TRATTO DA Liberazione, 15-04-01 back
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"Noi, lavoratori di serie B, flessibili e ricattati"
Tante ore di straordinario, mobilità selvaggia e la costante minaccia di perdere il posto: è la realtà dei precari. Sono decine di migliaia e vengono utilizzati soprattutto nei periodi estivi e durante le feste di Natale. Si tratta del piccolo grande esercito rappresentato dai precari del commercio. Lavorano con contratti parttime, a tempo determinato o interinale.
Sono "flessibili", insomma, proprio come li vuole oggi il mercato. Una condizione che solo a volte soddisfa le esigenze di quei lavoratori (soprattutto le donne) che desiderano avere del tempo libero a disposizione per dedicarsi, ad esempio, alla famiglia. Molto più spesso, invece, si tratta di situazioni che vengono accettate perché rappresentano l'unica quel momento.
Cristina (il nome è fittizio) lavora alla Metro di Roma La Rustica. "Sono anni racconta che vengo assunta con un contratto a termine della durata di tre mesi, che mi viene rinnovato di volta in volta. In teoria dovrei lavorare venti ore alla settimana, ma siccome c'è carenza di personale faccio parecchie ore di straordinario. Ieri, ad esempio, ho attaccato alle due del pomeriggio e ho staccato alle dieci di sera". Viene richiesta al dipendente la massima disponibilità. "Da contratto - dice la donna - abbiamo l'obbligo di lavorare il sabato e la domenica".
Quelle di Cesare, impiegato di supermarket: "C'è una mobilità selvaggia sottolinea per coprire i buchi. Se hai il turno fissato dalle 6 alle 12, alle 11 vengono e ti chiedono di fermarti fino alle 17". Non di rado, inoltre, capita di dover lavorare dopo la mezzanotte senza che lo straordinario notturno venga pagato. Il problema di fondo, però, resta quello della precarietà: "Lottare per i propri diritti spiega ancora Cesare quando sai che il tuo contratto scade tra un mese e potrebbe non essere rinnovato, diventa un impresa per pochi coraggiosi o per chi ha comunque le spalle coperte".
La Filcams: e noi li denunciamo. La risposta dei padroni: minacce ai dipendenti e inserzioni sui giornali. Non hanno esitato a tirare fuori dalle capienti tasche centinaia di milioni per rendere noto al pubblico che oggi i loro esercizi saranno aperti nonostante lo sciopero. La scelta delle aziende delle grande distribuzione di fare ricorso a inserzioni pubblicitarie sui principali quotidiani viene però vista dal sindacato come un segnale di debolezza: "Sono semplicemente molto preoccupati che lo sciopero riesca e quindi cercano di usare tutti gli strumenti commenta Marinella Meschieri, della Filcams Cgil .
Avrebbero fatto meglio a destinare tutti quei soldi ai loro dipendenti". Riuscirà la Faid Federdistribuzione a neutralizzare gli effetti della protesta indetta da Cgil, Cisl e Uil? "Basta che 5 lavoratori su 300 non facciano sciopero per tenere aperto un supermercato spiega Meschieri . Ne metti uno al banco della gastronomia, uno al banco del pesce, due o tre alla cassa, compreso magari il direttore, e il gioco è fatto. Questo però non vuol dire che lo sciopero non è riuscito. Perché i disagi per i clienti saranno inevitabili: mancheranno le
merci sugli scaffali, ci saranno lunghe code alle casse".
Le aziende non si sono limitate alla pubblicità sui giornali: "Sappiamo che in molti punti vendita riferisce la sindacalista sono state fatte pesanti pressioni sui lavoratori e le lavoratrici perché non aderiscano allo sciopero. In alcuni casi si è trattato di ricatti veri e propri". I soggetti più esposti sono i precari, che nel terziario possono raggiungere, in alcune situazioni, anche il 23% dei dipendenti. "Ma se le imprese chiameranno lavoratori interinali per sostituire quelli in sciopero avverte Meschieri denunceremo le
agenzie fornitrici. La legge infatti lo vieta".
Operaia addetta alla macellazione dei polli, che ha un rapporto parttime di 6 ore al giorno e guadagna circa 1.400.000 lire nette al mese. La lavoratrice è iscritta alla Flai, il sindacato della categoria agroalimentare della Cgil, da oltre tre anni e fa parte del direttivo di Brescia.
Lo scorso marzo la dipendente ha riferito al veterinario che le era stato chiesto dal capomacello di raccogliere tutti i fegati di pollo invece di selezionarne la parte del 30-40% destinata a consumo umano. In sostanza temeva fossero destinati al mercato alimentare anche le parti non idonee al consumo.
"Un comportamento senza senso ha sostenuto Crescenti perché quel giorno avevamo fretta e il capomacello ha solo detto di raccogliere tutto insieme. Ma i controlli sono stati fatti regolarmente in un secondo tempo".
Completamente diversa la versione della Cgil: "è un'azienda di stampo padronale ha spiegato il segretario
bresciano, Aristide Bertoli la lavoratrice è zelante, come giusto, nei controlli. Quindi dà fastidio. Questo il
motivo dei licenziamento. A Pecoraio Scanio chiediamo di verificare la catena di produzione del macello e di tutelare non solo i cittadini che mangiano, ma anche i dipendenti che lavorano per loro. Si parla tanto di sicurezza e poi non la si fa". Cgil ha presentato ricorso contro il licenziamento e la lavoratrice ha denunciato Crescenti per ingiurie e diffamazione.
"Prendiamo quindi atto si legge fra l'altro nella lettera di licenziamento
che ritiene di poter avocare a se addirittura competenze di medicina veterinaria e di assurgere a ruolo di
paladina dei consumatori e della loro salute, dimentica evidentemente che lei è semplicemente addetta alla raccolta di fegatini che, prima di essere confezionati, devono superare due controlli da parte del personale addetto prima del controllo finale che compete ovviamente e comunque al veterinario
o tecnico incaricato".
Alla Avicola Monteverde, che ha una sessantina di dipendenti (circa due terzi immigrati
e una decina di donne) si macellano circa 30mila polli al giorno. Le segreterie della Cgil Lombardia e
della Flai Lombardia sono intervenute esprimendo viva preoccupazione per l'ingiusto provvedimento e solidarizzano con la lavoratrice, garantendone pieno sostegno nelle iniziative che intraprenderà per difendere il proprio posto di lavoro.
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