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Art. 18, la Nuova Europa passa da qui
E' sul lavoro che l'Italia mostra il suo vero volto: quello di una
vocazione conservatrice irriducibile, da padroni del millennio
scorso. Il ministro italiano del Lavoro e del Welfare Roberto Maroni,
per seguire i cattivi consigli di Renato Brunetta e Giuliano Cazzola,
ha gettato la maschera "super partes" che il ruolo di ministro della
Repubblica pure gli avrebbe dovuto suggerire, e si è messo alla testa
di un "Comitato per il No al referendum sull'art. 18".
Intanto, con il convegno su "Lavoro e diritti: il referendum sull'articolo
18 e la Convenzione europea» che si è tenuto in Campidoglio a Roma,
un gruppo di avvocati e giuslavoristi aderenti all'Associazione degli
avvocati democratici europei si è confrontato con gli esponenti
delle forze politiche - da Rifondazione comunista ai Verdi, dall'esponente
del "correntone" Ds Cesare Salvi al leader della sinistra Cgil Giampaolo
Patta - che appoggiano il referendum per l'estensione dell'articolo
18.
Avvocati tedeschi, francesi, belgi, italiani, spagnoli, hanno messo
sul tappeto la realtà del mondo del lavoro nei singoli paesi europei,
sia laddove governi democratici e progressisti sono riusciti - come
in Germania - ad estendere le tutele, sia laddove nazioni come l'Italia
o la Spagna - e da ultimo anche la Francia - sono amministrate da
coalizioni conservatrici prone davanti
alle pretese delle rispettive confindustrie. I giuristi hanno inteso
porre le basi per una proposta che veda al primo posto, tra i fondamenti
della Costituzione della Nuova Europa allargata, i diritti del lavoro,
il dovere della solidarietà, le tutele sociali.
Maroni e gli altri promotori del Comitato per il No, frattanto, affermavano
di richiamarsi alle "indicazioni strategiche" del Libro bianco di
Marco Biagi (l'economista consulente del ministro ucciso a Bologna
dalle Br, ndr) e di rivolgersi «a tutti coloro i quali, senza distinzione
di schieramento, vogliono realizzare un'opera riformatrice per la
modernizzazione del Paese e della società». L'appello, in nome di
una modernizzazione presunta e di un'effettiva
controriforma sociale, cerca di tenere assieme tutti i detriti di
un riformismo che nel corso dell'ultimo secolo ha raccolto soltanto
fallimenti, tutti e sempre pagati dalla classe operaia (quando non
è riuscita a organizzarsi e a resistere), e che ha finito per consegnare
l'Italia nelle mani del piduista Silvio Berlusconi e della sua sgangherata
coalizione di governo.
Brunetta, Cazzola, Maroni e gli altri promotori del Comitato vanno
sostenendo che «l'art. 18 configura una norma di tutela che... irrigidisce
i meccanismi di protezione, il cui unico concreto risultato sarebbe
la distruzione di posti di lavoro, l'ampliamento di comportamenti
elusivi, la crescita di rapporti di lavoro irregolari... producendo
effetti devastanti per l'economia, i lavoratori e le imprese». «Non
è vero niente», ha precisato uno degli giuristi tedeschi che al Convegno
in Campidoglio ha affermato: «In Germania il cancelliere Kohl aveva
abbassato da 15 a 10 lavoratori la
soglia di applicabilità della tutela; successivamente la coalizione
rosso-verde di Schroeder l'ha estesa fino alle aziende con 5 dipendenti.
E tutte le analisi economiche ci dicono che non è stato questo a far
crescere la disoccupazione nel nostro paese, ma il fatto che gli imprenditori
tedeschi non abbiano fatto investimenti in attività industriali in
grado di produrre occupazione».
E ciò è avvenuto dove «lo Stato vigila sul rispetto delle regole -
ha tenuto a sottolineare con una punta di malizia l'avvocato berlinese
- e non dove si condona l'irregolarità». Nel suo intervento Alfonso
Pecoraro Scanio ha detto che si tratta di estendere un diritto di
tutela rispetto a un sopruso: «Non c'è un No riformista al referendum
- ha affermato il portavoce dei Verdi -. Dobbiamo essere molto chiari:
con il No la riforma non si fa; il Sì, invece,
amplia i diritti dei lavoratori e dei cittadini; e solo se
vince il Sì è possibile partire con una battaglia sociale su base
europea».
Cesare Salvi, che ha definito «singolare e inedita» l'iniziativa del
ministro Maroni, ha lanciato un monito a tutte le forze di sinistra:
«A chi dice che il referendum sull'art. 18 ci divide rispondo che
ci divide solo se vogliamo dividerci». L'esponente diessino, che è
stato anche ministro del Lavoro nei governi D'Alema e Amato, si è
poi appellato a tutto il suo partito e alla Cgil: «Auspico che le
forze politiche e sindacali che si sono finora riservate il giudizio
ci ripensino, perché come si vede il governo è coerente con la sua
battaglia per destrutturare i diritti
dei lavoratori».
E Alfonso Gianni, deputato del Prc in Commissione lavoro, si è detto
convinto che «se si raggiunge il quorum il Sì vincerà. Bisogna però
avere chiaro che l'astensione vale come e più di un voto contrario
- ha precisato - perché manifesterebbe una contrarietà non solo nel
merito del referendum ma addirittura
sull'opportunità di sollevare la questione». Così - ha ammonito Gianni
- «l'astensione non è una scappatoia per nessuno, e invece soltanto
la vittoria del Sì consentirebbe di riaprire e allargare altre proposte
di legge in materia di lavoro».
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