo con questo termine non tanto il servizio militare, quanto l'apparato militare. Se passasse questo disegno il servizio civile nazionale diventerebbe una struttura non solo non più antagonista ma addirittura complementare ad un servizio militare professio- nale, attenuando i costi sociali derivati dall'attacco allo stato sociale."13 In più, si costituirebbe come un elemento importante nel processo di rilegittimazione delle stesse forze armate: finalmente i militari (e i civili) fanno "qualcosa di veramente utile", con tutto quello che comporta nella mentalità comune questo tipo di giudizio. Era lo stesso ministro Andò a segnalare il problema: "E' legittimo e doveroso, da parte del mondo militare, porsi il problema di una "legittimazione sostanziale" da parte della società civile perché solo da questa legittimazione può oggi scaturire, attraverso la prassi democratica, il consenso e il sostegno a tutto quell'insieme di cambiamenti a cui lo strumento militare deve andare incontro per corrispondere alle mutate esigenze di sicurezza del paese. ...il progressivo sostegno dell'opinione pubblica è una conferma della giustezza della scelta politica di segnare una presenza dello Stato in contesti nei quali è stato fin troppo assente in passato."14. Il Servizio civile nazionale è un tassello importante anche in questo senso. Riprendere in mano oggi una seria pratica antimilitarista vuol dire quindi guardare altrove: dalla nonsottomissione al servizio di leva, civile e militare, alla lotta contro la militarizzazione del territorio e delle relazioni sociali nonché contro le avventure militari all'estero, allo sviluppo di forme autogestionarie e solidali che mantengano e approfondiscano un carattere conflittuale rispetto alle istituzioni e all'attuale sistema politico ed economico che sta alla base dell'esistenza di guerre ed eserciti. Dile 1 Stefano Semenzato:"Chi fa leva sulla leva ?", Il Manifesto, 11/12/1996, p. 2; 2 Salvo Andò:"Il nuovo modello di difesa italiano", Mondoperaio, novembre 1992, p. 12 e segg.; 3 Presidenza del Consiglio dei Ministri, ufficio stampa: "Principali elementi del disegno di legge sul servizio civile nazionale", Roma, 22 gennaio 1997; 4 Arci Nazionale: "Servizio civile per tutti: una proposta di cittadinanza attiva per i giovani", Fogli di collegamento degli obiettori, n.121/marzo 1996, p. 2 e segg.; 5 Fondazione Emanuela Zancan/Caritas italiana: "Proposta per l'istituzione del servizio civile nazionale", Roma, 19 giugno 1996; 6 Arci Nazionale: "Servizio civile per tutti...", cit. 7 Ibid. 8 Ibid. 9 Ibid. 10 Presidenza del Consiglio dei Ministri, ...; cit.; 11 Fondazione Emanuela Zancan/Caritas italiana: ...; cit.; 12 Arci Nazionale: "Servizio civile per tutti...", cit.; 13 Stefano Guffanti [LOC Verona]: "Riformare la leva: sì, ma come?": Azione Nonviolenta, settembre 1996. 14 "Il nuovo modello di difesa italiano", cit.Torna alla Pagina Precedente