Manifesto, 03-2002back


Pronto? Parla il precario



A ROMA LA GRANDE KERMESSE DEI CALL CENTER. FUORI, LE PROTESTE DEI LAVORATORI ATIPICI

Piccoli e grandi call center crescono. Le tendenze più moderne richiedono l'evoluzione dalla vecchia struttura, fatta di cornette, videoterminali e cuffiette, verso il più moderno "web call center", dove le nuove tecnologie multimediali si integrano con quelle più "antiche", incrociando voce, fax, e-mail, sms, navigazione sul web. E per evolversi, i call center hanno bisogno di studiare, preparando responsabili, supervisori, manager. E' per questo motivo che la Cmmc - Customer Management Multimedia Callcenter, che associa 130 aziende e 26 società che lavorano nel settore o che hanno un call center al proprio interno - ha organizzato un grosso workshop che si conclude oggi all'Olgiata di Roma. Tra loro, Omnitel, Tim e Telecom, Atesia, H3G, Atento-Telefonica, Banca 121, Seat PG, Enel.it. Un'evoluzione - si può comprendere - da cui i lavoratori non vogliono ricevere soltanto nuovi carichi di lavoro senza in cambio ottenere tempi di lavoro e retribuzioni migliori. E non è che già oggi siano messi bene.

Che i lavoratori dei call center siano tra le vittime sacrificali della precarizzazione e dell'alienazione odierne, non è un mistero. Vivono attaccati alle loro macchine anche per 6 ore di seguito (reggerne di più è impossibile), bombardati da un sistema automatico che smista le telefonate: i tempi, dunque, sono dettati dall'automazione. Nel frattempo, i capi li controllano in modo pressante, potendo ricostruire, telefonata per telefonata, durata, esito, modalità delle chiamate. Allo stress psicologico legato a questo sistema, si aggiunge in molti casi la precarietà contrattuale, che moltiplica a dismisura il disagio: chi ha dei contratti di collaborazione, ad esempio - e molti telefonisti sono capifamiglia - è spesso pagato a singola chiamata, tanto che non può programmarsi nessuna forma di futuro che non sia limitata ai due-tre mesi successivi. Mutui casa, acquisti di automobili, prestiti dalle banche, ormai alla portata di qualsiasi cittadino medio, diventano pure utopie. Come la pensione, la maternità, le ferie retribuite.

E se i big dei call center si organizzano per trovare i mezzi di massimizzazione dei propri profitti, anche tra i precari si fa strada la voglia di comunicare, di creare una sorta di "workshop" permanente per scongiurare la precarietà. Oggi pomeriggio, di fronte all'Olgiata i giovani di "Agire contro la precarietà" (robicrim@libero.it) manifesteranno per un lavoro più umano: meno precarietà, appunto, e meno alienazione. Tra loro i telefonisti di Atesia, i precari della scuola e delle cooperative sociali, la Camera del lavoro e del non lavoro di Roma, il coordinamento Rsu, diversi sindacati di base. Il progetto più immediato è quello di creare un coordinamento nazionale dei precari, con annesse manifestazioni e piattaforme rivendicative.

"Il 23 marzo - spiega Francesca Paoloni, di "Agire contro la precarietà" - saremo in piazza con gli altri lavoratori contro la modifica dell'articolo 18, anche se noi, dall'articolo 18, non siamo affatto tutelati: porteremo la nostra piattaforma di rivendicazioni. Il 5 aprile, giorno dello sciopero generale, è per noi anche la giornata di mobilitazione nazionale contro il precariato, e quindi parteciperemo con una motivazione in più accanto agli altri lavoratori. Lo faremo a modo nostro, con delle manifestazioni, in quanto non possiamo scioperare come i dipendenti".

Di fronte alla lobby dei call center, dunque, si profila la nuova coscienza sindacale dei ragazzi del telefono: in questi ultimi mesi, dalla Atesia di Telecom alla Atento di Telefonica, dai dipendenti di Blu a quelli della Tim, senza tacere ovviamente i metalmeccanici di Omnitel, seppure per diversi motivi e partendo da situazioni contrattuali diverse, i giovani della new economy stanno mostrando di saper organizzare le proprie proteste. Con un limite e - nello stesso tempo - un vantaggio rispetto agli operai classici: molti hanno la laurea o comunque un titolo di studio avanzato, e questo li rende meno esposti rispetto ai capi.

Nel contempo, però, sono super parcellizzati e divisi tra loro, sia logisticamente che contrattualmente, e quindi più vulnerabili ai ricatti e più inclini a non credere in una lotta comune. "Se questa sorta di `Confindustria' dei call center studia i modi per rendere più razionale e proficua l'organizzazione del lavoro - conclude Pietro Alò, della Camera del lavoro e del non lavoro di Roma - noi ribadiamo che non c'è razionalità del lavoro senza l'emancipazione e la libertà dei lavoratori".



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