SPAGNA-NONSOTTOMISSIONE 1

La insumisión nelle caserme



Di fronte alla professionalizzazione

La nonsottomissione nello stato spagnolo è un fenomeno di massa che, insieme all'alto
numero di obiettori “serviziocivilisti”(1) e alla forte disorganizzazione del servizio
civile sostitutivo, pone, come alte cariche istituzionali lo hanno definito, un “problema
di stato”. Nei fatti si tratta di una delle più vaste e partecipate campagne di
disobbedienza civile antimilitarista che mai si sia data in Europa, ed il suo impatto è
sicuramente notevole. Come ultima ratio per disinnescare la bomba “insumisión”, ma anche
in una più generale linea di adeguamento agli standards europei alla luce dell'ammoderna-
mento delle strutture, dei compiti e degli ambiti di intervento degli eserciti nazionali
e delle strutture militari internazionali (ONU, UEO e soprattutto NATO), il governo di
Aznar - di destra - ha annunciato un progetto che prevede per il 2003 la scomparsa del
Servizio militare obbligatorio e la completa professionalizzazione dell'esercito.
Nonostante sia improbabile che il governo riesca a portare a termine il progetto nei tempi
stabiliti per mancanza di un numero sufficiente di volontari(2) è evidente che una tale
prospettiva porterebbe parallelamente alla scomparsa del servizio civile e della
nonsottomissione.
Non così in Italia, dove i progetti governativi (Nuovo Modello di Difesa) prevedono
comunque il mantenimento di una quota ridotta di leva militare ed il mantenimento del
servizio civile “per tutti”. Nonostante la differenza, è sicuramente interessante
analizzare la nuova campagna portata avanti dai nonsottomessi nello stato spagnolo come
strumento di disobbedienza antimilitarista in un contesto di professionalizzazione
dell'esercito.

Di cosa si tratta

“La nonsottomissione nelle caserme implica l'incorporazione al servizio militare. Dopo
alcuni giorni di caserma, i nonsottomessi disertano e non vi fanno rientro”(3); al posto
del rientro “realizzano una 'presentazione' collettiva, con cui spiegano i motivi della
disobbedienza.”(4)
“I militari erano riusciti a passare il problema della nonsottomissione alla giurisdizione
civile, la nonsottomissione nelle caserme torna a portarlo nel terreno militare. (…) La
strategia del Governo attraverso il nuovo Codice Penale, rendere più sfumata la
repressione ed eliminare praticamente le pene di carcere, sostituendole con quelle di
“interdizione” [vedi oltre] (…) cade, poiché con la nonsottomissione nelle caserme la
repressione torna ad essere visibile e la campagna di nonsottomissione torna a impostare
una messa in discussione diretta dell'esercito.”(5) “Con la nonsottomissione nelle caserme
riusciamo a riprendere in mano l'iniziativa e torniamo a centrare il dibattito intorno
alla struttura militare, visto che saranno loro che si vedranno obbligati a dare una
risposta alla nonsottomissione.”(6)

Il perché di una nuova campagna

“La nonsottomissione nelle caserme vuole essere una nuova strategia del movimento
antimilitarista in un momento in cui i progetti di trasformazione nell'Esercito esigono
una nuova dinamizzazione che ci permetta di far fronte all'egemonia del pensiero unico.
(...) Il nostro principale obiettivo è andare più a fondo nel processo di delegittimazione
dell'Esercito, evidenziando le sue vere funzioni ed illuminando il suo lato nascosto,
ponendo una particolare enfasi in ciò che riguarda l'Esercito umanitario e questo nuovo
modello professionale che la popolazione percepisce a volte in modo positivo perché
risolve le tensioni causate dal mantenimento della coscrizione.
Pertanto ci pare imprescindibile mandare un messaggio chiaro, critico e diverso da quello
ufficiale nel momento in cui il “nuovo” Esercito sta per venire alla luce. Dobbiamo
essere presenti alla nascita dell'ennesima metamorfosi della bestia, ostacolandola prima
che si consolidi con l'adesione acritica di vasti settori sociali.
(...) Con la nonsottomissione nelle caserme, strategia che è compatibile con altre
(nonsottomissione al servizio militare e al servizio civile, obiezione fiscale, campagne
contro le spese militari o la militarizzazione del territorio, ecc.) (...) abbiamo la
pretesa di rispondere a una dei principali interrogativi che ci si presentano oggi: cosa
possiamo fare per finirla con il militarismo nelle sue metamorfosi attuali? Questa
strategia, come in generale la disobbedienza civile che abbiamo fino ad ora praticato,
presuppone un lavoro collettivo, partecipativo e aperto, di fronte alla specializzazione
e alla crescente limitazione nelle responsabilità della difesa militare che comporterà la
professionalizzazione dell'Esercito e le pretese di ampliare il segreto istituzionale che
circonda le questioni della difesa.”(7)

