Manifesto, 03-02 back
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Il museo in azienda
"ARTE & ECONOMY" UNA MOSTRA AD AMBURGO SUI RAPPORTI TRA MERCATO E CREATIVITÀ
L'opera d'arte, emblema di valore e di unicità, è uno status symbol la cui potenza metaforica viene sempre più utilizzata nella pubblicità di prodotti e servizi esclusivi. Art & Economy, una mostra colta e raffinata aperta alla Deichtorhallen di Amburgo (fino al 23 giugno), analizza un argomento in genere negato, o almeno nascosto: il rapporto tra il mondo dell'arte e quello del business, due aree che qualcuno continua a considerare rigorosamente separate, ma le cui strade, in realtà, tendono sempre più a incrociarsi.
Le cinquanta opere della rassegna indagano l'interesse di trentadue artisti contemporanei, tra i più apprezzati dalla critica e dal collezionismo internazionale, per i modelli funzionali del mondo dell'economia e del lavoro. Ma, allo stesso tempo, mette in luce il significato e il ruolo - del tutto nuovi - che l'arte sta assumendo per le aziende, soprattutto come biglietto da visita prestigioso, elemento qualificante della propria immagine. Critici famosi curano per le imprese gli acquisti e la collezione permanente: quello che potrebbe essere un puro investimento, diventa un bene da esporre in un museo appositamente creato o in mostre itineranti che, girando per il mondo, svolgono il ruolo di una pubblicità continua quanto remunerativa e di alto profilo. Ma le aziende, negli ultimi anni, hanno creato anche quell'alleanza tra pubblico e privato che, attraverso le sponsorizzazioni, sostiene le spese che i musei non riescono più ad affrontare.
Divisa in tre sezioni, la mostra di Amburgo prende il via con "Economic Visions", una serie di collaborazioni nate per l'occasione tra artisti e aziende, come quella tra l'inglese Liam Gillick (Aylesbury, 1964) e Muse, la casa di produzione di Los Angeles che ha realizzato, tra gli altri, Buffalo 66, film di culto del cinema indipendente americano diretto dall'attore, musicista nonché fotografoVincent Gallo. "Economic Turns", la parte centrale della rassegna, mostra gli sforzi compiuti dagli artisti per interagire con un mondo governato esclusivamente dalle leggi economiche. Ogni autore segue le proprie strategie: alcuni preferiscono esplicitare i moduli di funzionamento di quel mondo, altri invece ne indagano le forme sociali e culturali.
Atelier van Lieshout, il gruppo olandese fondato nel 1995 da Joep van Lieshout (Ravenstein 1963), che il pubblico italiano aveva conosciuto l'estate scorsa, alla Biennale veneziana, grazie a un'installazione collocata nello specchio d'acqua delle Gaggiandre dell'Arsenale, ha realizzato AVL Money, vere e proprie banconote da 1, 25 e 100 AVL emmesse, naturalmente, da una fantomatica Bank of AVL. Andreas Gursky (Lipsia 1955), il massimo rappresentante, con Thomas Struth, dell'incredibile successo commerciale della fotografia contemporanea (una sua immagine è stata battuta da Christie's, nel novembre scorso, per 662mila euro), espone la recente, ma già classica 99 Cent Store: una coloratissima foto scattata in un grande magazzino americano, in cui la merce allineata sugli scaffali non è altro che lo spunto per un'interpretazione aggiornata delle astrazioni geometriche di Piet Mondrian o Gerhard Richter.
L'immagine, come tutte le opere di Gursky, invita lo spettatore a riflettere sulla condizione umana nei tempi del consumismo esasperato. Come l'installazione di Masato Nakamura (Odate City 1963), che aveva già colpito l'immaginazione di molti visitatori del Padiglione giapponese alla Biennale, sia pure in una forma leggermente diversa: il marchio di Mac Donald's viene "sfruttato" dall'artista per costruire un tempio, inquietante luogo di preghiera per il dio del profitto.
La mostra di Amburgo, tra le più intriganti degli ultimi tempi, si conclude con la sezione "Art Stories", che analizza la funzione che l'arte può avere per le aziende. Alcune imprese hanno risposto a un questionario inviando dichiarazioni scritte o altro materiale documentario che troviamo esposto nelle sale della Deichtorhallen con la stessa dignità dei lavori realizzati dagli artisti.
Di questi tempi, d'altra parte, è difficile fissare anche il concetto stesso di opera d'arte. Nelle copertine dei cataloghi che Christie's dedica alle ultime tendenze troviamo solo una secca indicazione: Contemporary. Art - la seconda parolina che fin qui aveva sempre accompagnato la prima - è sparita. Negli ultimi anni sono cadute tutte le distinzioni tra pittura, scultura, fotografia, video, installazioni e performance. Oggi ogni mezzo espressivo ha la stessa dignità e i collezionisti - come i direttori dei musei più prestigiosi - hanno registrato immediatamente questo cambiamento epocale: negli ultimi mesi una scultura di Jeff Koons è stata venduta per più di 6 milioni di euro, un dipinto di Richter ha sfiorato i 6 milioni, la Nona ora, l'ormai famosa installazione di Maurizio Cattelan (il papa schiacciato da un meteorite) è stato venduto per 1 milione di euro, le foto di Thomas Struth hanno toccato i 335.000 e il Quintet of the Remembrance di Bill Viola, valutato intorno ai 300mila euro, è appena entrato nella collezione permanente del Metropolitan Museum di New York.
La mostra si chiude con una curiosità: una serie di filmati consentono allo spettatore, come fosse il protagonista di un videogioco, di entrare nelle aziende per scoprire in quali luoghi e in che modo l'opera vi è stata collocata.
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