TRATTO DA Unità 02-02, back
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Flessibili, licenziabili dunque precari
Ma è vero che è la flessibilità il fattore determinante per creare nuova occupazione? La risposta negativa è dimostrata dai fatti.
L’aumento dei posti di lavoro dipende essenzialmente dalla crescita economica: la crescita economica, a sua volta, può avere maggiore o minore contenuto occupazionale, anche a seconda delle politiche che si adottano, per esempio, riservando gli incentivi pubblici in tutto o in parte alle attività ad alta intensità lavorativa.
Anche la «qualità» del lavoro dipende in buona misura dalle scelte politico-legislative sulla struttura del mercato del lavoro, non da pretese necessità economiche oggettive. Come dicevo, sono i fatti a dimostrarlo: e sono fatti che ci riguardano molto da vicino.
In Italia nella seconda fase dei governi di centrosinistra vi è stata una forte crescita dell’occupazione.
Dopo il picco negativo del 1998 (tasso di disoccupazione del 12,1%), nel 2001 la disoccupazione è scesa al 9,3%, con un miglioramento quindi di quasi 3 punti in 3 anni. Questa crescita è stata anche qualitativamente positiva: sia per il riequilibrio territoriale, sia per la tipologia dei rapporti di lavoro. Quanto al primo aspetto, nel 2001 l’aumento è stato al Sud del 2,7%, contro l’1,8% del Centro Nord. Risultato definito «eccezionale» dal rapporto Svimez (8 febbraio di quest’anno). Quanto alla qualità, i nuovi posti di lavoro - con una clamorosa e inconfutabile inversione di tendenza rispetto agli anni precedenti - sono in grandissima maggioranza «buona occupazione»: contratti a tempo pieno e indeterminato (+ 335mila nel 2001), e in misura molto minore a termine o a tempo parziale (+ 55mila unità). Si veda il rapporto Istat del 27 dicembre 2001.
Questo straordinario risultato dei governi di centro sinistra è stato a mio avviso non sufficientemente apprezzato e divulgato nella campagna elettorale dello scorso anno, e anche successivamente. Come è stato conseguito? Prendendo sul serio l’obiettivo della piena e buona occupazione indicato dal vertice di Lisbona (le cui conclusioni non hanno niente a che vedere con il recente documento Berlusconi - Blair, come ha potuto invece sostenere solo chi non conosce la materia). Nella seconda parte della passata legislatura, infatti, superata la fase difficile del risanamento (che inevitabilmente aveva portato con sé elementi di stagnazione economica e l’accettazione anche di forme di lavoro precario) e nel contesto della ripresa economica, resa possibile dal raggiungimento dell’obiettivo dell’Unione monetaria europea, scegliemmo la strada della buona occupazione. Rifiutammo di introdurre ulteriori elementi di flessibilità (già allora si parlava di mettere mano all’art. 18); adottammo misure di incentivazione del rapporto a tempo pieno e indeterminato (ad esempio, riservando a questo tipo di contratto il credito di imposta).
Era ciò che chiedevano e continuavano a chiedere (se non prenderà piede la nuova maggioranza di destra che rischia di formarsi in Europa) le direttive e dell’Unione. I risultati di queste scelte politiche sono nelle cifre che ho ricordato: che sono fatti. Mentre la tesi della flessibilità all’italiana, cioè come sinonimo di licenziabilità e precarietà, che creerebbe nuova occupazione; è ideologia pura, priva di ogni riscontro documentale. Altra cosa è la flessibilità alta: formazione per tutta la durata della vita; riorganizzazione degli orari di lavoro in rapporto ai tempi di vita; un Welfare basato sulla universalità dei diritti sociali. Ma non è di questo che si parla in Italia quando si nomina la flessibilità.
Credo che sia decisivo sottolineare queste cose, nel momento in cui il governo Berlusconi capovolge le scelte del centro-sinistra: con l’attacco all’articolo 18, ma in genere con tutto ciò che prevede il Libro bianco sul mondo del lavoro; nonché abbandonando le politiche di sostegno alla buona occupazione, sostituite da aiuti a pioggia alle imprese.
Leggo che, da qualche parte, nell’Ulivo o nei Ds si starebbe predisponendo un nuovo Statuto del lavoro o dei lavori. Credo, per la verità, che un tema così delicato richiederebbe un ampio confronto democratico. Mi auguro, in ogni caso, che chi ci sta lavorando parta dai fatti (a cominciare dai risultati dei governi di centrosinistra), e non si mostri subalterno all’ideologia neoliberista.
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