Nonsottomissione e antimilitarismo oggi

“Da quando, alcuni anni fa, abbiamo messo in moto la campagna di nonsottomissione, con
tanto entusiasmo quanta incertezza, siamo cresciuti come presenza sociale e siamo riusciti
ad estendere tanto la disobbedienza quanto il discorso e le forme che a quella si
accompagnano a settori molto ampli e ideologicamente molto vari.
Dopo una campagna eccessivamente lunga, che ha generato già una certa stanchezza sia nei
collettivi che nella società, ci troviamo ora in un nuovo scenario decorato con una nuova
legislazione e con progetti di cambiamento degli eserciti.
L'apparizione di un nuovo Codice Penale (...) cerca di occultare sempre più la repressione.
Nello stesso tempo, si sforza di snaturare il dibattito sottraendogli contenuto
antimilitarista e trasformatore con il fine di far apparire i nonsottomessi come un gruppo
di persone insolidali in conflitto con la società.
Sembra che in qualche modo il dibattito si stia allontanando dal terreno militare mentre
paradossalmente come nonsottomessi, antimilitaristi ed antimilitariste, entriamo in sfere
dove finiamo per essere noi, e non i militari, quelli che sentono la necessità di
giustificare non solo la nostra disobbedienza ma pure la nostra stessa esistenza.
Dall'altra parte, l'irruzione del progetto di professionalizzazione dell'esercito ha
trasferito alla società l'idea che “il problema dei nonsottomessi” è in via di soluzione,
sottraendo così alla nonsottomissione un certo dinamismo sociale. Questa idea si è vista
rafforzata per il fatto che alcuni dei settori che hanno appoggiato la nonsottomissione
hanno basato la loro attitudine più come simpatia nei confronti di coloro che si rifiutano
di fare la naja o come solidarietà nei confronti dei prigionieri, che in una vera presa di
coscienza sul ruolo del militarismo nella configurazione delle nostre società.
Ci troviamo, in definitiva, in un crocevia nel quale questa naja in stato terminale è già
parte del passato mentre il futuro si sta conformando ai nuovi eserciti professionali,
mascherati eventualmente con forme umanitarie, ma segretamente preparati per mantenere
l'ingiusto ordine internazionale che soffriamo.
(...) Come gruppi antimilitaristi non possiamo restare passivi davanti a questa nuova
realtà che esige un rinnovato sforzo, una sfida che ci chiama a recuperare la spinta e
l'entusiasmo, a rinnovare le nostre argomentazioni e la nostra pratica.”(8)

