     |
|
Lavoro senza frontiere
L'Europa è lo spazio politico in cui misurare la capacità di modificare i rapporti di potere nella società, sia che si parli di precarietà, che di migranti che di proprietà intellettuale. E' questa la lettura che la rivista «DeriveApprodi» propone nel suo prossimo numero, da domani in libreria e di cui anticipiamo uno dei testi dedicato al diritto del lavoro nell'Unione europea. Dal lungo inverno della resistenza al neoliberismo fino all'opposizione della guerra in Afghanistan; dalla Turchia alla Spagna, dalla Slovenia alla Finlandia una mappa del movimento europeo ricostruita attraverso i contributi, la riflessione dei gruppi di base che si oppongono alla globalizzazione economica
Svolgeremo qui solo alcune considerazioni sull'«immaginario giuridico»
che sembra affermarsi nell'Unione europea negli ultimi anni. La costruzione
di questo immaginario avviene sia per via normativa, grazie alle sentenze
della Corte di giustizia di Lussemburgo, sia per via politica, grazie
all'azione della Commissione europea e di altre istituzioni comunitarie,
sia infine grazie alla riflessione critica sul diritto del lavoro
a opera di alcuni tra i maggiori studiosi europei.
L'aggiornamento della giuslavoristica europea sta peraltro avvenendo
a stretto contatto con la stessa Unione europea, determinando una
continuità tra la riflessione sul diritto e l'implementazione giuridico-politica.
Scopo di queste brevi note è cercare di mettere in evidenza quale
figura di lavoratore viene oggi considerata
funzionale all'economia politica dell'Unione europea.
Il processo di costruzione di questa figura ha due facce: da una parte
esso mira a cogliere le trasformazioni del lavoro vivo intervenute
negli ultimi decenni, mentre dall'altra parte «immagina», appunto,
come le potenzialità produttive emerse possano essere messe al lavoro
e piegate alle necessità delle imprese europee nella competizione
globale. (...) Come vedremo, la descrizione delle trasformazioni
sociali nei termini dell'avvento di una «nuova società», è parte dell'immaginario,
per così dire, sociologico comunitario.
Queste trasformazioni sono state accompagnate e indirizzate dall'azione
della Corte di Lussemburgo, che negli anni ha sempre più individuato
nei diritti fondamentali, riconosciuti dalle diverse costituzioni
e ora dalla «Carta di Nizza», lo schema normativo
di riferimento in base al quale giudicare i ricorsi in materia di
lavoro e di diritti sociali. Essa ha così progressivamente affermato
la centralità di un soggetto giuridico il cui carattere costitutivo
è l'«indifferenza» nei confronti della posizione lavorativa.
L'opera d'identificazione di una figura indifferente di prestatore
d'opera mira certamente a unificare il mercato del lavoro europeo
al di fuori e oltre le singole norme nazionali; allo stesso tempo,
tuttavia, mira anche a privilegiare i caratteri giuridici della persona
e non la specificità dei differenti rapporti giuridici di lavoro (...).
Produce altresì la conseguenza di adeguare il soggetto individuale
ai caratteri di quelli che politicamente vengono considerati i pilastri
costitutivi della nuova costituzione sociale. Alle persone, proprio
perché si presentano del tutto indifferenziate deve essere garantito
il diritto alla piena capacità competitiva, eliminando gli ostacoli
alla concorrenza anche individuale che di volta in volta si presentano.
Abbiamo così un secondo elemento della «personificazione» del prestatore
d'opera: esso non è solo indifferenziato, ma anche serialmente individualizzato.
(...) Già il Libro verde Partenariato per una nuova organizzazione
del lavoro del 1997, al quale in Italia ha fatto ampio riferimento
il Libro bianco del ministro Maroni, ha chiaramente rilevato che la
«tradizionale organizzazione del lavoro, basata sui dati di una produzione
industriale di massa, è sempre più messa in questione». Questa secca
affermazione non è tuttavia da intendersi come registrazione della
fine della forma industriale della produzione capitalistica, ma piuttosto
come indicazione della necessità di una diversa organizzazione tecnica
e politica della forza-lavoro.
In questione è il rinnovamento e il miglioramento della forma fordista
della produzione, che dovrebbe avvenire concedendo ai lavoratori «la
possibilità di esercitare il loro giudizio, di annodare dei contatti
sociali e di apprendere». I tre fattori
di cambiamento individuati sono le risorse umane, i mercati e le tecnologie.
