TRATTO DA il Manifesto, 24-10-01 back
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Missione "sovversiva" di una multinazionale
LA UNILEVER ACQUISTA LA FAMOSA INDUSTRIA DI GELATI USA "BEN & JERRY'S" E STRIZZA L'OCCHIO AI MOVIMENTI NO-GLOBAL
Intanto, pappiamocela. Poi si vedrà. I top manager della multinazionale anglolandese Unilever - presente in 88 paesi, con 246.000 dipendenti in oltre 300 società del settore alimentare e igiene, con un fatturato di 86.000 miliardi di lire - devono essersi leccati i baffi quando il 12 aprile 2000 hanno messo le mani sulla più dinamica industria di gelati degli Usa. Perché 326 milioni di dollari in fondo sono una cifra ragionevole per acquisire la dolce creatura miliardaria di quei "sovversivi" di Ben & Jerry's, due ex compagni di scuola del Vermont con il pallino delle campagne sociali che dopo 22 anni di affari si sono messi in testa di finanziare anche l'ala disobbediente del popolo no-global.
Deve essere proprio per questo che il più autorevole quotidiano economico finanziario europeo, il Financial Times, ha tirato le orecchie all'Unilever, colpevole di tollerare che una sua società dia soldi - il 7,5% degli introiti - non solo per la conservazione della foresta tropicale (e passi...) ma anche per finanziare una organizzazione come la Ruckus Society, associazione i cui militanti non esitano a scontrarsi con la polizia per manifestare contro il Wto. Insomma, sarebbe come se la Fiat finanziasse il movimento delle tute bianche. Contraddizioni in seno al capitale? Oppure avanzata strategia in-global?
Una cosa è certa. Gli attori di questa bizzarra compravendita si conoscevano bene. Si capisce dalla clausola imposta all'Unilever da Ben Cohen e Jerry Greenfield prima di filarsela con nelle tasche 700 miliardi, clausola che ha vincolato la multinazionale a sostenere le tante "missioni" dell'azienda del Vermont.
"Nessuno di noi 20 anni fa - hanno dichiarato il gatto e la volpe della filantropia al gelato naturale - avrebbe mai potuto immaginare che la più grande multinazionale avrebbe un giorno sottoscritto entusiasticamente l'allargamento della missione sociale che continua ad essere parte essenziale di Ben & Gerry's".
L'annuncio ufficiale della "missione" risale a 13 anni fa e oggi appare come una sorta di manifesto no-global ante litteram: "Sfruttare l'impresa in modo che riconosca attivamente il ruolo centrale del commercio nella struttura della nostra città, scoprendo nuovi mezzi per migliorare la qualità della vita dell'insieme della collettività, a livello locale, nazionale e internazionale". Le missioni si moltiplicano, e gli utili pure. Si battono contro l'ormone della crescita nei bovini, comprano noci ecologiche per sostenere la foresta tropicale, favoriscono il reinserimento dei disoccupati, protestano contro una centrale nucleare, favoriscono gemellaggi con gli studenti russi, aiutano i piccoli contadini, acquistano mirtilli agli indiani Passamaquoddy per sostenere la loro economia, finanziano i pannelli solari, aiutano i senza tetto di Harlem, aprono un bar in Russia e investono gli utili per gli scambi culturali...
La Ben & Jerry's però ha anche nemici importanti: sul sito Officer.Com. (tra i più cliccati dai poliziotti americani) c'è un invito al boicottaggio del gelato di sinistra, colpevole di sostenere quell'"assassino" di Mumia Abu Jamal. Dulcis in fundo, tanto per dare altri dispiaceri ai cops, la B&J sostiene anche la Ruckus Society (società del casino), gruppo noto per i suoi "campi di azione per la giustizia globale".
Il muscoloso John Sellers, direttore esecutivo del gruppo no-global, intervistato dal Financial Times, si è rallegrato per gli "strani" finanziamenti che arrivano alla sua associazione. "E' meraviglioso che si tratti dell'Unilever. Il modo migliore per ripulire l'immensa ricchezza di questa multinazionale è di utilizzarla per un movimento che le si opponga".
Possibile che Unilever non si scomponga? Possibile. E' difficile immaginare che la multinazionale (Algida, Solero, Findus, Bertolli, Calvé, Gerber, Knorr, Maya, Coccolino, Cif, Bio Presto, Mentadent, Dove...sono solo alcuni dei marchi più noti) si sia fatta mettere alle corde dai "fratellini" Ben e Gerry. Più probabile, invece, che Unilever abbia scelto di avere nella propria squadra qualche "testa calda" per dare credito all'immagine di multinazionale sempre più impegnata nel sociale. E' la strategia di tutte le multinazionali europee che stanno cercando di rifarsi il trucco per smarcarsi dall'immagine delle multinazionali americane.
Ecco perché non bisogna andare in confusione se il "progressista" Niall Fitzgerald, numero 1 di Unilever, adesso sogna di cambiare il sistema dall'interno, e lo racconta ai giornalisti dell'Economist.
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