La repressione

Ciò che cambia a livello giuridico per la nonsottomissione nelle caserme rispetto a quella
classica è sostanzialmente che la prima viene giudicata da tribunali militari e la pena
viene scontata in carceri militari. A causa delle modifiche legislative che il governo
socialista introdusse nel 1993 infatti la nonsottomissione “classica” passò completamente
alla giurisdizione civile, da una parte per togliere le castagne dal fuoco ai militari
tentando di sviare l'attenzione della società, dall'altra perché i militari non avevano
stabilimenti penitenziari sufficienti per incarcerare tutti i nonsottomessi “classici”
che sono passati attraverso il carcere (circa mille).
I nonsottomessi “classici” possono essere condannati a pene comprese fra 10 e 14 anni di
“inhabilitación” (“interdizione”, impossibilità di essere assunto come dipendente statale,
impossibilità di ricevere borse di studio o altri tipi di sussidio di tipo statale) e 2
anni e 6 mesi di carcere. Attualmente le pene di carcere non sono effettive - per i nuovi
nonsottomessi - poiché si applica la condizionale.
I nonsottomessi nelle caserme vengono invece condannati per il reato di diserzione a una
pena che può oscillare fra un minimo di 2 anni, 4 mesi e 1 giorno e un massimo di 6 anni
e 1 giorno di carcere. “Le richieste dei PM in questi processi stanno arrivando a un totale
di 5 anni per un solo nonsottomesso (3 anni per diserzione, 1 anno per essere entrati in
caserma e un altro anno per essersi tolti l'uniforme, che nelle “presentazioni” viene
restituita). Le sentenze di quelli che sono attualmente in carcere sono state di 2 anni,
4 mesi e 1 giorno in due casi e di 2 anni, 6 mesi e 1 giorno nell'altro. Ciò che si è
potuto constatare è che i militari perseguitano i nonsottomessi nelle caserme con un
accanimento che non si dà negli altri casi di diserzione comuni. Pare che si consideri
questi giovani meritevoli di una sanzione esemplare, visto che il loro gesto ha un valore
politico e pubblico di critica alla struttura militare. Pertanto diventa evidente che i
militari, che parlano sempre dei nonsottomessi e dei nonsottomessi nelle caserme come di
“delinquenti comuni”, li trattano in maniera diversa, più dura, perché sono coscienti del
loro carattere politico e pubblico. Il fatto è che sanno di essere immersi in un processo
di cambiamento di immagine, di legittimazione, che nessuno deve offuscare evidenziando le
loro contraddizioni.”(9)

Situazione attuale 

Alla fine del 1997 i nonsottomessi nelle caserme erano 15, dei quali tre, già condannati,
sono in carcere (Elías Rozas e Ramiro Paz, galleghi, dal giugno '97 e Plácido Fernandez,
ilicitano, dal luglio '97, tutti e tre nel carcere militare di Alcalá de Henares) mentre
gli altri sono in attesa del processo militare e per il momento in libertà condizionale.
A questi sono da aggiungere 23 persone che saranno processate da tribunali  militari per
azioni nonviolente in spazi militari (occupazioni di fabbricati per uso militare a Bilbao
e Iruña), cosa che non avveniva dal tempo della transizione alla attuale “democrazia”.
A questa data i nonsottomessi “classici” processati per via civile che si trovavano in
carcere erano un centinaio, quasi tutti in “terzo grado” (semilibertà).

(a cura di: Dile)


1) Secondo i calcoli di Carlos Lesmes, direttore generale del dipartimento di Objeción de
   Conciencia, intervistato dalla Revista Española de Defensa, le richieste di obiezione
   di coscienza dovrebbero raggiungere nel 1998 la quota di circa 180.000 (127.304 nel
   1997), mentre i soldati che hanno fatto la naja nel '97 sono 90.000 di fronte ad
   un'esigenza di 105.000. Occorre ricordare comunque che in Spagna non tutti i ragazzi
   sono chiamati alla naja ma si procede ad un' “estrazione” a seconda delle necessità
   annuali dell'esercito. Lesmes aggiunge: “L'obiezione non pregiudica le necessità di
   uomini del servizio militare, dove c'è un'eccedenza di personale nonostante la crescita
   del numero di obiettori. (...) Perciò oggi l'obiezione costituisce una specie di
   drenaggio naturale di ciò che avanza in effettivi alle Forze Armate”. Da: El Paìs,
   21/3/1998, p. 18.
2) Si veda a tal proposito: KEM/MOC Bilbao: “Análisis del proceso de profesionalización”,
   in: La Lletra @, nº 52, mar./apr. 1998.
3) Joan: “La insumisión en los Cuarteles, sigue adelante”, in: La Lletra @, nº52, mar./apr.
   1998, p. 22.
4) Izar Beltza (Iruñeo Talde Anarkista): “Insumisión en los Cuarteles, un paso adelante”,
   in: La Lletra @, nº 51, nov./dic. 1997, p. 13.
5) Joan, cit.
6) Izar Beltza, cit.
7) MOC-València: “Un paso adelante”, in: La Lletra @, n° 50, pp. 21/22. 
8) Ibid.
9) Liberamente tratto da: Joan, cit.