Gli ultimi due costituiscono però gli elementi di rigidità della costituzione
economica tanto sul piano interno quanto su quello globale.
Non è infatti pensabile una capacità «europea» di determinare in maniera
significativa, o addirittura risolutiva, l'andamento dei mercati o
il ritmo delle acquisizioni tecnologiche. Risorse umane è invece il
nome del lavoro. «È un costo che bisogna ridurre. Ciò nonostante,
in un'economia basata sulle conoscenze,
le persone sono risorse chiave». È necessario che la mano d'opera
generi conoscenze, perché la «nuova società» è ben più caratterizzata
dalla produzione di sapere che dall'organizzazione o dalla presenza
delle macchine.
E da questa considerazione nasce la proposta incentrata sul partenariato,
perché la valorizzazione delle conoscenze delle «persone» è possibile
solo se l'organizzazione del lavoro si fonda «sulla cooperazione e
l'interesse comune». Il dualismo costitutivo impresa- forza-lavoro,
ampiamente tematizzato e sostenuto, viene però inteso asimmetricamente:
da una parte vi è la presenza immediata del capitale come necessità
reale di organizzazione della società, dall'altra ci sono gli «operai(operaie)-persone»
che esistono solamente nella loro forma rappresentata. Quelli che
entrano nelle organizzazioni sindacali non sono più i lavoratori dipendenti
della fabbrica come «modello» di società, ma piuttosto le persone
che abitano la società degli individui in competizione.
Ancora una volta il riferimento alle persone è necessario perché ogni
lavoratore deve lasciare a casa le differenze di cui è portatore,
per non parlare dell'interesse che ha in comune con gli altri lavoratori.
E ciò vale sia per gli individui lavoratori sia per le donne, per
le quali non a caso viene individuata e perseguita esclusivamente
una politica delle pari opportunità, quindi, ancora una volta, completamente
rivolta alla loro identificazione con la persona. (...) Esemplare
in questo senso è la comunicazione della Commissione europea Modernizzare
l'organizzazione del lavoro. Un atteggiamento positivo nei confronti
dei cambiamenti. Essa riafferma la vitalità delle contrattazioni collettive,
affermando che le «parti sociali ... devono definire un quadro d'azione
coerente e globale, invece di reagire, positivamente o negativamente,
a iniziative legislative frammentarie».
In questo modo, tuttavia, viene fatta balenare la convinzione che
la forma legge sia ormai inadeguata a normare quelli che si vogliono
comportamenti lavorativi flessibili. (...) Pur denunciando la sfasatura
tra diversificazione dei «lavori» e tentativi di ricondurli all'interno
di schemi giuridici rigidi, anche la dottrina del diritto del lavoro
riconosce la tendenza a estendere la
cosiddetta «frontiera» del lavoro subordinato, ma ricompattandola
«entro un contenitore più ampio di quello ripreso dalla tradizione
fordista», attuando una sorta di subordinazione allargata e attenuata
al tempo stesso. La riaffermata centralità, nell'assetto sociale e
politico, del lavoro subordinato e della disciplina inderogabile di
tutela del lavoratore, viene esplicitamente denunciata come causa
di squilibrio nella distribuzione delle protezioni sociali.
In direzione della sostituzione della contrapposizione rigida lavoro
autonomo/lavoro subordinato mediante la rilevazione del continuum
di tipi di attività si muove ad esempio la proposta di Alain Supiot,
contenuta nell'ormai celebre Rapporto della Commissione di esperti
europei noto come «Rapporto Supiot». Osservando che non si può ammettere
(e di fatto nessun paese dell'Unione europea lo ammette) che le parti
della «relazione di lavoro» possano autonomamente qualificare giuridicamente
il loro rapporto, la qualificazione giuridica di quest'ultimo - ossia
la scommessa di conferire quadro giuridico al lavoro dipendente nel
complessivo indebolimento del quadro nazionale nella pratica delle
negoziazioni collettive - precede e determina la relazione.
