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Miracolo
a Milano il 24 ottobre
200.000 Oltre ogni previsione l'adesione
alla manifestazione milanese. Oltre ai «soliti» lavoratori dell'industria,
la piazza si riempie soprattutto grazie a quelli dei servizi e ai
«precari» Governo addio Dalla capitale meneghina quasi un avviso di
sfratto al cavaliere. La controriforma delle pensioni unifica il malcontento
e cancella, per il momento, le divisioni sindacali
Sorprendente Milano. Cgil, Cisl e Uil non ci puntavano particolarmente,
i big sindacali comiziavano in altre città. E, invece, la manifestazione
più grossa contro la «riforma» delle pensioni e
la finanziaria è stata quella di Milano, patria di Berlusconi.
200 mila, spara dal palco in piazza Duomo il segretario della Cgil
Giorgio Roilo. Facciamo la metà? Centomila «reali»
sono comunque una cifra da grandi occasioni,
tenuto conto che nel resto della Lombardia di manifestazioni ce n'erano
altre tredici. Il perché del successo è presto detto:
gli operai, sempre meno a Milano e nell'hinterland, ieri non erano
soli sul classico percorso dai bastioni di Porta Venezia al Duomo.
Erano una parte, e non la più consistente, di un corteo davvero
«generale», come lo sciopero. Impiegati, tecnici, dipendenti
pubblici, lavoratori della sanità e del commercio, insegnanti,
studenti, centri sociali, chain
workers. Tutto lo spettro dei lavori era ben rappresentato
in un corteo rinforzato dai pensionati (tanti e vispi come al solito),
dai partiti dell'opposizione (visibili più del solito), dalle
associazioni grandi e piccole, dai sindacati di base. E poi c'era
il «bruco precario», che si sa da dove viene ma non si
dove finirà, 25 metri di stoffa verde con sotto ragazzi e ragazze
delle case occupate. «Il bruco cadrà nella vostra minestra
a tempo indeterminato». Moltissime le donne. E anche questo
si spiega. L'emendamento alla delega previdenziale che, a partire
dal 2008, cancella di fatto le pensioni di anzianità le colpisce
in pieno, manda a pallino il progetto a lungo accarezzato di «ritirarsi»
prima d'aver compiuto 60 anni. Le impiegate comunali sfilano con
la «paletta» dei vigili per «fermare» Berlusconi.
«Non solo per oggi, ma una volta per tutte», precisa
la signora Luisa. Lei «i patti con il Comune di Milano»
li ha rispettati. Ha rinunciato allo stipendio più alto che
prendeva in un'azienda privata pur
d'andare in pensione un po' prima, «con 33 anni di contributi,
intendiamoci, mica con le pensioni baby«. Ora il governo le
dice che «non si può».
Il centro sinistra con la riforma Dini non aveva avuto la mano leggera,
«ma questi esagerano». Tina, impiegata al comune di
Corsico, è nella stessa situazione: «40 anni di contributi
per andare in pensione per le donne
è una cosa terribile. Non si tiene conto del doppio lavoro,
in casa e fuori». Masticano amaro anche le insegnanti: «Faccio
fatica a tenere a bada la classe già ora che di anni ne ho
cinquanta, figuriamoci a sessanta».
Berlusconi scriverà una lettera agli italiani per spiegare
quanto sia buona e giusta la sua riforma delle pensioni. I lavoratori
dell'Inps gli rispondono in anticipo con uno striscione. «Caro
Silvio, sulle pensioni puoi mentire a tutti... ma non a noi».
Gli edili, via striscione, scrivono a Maroni e a Berlusconi: vi
aspettiamo, magari in un giorno di pioggia,
in cantiere così potrete vedere «quanto male stiamo
e quanto la pelle noi rischiamo». Ida, pensionata di Cernusco
sul Naviglio, spedisce Berlusconi e soci nelle fiamme dell'ottavo
cerchio dantesco, «quello dei malfattori». Fa la spesa
all'hard discount, il golfino lo compra solo nei saldi.
Ai tanti come Ida la segretaria della Cisl Maria Grazia Fabrizio
dedica un passaggio, in milanese, del suo comizio: «Si rende
conto il governo che per 70 mila anziani a Milano il problema l'è
minga il salmone del Baltico, l'è la micheta e il bicièr
del lat?». Il segretario nazionale della Uil Adriano Musi
chiude il suo comizio - non un fischio,
ma neppure un applauso - con un roboante «l'unità di
oggi sarà l'unità di domani». Quanti in piazza
sono disposti a mettere la mano sul fuoco su cosa faranno domani
Angeletti e, soprattutto, Pezzotta? «Siamo uomini di mondo
e Pezzotta lo conosciamo», ironizza un delegato Cgil dell'Eni,
«la ritrovata unità mi sembra un po' posticcia».
«Se il governo gli promette qualcosa, Pezzotta ci molla un'altra
volta», dice una tuta blu Fiom della Breda Energia che tiene
a precisare: «io comunque sciopero anche il 7 novembre».
E i cislini si fidano del loro segretario? Un delegato dell'Hotel
Gallia non si sbilancia: «Siamo tre grandi organizzazioni
sindacali, dobbiamo avere rispetto reciproco. Questo sciopero e
questa manifestazione dimostrano che insieme abbiamo una grande
forza, non disperdiamola». Le pensioni sono una cosa troppo
grossa per qualunque sindacato, assicura un delegato Cisl della
Fernet Branca, «Pezzotta non può mollare». E
se molla, commenta in tutta libertà
uno del Sicet inquilini, «è proprio un pirla».
Per onestà corre l'obbligo di dire che qualcuno, più
del voltafaccia di Pezzotta, teme le coltellate alla schiena del
centrosinistra. Come Ornella, impiegata in una casa editrice: «Lottiamo,
ma è come stare su una gamba sola».
Thanx to Manfo
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