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14-11-02

  Lavoro senza frontiere

L'Europa è lo spazio politico in cui misurare la capacità di modificare i rapporti di potere nella società, sia che si parli di precarietà, che di migranti che di proprietà intellettuale. E' questa la lettura che la rivista «DeriveApprodi» propone nel suo prossimo numero, da domani in libreria e di cui anticipiamo uno dei testi dedicato al diritto del lavoro nell'Unione europea. Dal lungo inverno della resistenza al neoliberismo fino all'opposizione della guerra in Afghanistan; dalla Turchia alla Spagna, dalla Slovenia alla Finlandia una mappa del movimento europeo ricostruita attraverso i contributi, la riflessione dei gruppi di base che si oppongono alla globalizzazione economica


Svolgeremo qui solo alcune considerazioni sull'«immaginario giuridico» che sembra affermarsi nell'Unione europea negli ultimi anni. La costruzione di questo immaginario avviene sia per via normativa, grazie alle sentenze della Corte di giustizia di Lussemburgo, sia per via politica, grazie all'azione della Commissione europea e di altre istituzioni comunitarie, sia infine grazie alla riflessione critica sul diritto del lavoro a opera di alcuni tra i maggiori studiosi europei.

L'aggiornamento della giuslavoristica europea sta peraltro avvenendo a stretto contatto con la stessa Unione europea, determinando una continuità tra la riflessione sul diritto e l'implementazione giuridico-politica. Scopo di queste brevi note è cercare di mettere in evidenza quale figura di lavoratore viene oggi considerata funzionale all'economia politica dell'Unione europea.

Il processo di costruzione di questa figura ha due facce: da una parte esso mira a cogliere le trasformazioni del lavoro vivo intervenute negli ultimi decenni, mentre dall'altra parte «immagina», appunto, come le potenzialità produttive emerse possano essere messe al lavoro e piegate alle necessità delle imprese europee nella competizione globale. (...) Come vedremo, la descrizione delle trasformazioni sociali nei termini dell'avvento di una «nuova società», è parte dell'immaginario, per così dire, sociologico comunitario.

Queste trasformazioni sono state accompagnate e indirizzate dall'azione della Corte di Lussemburgo, che negli anni ha sempre più individuato nei diritti fondamentali, riconosciuti dalle diverse costituzioni e ora dalla «Carta di Nizza», lo schema normativo di riferimento in base al quale giudicare i ricorsi in materia di lavoro e di diritti sociali. Essa ha così progressivamente affermato la centralità di un soggetto giuridico il cui carattere costitutivo è l'«indifferenza» nei confronti della posizione lavorativa.

L'opera d'identificazione di una figura indifferente di prestatore d'opera mira certamente a unificare il mercato del lavoro europeo al di fuori e oltre le singole norme nazionali; allo stesso tempo, tuttavia, mira anche a privilegiare i caratteri giuridici della persona e non la specificità dei differenti rapporti giuridici di lavoro (...). Produce altresì la conseguenza di adeguare il soggetto individuale ai caratteri di quelli che politicamente vengono considerati i pilastri costitutivi della nuova costituzione sociale. Alle persone, proprio perché si presentano del tutto indifferenziate deve essere garantito il diritto alla piena capacità competitiva, eliminando gli ostacoli alla concorrenza anche individuale che di volta in volta si presentano.

Abbiamo così un secondo elemento della «personificazione» del prestatore d'opera: esso non è solo indifferenziato, ma anche serialmente individualizzato. (...) Già il Libro verde Partenariato per una nuova organizzazione del lavoro del 1997, al quale in Italia ha fatto ampio riferimento il Libro bianco del ministro Maroni, ha chiaramente rilevato che la «tradizionale organizzazione del lavoro, basata sui dati di una produzione industriale di massa, è sempre più messa in questione». Questa secca affermazione non è tuttavia da intendersi come registrazione della fine della forma industriale della produzione capitalistica, ma piuttosto come indicazione della necessità di una diversa organizzazione tecnica e politica della forza-lavoro.