(...)L'allentamento del «tradizionale» legame tra subordinazione e
statuto del salariato e l'estensione della normativa propria del lavoro
subordinato ai cosiddetti «lavori» caratterizzano dunque il dibattito
sulle cosiddette «frontiere del salariato». Esso si è disposto lungo
due tendenze: secondo la prima, si tratta di ridurre
il campo di applicazione del diritto del lavoro mantenendo un criterio
rigido di subordinazione giuridica; per la seconda tendenza, si tratta
invece di allargare tale campo di applicazione sostituendo il criterio
della subordinazione giuridica con quello della dipendenza economica
in quanto ritenuto più congruo ai «nuovi modi di produzione» che (...)
ripropongono vincoli di dipendenza economica appunto difficilmente
misurabili. Ma non solo; poiché la semplice esecuzione di ordini non
è più in grado di caratterizzare il lavoro salariato, la sua esistenza
giuridica è definita anche dall'integrazione nell'impresa altrui.
(...)
In definitiva, la nozione di subordinazione non pare sinora rimessa
radicalmente in questione dalle modificazioni dei rapporti di lavoro;
l'estensione del salariato allo spettro dell'«impiego» ha permesso
la trasformazione del diritto del lavoro in diritto comune valido
per ogni rapporto di lavoro, con l'introduzione di significativi «spazi
di autonomia» nel rapporto di lavoro subordinato, tendenza parallela
a quella di introdurre elementi di flessibilità nello svolgimento
del rapporto stesso. (...)
Così nella proposta della «Carta dei diritti» della legge Amato-Treu
riecheggia l'idea di Supiot di costituire quattro
cerchie di diritti sociali:
1) diritti universali (ossia indipendenti
dal lavoro, come per l'assicurazione in caso di malattia);
2) diritti fondati sul lavoro non professionale
(lavoro di cura ecc.);
3) diritto comune dell'attività professionale
(igiene e sicurezza nel diritto comunitario);
4) diritto proprio del lavoro salariato,
contenente unicamente le disposizioni legate alla subordinazione;
esso dovrebbe permettere una graduazione dei diritti in funzione dell'intensità
della subordinazione. In particolare, la salute e la sicurezza sul
lavoro e il principio di non discriminazione
(di fatto a tutt'oggi il terreno più avanzato di produzione 'armonica'
di pratiche e normative comunitarie) richiamano secondo alcuni un
gruppo di normative che tendono ad applicarsi in modo indifferenziato
alle varie attività di lavoro, configurando un'area disciplinare il
cui ambito di applicazione va ben oltre quello del nuovo «statuto
professionale allargato» per arrivare a coincidere con la protezione
del lavoratore-cittadino ossia «della persona in quanto tale».
Oltre la retorica dell'universalismo dei diritti, si profila dunque
uno scarto tra la forma giuridica del lavoro sociale comandato e il
comando (d'impresa) del lavoro sociale. Se un lato si rileva il rischio
di una separazione tra diritto del lavoro e diritti sociali, o più
in generale del sociale dall'economico, dall'altro si ritiene di poter
recuperare la vocazione «originaria»
del diritto del lavoro nel «promuovere le opportunità di impiego»
nel mentre si rinuncia al suo ruolo di tutela dei cosiddetti garantiti.
La flessibilità del diritto del lavoro nell'area ristretta del rapporto
di lavoro appare controbilanciata da una retorica della persona e
dell'universalismo dei diritti privo di imperatività, con i quali
si cerca di saldare le figure del lavoratore e del cittadino in un'area
affatto aleatoria. E in quest'area
dovrebbero essere risarcite quelle due individualità che, come abbiamo
visto, più contraddittoriamente possono essere inserite nel discorso
della personificazione. Non è dunque casuale che il «Parere del comitato
economico e sociale del luglio 2002», in materia di diritto europeo
dei contratti, escluda esplicitamente la necessità
e l'utilità di costruire un diritto comune europeo dei contratti per
quanto riguarda il diritto di famiglia e il diritto del lavoro. Questa
convinzione, già espressa dalla Commissione europea, si basa sulla
motivazione che quegli ambiti del diritto sarebbero «intimamente legati
alle tradizioni giuridiche, alla storia e alla struttura sociale di
ciascuno dei paesi membri».
Così, oltre la ricerca di un diritto comunitario, nella «nuova società»
torna a farsi strada la tradizione normativa
del comando e della mediazione dello Stato nazionale capace di costruire
concretamente differenza.
Thanx to Manfo |