Per scrivere ai nonsottomessi
 nelle caserme incarcerati:

- Elías Rozas
- Ramiro Paz
- Plácido Fernandez

Prisión Militar, Carretera de Meco, Km. 5, 
28805 ALCALÁ DE HENARES, Estado español
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Nonsottomissione nelle caserme su uno sfondo di papaveri

Nel carcere militare di Alcalá de Henares, fra le crepe, nel cemento della pavimentazione di un solitario cortile cresce una sorprendente e varia flora. Le mie conoscenze sulla botanica penitenziaria sono comparabili all'utilità sociale del programma Eurofighter, però sono sufficienti per identificare quei colori rossi che nascono dalla base del muro interno di piastrelle, fuori dallo sguardo della torretta di vigilanza. Qua e là i papaveri gridano il loro colore scandalosamente vivo e solido al di sopra e tutt'intorno a loro, senza farsi sottomettere da un ambiente di cemento, piastrelle e chiavistelli di metallo, di colori spenti, spazi oscuri, sbarre e neon. Il loro aspetto è fragile ma riescono a resistere alle raffiche di vento ed al boato regolare degli aerei da caccia. Compagni metaforici di disobbedienza: floreale la loro, civile la mia. Anche anni fa ci fu questa unione di disobbedienze. Allora questa costruzione destinata a controllare e a sottomettere ospitò le prime ondate di nonsottomessi. Con un po' d'immaginazione li puoi vedere camminare nudi per i corridoi mentre si rifiutano di indossare l'uniforme militare, obbligatoria a quel tempo, o dare una conferenza antimilitarista ai disertori da sopra un tavolo della mensa, dopo aver rotto lo stretto controllo che li separava da quelli, o cercando di completare la scritta “INSUMISIÓN” su uno dei muri del cortile, o in pieno sciopero della fame, arrivando fino all'estremo di esercitare su se stessi una delle peggiori violenze: quella diretta contro il proprio corpo… Nei 6 o 7 anni che vanno da allora ad oggi, i papaveri probabilmente hanno continuato a fiorire dentro le mura contemplati al massimo da qualche sporadico 'disobbediente' viscerale che scopre il suo spirito antimilitarista un volta dentro la caserma. Fuori dalle mura, la nonsottomissione ha cessato di essere percepita dal potere militare come semplice ribellione giovanile, come protesta inarticolata, e si avvertì la sua vera natura di disobbedienza premeditata, cosciente e pubblica, la sua dimensione collettiva, la profondità della messa in discussione della coscrizione obbligatoria e della stessa esistenza dell'esercito, che lanciava verso la società il suo potenziale moltiplicatore e il crescente movimento di simpatia che risvegliava. L'esercito elude il dibattito impostato dai disobbedienti civili, domandando e ottenendo dall'allora governo socialista protezione giuridica attraverso una nuova legge sul servizio militare che lo proteggeva dietro il paravento della giustizia civile, incaricata artificialmente da quel momento dell'importante compito di reprimere l'opzione politica rappresentata dai nonsottomessi. Il rifiuto di sottomettersi alla coscrizione obbligatoria passò quindi ad essere un reato dentro la giurisdizione civile. Parallelamente, i successivi governi del partito socialista iniziarono una campagna di vera “vaccinazione” dell'opinione pubblica contro qualsiasi sospetto di simpatia o appoggio ai disobbedienti, costruendo per questo un'immagine ufficiale del nonsottomesso come giovane egoista, non solidale, pigro e oscuramente relazionato all'ambiente terrorista dell'ETA. Allo stesso tempo, con il fine di attutire la sua risonanza sociale, si sono cimentati nel fare ogni volta meno visibile la repressione contro la nonsottomissione. Questo è il fine che si cela dietro le misure quali la concessione di privilegi penitenziari ai nonsottomessi incarcerati (passaggio immediato alla semilibertà) e, più recentemente, l'entrata in vigore del nuovo Codice Penale, nel 1996, che inaugura una nuova linea di