In questione è il rinnovamento e il miglioramento della forma fordista della produzione, che dovrebbe avvenire concedendo ai lavoratori «la possibilità di esercitare il loro giudizio, di annodare dei contatti sociali e di apprendere». I tre fattori di cambiamento individuati sono le risorse umane, i mercati e le tecnologie. Gli ultimi due costituiscono però gli elementi di rigidità della costituzione economica tanto sul piano interno quanto su quello globale.

Non è infatti pensabile una capacità «europea» di determinare in maniera significativa, o addirittura risolutiva, l'andamento dei mercati o il ritmo delle acquisizioni tecnologiche. Risorse umane è invece il nome del lavoro. «È un costo che bisogna ridurre. Ciò nonostante, in un'economia basata sulle conoscenze, le persone sono risorse chiave». È necessario che la mano d'opera generi conoscenze, perché la «nuova società» è ben più caratterizzata dalla produzione di sapere che dall'organizzazione o dalla presenza delle macchine.

E da questa considerazione nasce la proposta incentrata sul partenariato, perché la valorizzazione delle conoscenze delle «persone» è possibile solo se l'organizzazione del lavoro si fonda «sulla cooperazione e l'interesse comune». Il dualismo costitutivo impresa- forza-lavoro, ampiamente tematizzato e sostenuto, viene però inteso asimmetricamente: da una parte vi è la presenza immediata del capitale come necessità reale di organizzazione della società, dall'altra ci sono gli «operai(operaie)-persone» che esistono solamente nella loro forma rappresentata. Quelli che entrano nelle organizzazioni sindacali non sono più i lavoratori dipendenti della fabbrica come «modello» di società, ma piuttosto le persone che abitano la società degli individui in competizione.

Ancora una volta il riferimento alle persone è necessario perché ogni lavoratore deve lasciare a casa le differenze di cui è portatore, per non parlare dell'interesse che ha in comune con gli altri lavoratori. E ciò vale sia per gli individui lavoratori sia per le donne, per le quali non a caso viene individuata e perseguita esclusivamente una politica delle pari opportunità, quindi, ancora una volta, completamente rivolta alla loro identificazione con la persona. (...) Esemplare in questo senso è la comunicazione della Commissione europea Modernizzare l'organizzazione del lavoro. Un atteggiamento positivo nei confronti dei cambiamenti. Essa riafferma la vitalità delle contrattazioni collettive, affermando che le «parti sociali ... devono definire un quadro d'azione coerente e globale, invece di reagire, positivamente o negativamente, a iniziative legislative frammentarie».

In questo modo, tuttavia, viene fatta balenare la convinzione che la forma legge sia ormai inadeguata a normare quelli che si vogliono comportamenti lavorativi flessibili. (...) Pur denunciando la sfasatura tra diversificazione dei «lavori» e tentativi di ricondurli all'interno di schemi giuridici rigidi, anche la dottrina del diritto del lavoro riconosce la tendenza a estendere la cosiddetta «frontiera» del lavoro subordinato, ma ricompattandola «entro un contenitore più ampio di quello ripreso dalla tradizione fordista», attuando una sorta di subordinazione allargata e attenuata al tempo stesso. La riaffermata centralità, nell'assetto sociale e politico, del lavoro subordinato e della disciplina inderogabile di tutela del lavoratore, viene esplicitamente denunciata come causa di squilibrio nella distribuzione delle protezioni sociali.

In direzione della sostituzione della contrapposizione rigida lavoro autonomo/lavoro subordinato mediante la rilevazione del continuum di tipi di attività si muove ad esempio la proposta di Alain Supiot, contenuta nell'ormai celebre Rapporto della Commissione di esperti europei noto come «Rapporto Supiot». Osservando che non si può ammettere (e di fatto nessun paese dell'Unione europea lo ammette) che le parti della «relazione di lavoro» possano autonomamente qualificare giuridicamente il loro rapporto, la qualificazione giuridica di quest'ultimo - ossia la scommessa di conferire quadro giuridico al lavoro dipendente nel complessivo indebolimento del quadro nazionale nella pratica delle negoziazioni collettive - precede e determina la relazione.

