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03-09-02

  C'era una volta il diritto di sciopero

La Russia, consigliata da Fondo monetario Internazionale e Banca mondiale, sceglie il liberismo nella regolazione dei rapporti di lavoro. Colpiti i sindacati; i padroni ringraziano i sindacati russi e internazionali contro il nuovo sistema di regole che trasforma i lavoratori in merce. Un regalo alle imprese, nazionali e straniere


Meno diritto di sciopero, meno potere ai sindacati, più libertà alle imprese di imporre le proprie condizioni ed eliminare chi si oppone. Il nuovo codice del lavoro della Federazione russa, approvato dalla Duma lo scorso dicembre e in vigore da febbraio, con l'ovvio sostegno della Banca mondiale e del Fondo monetario internazionale, mira a rendere sempre più marginale il ruolo deisindacati, soprattutto i più piccoli, in nome di un improrogabile bisogno di flessibilità.

E' forte, perciò, l'opposizione delle organizzazioni del lavoro, sia nazionali sia internazionali, che denunciano la chiara volontà del governo e delle imprese di indebolire i sindacati. A luglio, il direttore generale dell'Organizzazione mondiale del lavoro, Juan Somavia, ha incontrato il ministro del lavoro Aleksandr Pochinok proprio per discutere della riforma del lavoro, insieme ad altre questioni economiche e sociali, come la necessità di contrastare lo sfruttamento minorile e di valutare l'impatto sociale che avrebbe l'eventuale ingresso del paese nel Wto.

«La Federazione russa è arrivata a un momento di svolta del proprio sviluppo - ha detto Somavia - ma si deve ancora lavorare molto per migliorare il codice, ci sono circa 32 nuove misure che alcuni ministeri e le parti sociali dovrebbero rivedere insieme». All'agenzia Onu si erano rivolte, infatti, le maggiori organizzazioni sindacali russe affinché l'Oil intervenisse per modificare la nuova legge. «L'adozione del codice - secondo il segretario generale della confederazione Vkt, Alexader Bugaev - ha spostato l'equilibrio delle forze a favore delle imprese. In passato il datore di lavoro, anche se in posizione dominante, era obbligato a cercare l'accordo con i sindacati. Oggi, invece, l'impresa può limitarsi a "prendere atto" dell'opinione del sindacato, agendo poi come vuole nei rapporti con i dipendenti».

Infatti, le due parti ora sono tenute a stipulare i contratti collettivi entro un periodo massimo di tre mesi e ogni richiesta dei rappresentanti dei lavoratori che viene rigettata dall'impresa è semplicemente registrata a parte, in un «protocollo di disaccordo», obbligando il sindacato ad accettare passivamente quanto offerto. Il nuovo sistema tende a penalizzare in modo particolare le sigle minori. Il codice lascia il diritto di negoziare e stipulare accordi collettivi solo alle organizzazioni principali, cioè a quelle categorie che appartengono a strutture nazionali. I sindacati locali autonomi e indipendenti, perciò, non possono partecipare ad alcun negoziato, anche se in un'azienda o in un determinato distretto industriale sono assenti i rappresentati delle confederazioni.

Le tutele diminuiscono anche per i sindacalisti. I lavoratori impegnati nella difesa dei diritti trovavano, in passato, protezione dalle minacce di ritorsioni e di licenziamenti, mentre ora quel privilegio spetta solo ai rappresentanti di alto livello e solo ai membri delle grandi confederazioni. Il rapporto annuale della Cisl internazionale sulle violazioni dei diritti del lavoro nel 2001 riporta casi eclatanti di azioni antisindacali all'interno di vari settori, per lo più privati e in mano a imprese straniere. Gli ispettori hanno denunciato episodi di discriminazione verso i dipendenti sindacalizzati, ad esempio ad Artyom, nelle fabbriche tessili di società sudcoreane, dove anche ai semplici iscritti era stato negato l'aumento di stipendio dato agli altri, insieme ad alcuni benefici fiscali e persino ai buoni pasto.

Nei McDonald's, dove la contrattazione collettiva è arrivata dopo anni di lotte, si è scoperto che ad alcuni dipendenti veniva offerto del denaro per rinunciare all'adesione al sindacato. Dura repressione della polizia con tanto di arresti, invece, per quattro sindacaliste che a luglio si erano rifiutate di interrompere il blocco stradale e il picchetto di protesta contro la compagnia petrolifera Gazprom, colpevole di aver violato gli accordi per la tutela dei lavoratori esposti ai rischi di intossicazione. Intanto, una nuova organizzazione, costituita già da un anno, sta tentando di raccogliere tutti gli iscritti delle varie sigle in un'unica struttura.

Secondo la Federazione dei sindacati russi indipendenti Fnpr e le altre due confederazioni Vkt e Ktr, però, questa sorta di mega-associazione è controllata dagli industriali e da alcuni apparati statali attraverso propri rappresentanti nel comitato direttivo. Le tre confederazioni, infatti, vedono nell'iniziativa «un tentativo palese di indebolire e dividere il movimento sindacale e minare così lo sviluppo del sistema di partecipazione democratica». Senza dubbio, però, la legge che più colpisce i diritti acquisiti dai lavoratori russi da almeno ottant'anni è quella che regola gli scioperi. Incrociare le braccia per difendere quei diritti non è più possibile per diverse categorie del settore pubblico: nelle ferrovie, nel trasporto aereo, nelle centrali d'energia nucleare, nell'esercito e nelle varie agenzie governative.

In base a un ampio e appositamente non ben definito criterio di «assicurazione dei servizi minimi indispensabili» si vuole privare della più efficace forma di protesta la stragrande maggioranza dei dipendenti dello stato. Nel privato, scioperare è ancora possibile, ma comunque molto difficile. L'azione è considerata legale solo se approvata dai due terzi dei lavoratori di un'impresa, a prescindere dai sindacati che lo promuovono e dal numero degli iscritti che partecipano. È chiara l'impossibilità di invocare uno sciopero per le categorie minori, soprattutto all'interno delle aziende più grandi - la maggioranza in Russia.

L'unico caso che riconosce questo diritto automaticamente è quello in cui l'azienda ritardi di oltre 15 giorni il pagamento dello stipendio, lasciando però piena libertà di sostituzione degli scioperanti, pur non licenziandoli. Nel difficile momento di trasformazione sociale ed economica che la Russia sta ancora attraversando, il governo pare non avere altre strade da seguire se non quella dichiaratamente neoliberista, unico percorso possibile secondo Banca mondiale e Fmi per le economie in crisi, che per l'ex Unione sovietica significa chiudere la stagione delle tutele del lavoro e riaprire quella della speculazione e dello sfruttamento.


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