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Il lavoro
servile del governo
Passa alla camera la delega sul lavoro, Maroni esulta: «E' una riforma
epocale, e adesso l'art.18»
Ha ragione il ministro del welfare Roberto Maroni a sottolineare esultante
lo spessore epocale della legge delega
sul lavoro approvata ieri dalla camera, che correrà «velocemente»
all'approvazione definitiva del senato.
E adesso, annuncia il ministro, «si passerà subito all'articolo 18»
sui licenziamenti - dopo la prima lettura della finanziaria - a completamento
di una legge che «è la prima grande riforma da trent'anni dopo lo
Statuto dei lavoratori». Così «grande», la delega Maroni-Berlusconi,
che cancella le conquiste di quello
Statuto e dei decenni del secolo appena scorso, per scavallare in
pieno ottocento.
Tanto selvaggia nella cancellazione dei diritti nel lavoro e della
sua rappresentanza, fino a conculcare le libertà civili di individue
e individui, da suscitare ieri in aula reazioni
come quelle di Pierluigi Bersani, uomo non facilmente turbabile: «qui
si va oltre il segno possibile di una società che voglia dirsi liberale».
Significativo, perché attiene a esperienze e relazioni individuali
e collettive rivelatrici quanto mai altre del «grado di civiltà» di
una società, l'articolo della legge governativa che pretendeva
di consegnare le persone «disabili», con handicap fisici o psichici
al lavoro in affitto. Una fitta discussione in aula, e i molti emendamenti
soppressivi dell'opposizione ma anche di deputati della maggioranza
(Rosso, di Forza Italia), hanno convinto il relatore a cancellarlo.
Ma per il governo il sottosegretario Sacconi annuncia: «Rinvieremo
ad altra sede l'opportunità di approvare una norma dello stesso tipo
di quella soppressa». Deve restare indiscusso - e infatti è filosofia
che innerva l'intera legge, votata passo dopo passo con la forza dei
numeri, a maggioranza blindata - il principio della nuda
merce come attributo dei prestatori di lavoro, sia quelli cosiddetti
«tradizionali» che quelli incastrati nelle forme nuove, come i «collaboratori»
o vecchie come i «soci-lavoratori».
Così è passata alla grande, pur se con sussulti anche nel centrodestra,
la norma sullo staff leasing, sull'affitto perenne di persone. Un'impresa
può prendere lavoratori o gruppi di lavoratori per un lavoro fisso,
affittandoli «a tempo indeterminato» da un'agenzia. Qui come
altrove salta qualunque possibilità di «contratto» - come per un secolo
si è inteso - figuriamoci l'«articolo 18»: si stringe addosso a ciascuno
una condizione servile. Ci sono grandi ritorni del genere nella delega
Maroni-Berlusconi, che sancisce per legge un dominio dell'impresa
da tempo impensabile. Le è dedicata questa legge, che invece «non
si applica» alla pubblica amministrazione.
E' una «riscrittura, per somma di decreti, delle strutture portanti
del diritto del lavoro italiano, inquietante nel merito e anche dal
punto di vista istituzionale», stigamtizza seccamente la Cgil, il
segretario nazionale Giorgio Casadio. Citiamo solo alcuni dei punti
che più possono comunicare oltre allo smantellamento, alla cancellazione
delle rappresentanze collettive, dei sindacati traslocati a collocare
manodopera, ad affittarla, a certificare i lavoratori precari, la
violazione dei diritti personali.
Basti vedere come viene ridotto il part time, in nome «dell'occupazione
delle donnee», o dei più giovani e dei più anziani: non solo non è
più prescritta la contrattazione collettiva a fissare paletti di norme
e retribuzioni; ma si cancella l'obbligo del «consenso del lavoratore»
per il passaggio dal lavoro pieno al part time, o viceversa, e del
suo «consenso» all'orario «supplementare» (lo straordinario per cui
sei part time ma costretto a lavorare 8 ore). Un part time divenuto
coatto, e esteso ai contratti temporanei,
che sfuma nell'altra invenzione legislativa: il lavoro a chiamata,
job on call - come hanno notato deputate e deputati di Rifondazione
e dell'Ulivo dai Ds, a Margherita, Verdi Pdci.
Il job on call ti costringe a portarti addosso una sorta di teledrin
come i medici - non per soccorrere malati ma per rispondere a qualunque
chiamata dell'azienda. Pagati solo nei periodi in cui si lavora, ma
a disponibilità dell'azienda a tempo totale: se non rispondi alla
chiamata perdi l'indennità di reperibilità. Lavori intermittenti,
«a progetto», in affitto, o divisi fra due o tre lavoratori come il
job sharing - altro che «articolo 18», nessuno risulta più «alle dipendenze»
di un'impresa, al massimo viene contato per la metà, un terzo della
sua persona tra i prestatori di lavoro effettivi.
Niente da fare neppure per i «collaboratori coordinati e continuativi»
quanto a diritti fondamentali: respinti gli emendamenti dell'opposizione,
la legge sancisce che per loro non valgono gli articoli dello Statuto
che garantiscono libertà di opinione - e divieto di indagine
sulle opinioni -, diritto di associazione, e divieto di atti discriminatori
nei loro confronti. Diritti negati nelle cooperative, dove i «soci-lavoratori»
vedono stingere attributi e diritti nel loro essere «lavoratori».
Denunce in aula ieri anche sulla «certificazione» dei lavoratori precari:
è affidata dalla legge a organismi - tra cui gli enti bilaterali formati
da sindacati e imprenditori - e agli stessi organismi,
in caso di certificazione del `contratto' giudicata non corretta,
una persona dovrebbe rivolgersi, giacché le è inibito «la possibilità
del ricorso in giudizio».
Thanx to Manfo |