repressione silenziosa che sostituisce la prigione: l'interdizione assoluta, la morte civile. Però, nonostante i tentativi di metterle la museruola e di avvelenarla, la nonsottomis- sione è cresciuta ed è fiorita irrimediabilmente fino a costituire una “questione di Stato”. Pochi potevano immaginarsi all'inizio del 1989 che quei primi 50 nonsottomessi che si presentarono pubblicamente si sarebbero convertiti, otto anni più tardi(1), in più di 10.000, che molte altre persone si sarebbero impegnate in maggiore o minor grado attraverso gruppi antimilitaristi o di sostegno alla nonsottomissione in forme organizzative assembleari, che la causa dei nonsottomessi avrebbe suscitato simpatie in ambiti sociali tanto differenti come quelli giudiziari o della stampa, o che si sarebbe riusciti a contagiare settori ideologici così vari con il tema della disobbedienza civile. Questo successo non ha impedito all'immaginazione antimilitarista di continuare a lavorare in questi anni nell'esplorazione di nuove strade per la disobbedienza civile. La nonsottomissione nelle caserme è stata l'ultima trovata, il più recente attrezzo della lotta nonviolenta partorito dopo diversi anni (troppi, forse) di riflessione, pianifica- zione, dibattito e ricerca del momento più adatto. Un fiore ribelle che vuole innalzarsi come i papaveri di questa prigione, nemico di un panorama grigio-cemento o grigio-acciaio, ombroso e per niente portatore di speranza. L'annuncio della scomparsa del reclutamento forzoso in Spagna per l'inizio del prossimo millennio fatto dal governo Aznar l'anno passato(2), non consente di stare molto allegri malgrado il ruolo importante che per tale provvedimento ha giocato la nonsottomissione, poiché conduce inevitabilmente alla professionalizzazione totale dell'apparato militare e pertanto alla sua espansione e consolidamento. Il nuovo contesto internazionale è, sembra, il fattore chiave che dà impulso a questo processo. Solo eserciti di specialisti, più ridotti, mobili e dotati della più moderna tecnologia della morte possono assumere il ruolo di gendarmi planetari che assegna loro il diseguale e ingiusto – e per questo non tanto nuovo – ordine mondiale. Perciò la fine della guerra fredda non è la fine della NATO ma ne è l'inizio di una (vecchia) nuova che assicurerà, in ultima istanza, la continuità delle relazioni di oppressione e saccheggio del Nord rispetto al Sud. Questo è il contesto in cui possiamo comprendere l'aumento delle spese militari quando in nome di Maastricht diventano relative necessità sociali basiche, l'impulso all' industria bellica e l'ingresso dello Stato spagnolo nella struttura militare integrata della NATO. Questa fuga in avanti del militarismo cerca di legittimarsi socialmente attraverso l'invenzione di nuovi nemici (come, per esempio, il terrorismo islamico o, più genericamente, l'instabilità degli stati arabi), e di un umanitarismo armato che camuffa la responsabilità del Nord nelle cause strutturali ed alla fine nello scoppio (attraverso il traffico d'armamenti) di conflitti che dice di voler pacificare. Tutto questo sotto la copertura di un discorso ideologico che martella insistentemente con le parole “pace”, “sicurezza” e “difesa”, questo sì, nella prospettiva militare e statale. Evidentemente, nessuno, tranne una piccola élite quasi sacerdotale di esperti, ha partecipato al confezionamento di questa mostruosità. Come movimento antimilitarista dello Stato spagnolo rifiutiamo di rimanere con le braccia incrociate, in silenzio. Occorre continuare a disobbedire. La nonsottomissione nelle caserme eredita la forza collettiva della nonsottomissione “in auge” perché si tratta di un approfondimento di questa ma, allo stesso tempo, presuppone un salto qualitativo che permette di distinguerla come un nuovo strumento per illuminare la faccia occulta del militarismo d'oggigiorno, prendendo parte senza autorizzazione alle