(...)L'allentamento del «tradizionale» legame tra subordinazione e statuto del salariato e l'estensione della normativa propria del lavoro subordinato ai cosiddetti «lavori» caratterizzano dunque il dibattito sulle cosiddette «frontiere del salariato». Esso si è disposto lungo due tendenze: secondo la prima, si tratta di ridurre il campo di applicazione del diritto del lavoro mantenendo un criterio rigido di subordinazione giuridica; per la seconda tendenza, si tratta invece di allargare tale campo di applicazione sostituendo il criterio della subordinazione giuridica con quello della dipendenza economica in quanto ritenuto più congruo ai «nuovi modi di produzione» che (...) ripropongono vincoli di dipendenza economica appunto difficilmente misurabili. Ma non solo; poiché la semplice esecuzione di ordini non è più in grado di caratterizzare il lavoro salariato, la sua esistenza giuridica è definita anche dall'integrazione nell'impresa altrui. (...)

In definitiva, la nozione di subordinazione non pare sinora rimessa radicalmente in questione dalle modificazioni dei rapporti di lavoro; l'estensione del salariato allo spettro dell'«impiego» ha permesso la trasformazione del diritto del lavoro in diritto comune valido per ogni rapporto di lavoro, con l'introduzione di significativi «spazi di autonomia» nel rapporto di lavoro subordinato, tendenza parallela a quella di introdurre elementi di flessibilità nello svolgimento del rapporto stesso. (...)

Così nella proposta della «Carta dei diritti» della legge Amato-Treu riecheggia l'idea di Supiot di costituire quattro cerchie di diritti sociali:
1) diritti universali (ossia indipendenti dal lavoro, come per l'assicurazione in caso di malattia);
2) diritti fondati sul lavoro non professionale (lavoro di cura ecc.);
3) diritto comune dell'attività professionale (igiene e sicurezza nel diritto comunitario);
4) diritto proprio del lavoro salariato, contenente unicamente le disposizioni legate alla subordinazione;

esso dovrebbe permettere una graduazione dei diritti in funzione dell'intensità della subordinazione. In particolare, la salute e la sicurezza sul lavoro e il principio di non discriminazione (di fatto a tutt'oggi il terreno più avanzato di produzione 'armonica' di pratiche e normative comunitarie) richiamano secondo alcuni un gruppo di normative che tendono ad applicarsi in modo indifferenziato alle varie attività di lavoro, configurando un'area disciplinare il cui ambito di applicazione va ben oltre quello del nuovo «statuto professionale allargato» per arrivare a coincidere con la protezione del lavoratore-cittadino ossia «della persona in quanto tale».

Oltre la retorica dell'universalismo dei diritti, si profila dunque uno scarto tra la forma giuridica del lavoro sociale comandato e il comando (d'impresa) del lavoro sociale. Se un lato si rileva il rischio di una separazione tra diritto del lavoro e diritti sociali, o più in generale del sociale dall'economico, dall'altro si ritiene di poter recuperare la vocazione «originaria» del diritto del lavoro nel «promuovere le opportunità di impiego» nel mentre si rinuncia al suo ruolo di tutela dei cosiddetti garantiti.

La flessibilità del diritto del lavoro nell'area ristretta del rapporto di lavoro appare controbilanciata da una retorica della persona e dell'universalismo dei diritti privo di imperatività, con i quali si cerca di saldare le figure del lavoratore e del cittadino in un'area affatto aleatoria. E in quest'area dovrebbero essere risarcite quelle due individualità che, come abbiamo visto, più contraddittoriamente possono essere inserite nel discorso della personificazione. Non è dunque casuale che il «Parere del comitato economico e sociale del luglio 2002», in materia di diritto europeo dei contratti, escluda esplicitamente la necessità e l'utilità di costruire un diritto comune europeo dei contratti per quanto riguarda il diritto di famiglia e il diritto del lavoro. Questa convinzione, già espressa dalla Commissione europea, si basa sulla motivazione che quegli ambiti del diritto sarebbero «intimamente legati alle tradizioni giuridiche, alla storia e alla struttura sociale di ciascuno dei paesi membri».

Così, oltre la ricerca di un diritto comunitario, nella «nuova società» torna a farsi strada la tradizione normativa del comando e della mediazione dello Stato nazionale capace di costruire concretamente differenza.

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