sue recenti e più vicine metamorfosi con la nostra contestazione e la nostra opzione per un'alternativa di difesa nonviolenta, centrata sulla sicurezza umana e con la disobbedienza civile come strumento essenziale. Precisamente in questo 1997 hanno cominciato a soffiare nuovi venti di nonsottomissione, impersonati dai quindici antimilitaristi di Galiza, Elx, Bilbao, Iruña, València, Valladolid, Madrid, Sevilla, Salamanca e Barcellona, tredici del Moviment d'Objecció de Consciència (MOC) e due dell'Assemblea d'Objecció de Consciència de Galiza (ANOC): abbiamo lasciato che ci travestissero da soldati sottomettendoci in apparenza all'obbliga- torietà del servizio militare per poi seguire come ha detto George Brassens, “il primo dovere di un soldato, con se stesso, è disertare”. Ma, a differenza dei 2.000 o 3.000 disertori annuali dell'esercito spagnolo, pubblicamente, rumorosamente e ricercando la maggior risonanza possibile, attraverso presentazioni collettive e azioni nonviolente: strip-tease nei comandi militari, scritte sui tetti delle baracche delle caserme, lavori simbolici di demolizione di edifici militari, occupazioni di uffici di imprese che producono armamenti. Di nuovo, dato che i nonsottomessi nelle caserme ottengono la condizione legale di militari, è l'esercito, attraverso la giustizia militare, colui che si deve incaricare di articolare la repressione contro la dissidenza antimilitarista almeno sulla carta. Praticamente non si è dato mostra di un interesse eccessivo nel portare a termine questo compito perché solo quattro dei quindici nonsottomessi nelle caserme sono stati incarcerati. La repressione selettiva è una risposta già dispiegata contro la nonsottomissione e tenta di rompere l'identità collettiva della strategia di disobbedienza, dividere e demoralizzare chi vi prende parte. Non è successo niente di tutto questo. Cosicché la primavera di quest'anno(3) ha portato nuovamente papaveri e disobbedienti civili nel carcere militare di Alcalá de Henares. In quattro, Elías, Ramiro, Plàcid ed io stesso, abbiamo “visitato” l'interno di questo luogo saturo di istituzioni disciplinari: un carcere dentro una caserma. Il massimo del militarismo. E pertanto un triste cimitero per libertà come quella di espressione e di pensiero, un osservatorio privilegiato dal quale constatare la vergognosa ipocrisia che è l'essenza della nuova immagine mediatica, umanitaria e democratica dell'esercito, riparo per un ricco bestiario che include pezzi grossi del terrorismo di stato, strumenti del golpismo, spie d'alto bordo ed ora anche antimilitaristi. Ognuno, chiaro, col suo trattamento individualizzato: telefonini, mensa privata, assenza di sbarre e muri per alcuni, controllo ideologico per gli altri. Per noi è quindi proibito il possesso di qualsiasi materiale con contenuti antimilitaristi o “che favoriscano” la nonsottomissione, oggetti realmente pericolosi per il buon ordine, la sicurezza e la rieducazione dei reclusi di questa prigione. Vana preoccupazione quella del colonnello che dirige questa prigione davanti alla prospettiva per nulla attraente di avere lì in circolo un numero crescente di materiali antimilitaristi in supporti particolarmente contagiosi e mobili: nonsottomessi nelle caserme di attitudine tranquilla e aperta, che si caricano di ragione fra questi muri bianchi, mentre dimostrano la fermezza e la sincerità delle proprie convinzioni. Su questo sfondo di papaveri disobbedienti, in compagnia delle decine di nonsottomessi che abitano nelle prigioni civili dello Stato spagnolo. Carlo Pérez Barranco Prision Militar de Alcalá de Henares Tradotto da: La lletra @, n°52, mar./apr. 1998 ______________________________________________________________________ 1) L'articolo è della fine del 1997. Nel 1998: nove anni (N.d.T.) 2) Due anni fa (N.d.T.) 3) Dell'anno scorso (N.d.T.)
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