Numero 0 - Aprile 2002 - Anno 1

Uno, nessuno, centomila...


Negli ultimi anni il conflitto sociale, dopo un lungo periodo di relativa stasi, si è andato riaccendendo. In concomitanza con esso, si è andato ricostituendo quello che sembra un appuntamento ricorrente: in prossimità di determinate scadenze di lotta, con precisione da cronometro svizzero, qualcuno opera azioni armate "contro" la controparte statale e padronale, offrendo a quest’ultima l’occasione di mettere in difficoltà il conflitto sociale in corso, sviando l’attenzione dalle motivazioni reali di esso e dalle pratiche di lotta in corso. La discussione che si accende è, spesso, rivolta sulla matrice reale di tali azioni disturbanti; la gran parte dei militanti del movimento d’opposizione, infatti, sostiene a gran voce la convinzione che si tratti di azioni portate avanti da servizi segreti più o meno "deviati", in maniera diretta o tramite l’"utile idiota" di turno. Chi scrive condivide in larga misura questa opinione; ciononostante, in queste brevi righe, proverà a partire dall’ipotesi che tali azioni vengano svolte da "compagni in buona fede", senza nessun intervento, né diretto né indiretto, da parte degli organi repressivi dello Stato, per mostrare come, anche in questo caso, elementari considerazioni di buon senso portino a considerare l’opzione politica della "Lotta Armata" in ogni caso del tutto inutile ed anzi dannosa per lo sviluppo di una prassi rivoluzionaria reale.
Una qualunque prassi politica va, infatti, parametrata sui risultati oggettivi rispetto agli scopi che si propone. Un’azione armata dovrebbe, dunque, nelle intenzioni di esecutori in buona fede, portare a far retrocedere il potere dalle iniziative antipopolari che sta mettendo in atto, disarticolando la struttura concreta in cui tali iniziative prendono forma. Il fatto è che chi ragiona in questi termini non tiene conto di un dato elementare: che, in parole povere, una tale disarticolazione funzionerebbe solo se effettuata sui grandi numeri. In altri termini, morto un Papa se ne fa un altro, che proseguirà la stessa azione di quello che lo ha preceduto. Per impedire davvero la prassi antipopolare dello Stato o, comunque, condizionarne in positivo l’operatività, non ha senso uccidere uno statista più o meno importante ogni tre anni, e nemmeno ogni tre mesi: occorrerebbe ucciderne uno almeno ogni tre giorni! Altrimenti, la macchina statale resterebbe perfettamente funzionante ed anzi, come abbiamo concretamente visto nella storia del movimento operaio e rivoluzionario, saprebbe sfruttare i minimali attacchi che le sono sferrati per ricompattarsi al suo interno, creare gravi contraddizioni nel movimento d’opposizione, giustificare al meglio ed ottimizzare l’attività repressiva nei suoi confronti.
n altri termini: uccidere qualche statista una tantum non solo non ha senso, ma è del tutto controproducente; ma se pure si avesse la capacità di ucciderli con notevole regolarità, ciò significherebbe possedere una forza di radicamento popolare tale che sarebbe ben più utilmente impiegata a sviluppare un’insurrezione popolare volta a mutare radicalmente lo stato di cose presenti! Anche se svolta in maniera autonoma da "compagni in buona fede", la prassi lottarmatistica, insomma, a seconda delle circostanze, si mostra essere o un’azione svolta a favore dello Stato (con l’aggravante di fare gratis un’azione che di solito esso demanda ai suoi servizi segreti e/o agli infiltrati delle forze di polizia) o una pura perdita di tempo nei confronti dello sviluppo di una rivoluzione, con il rischio di perdere il momento favorevole.
Lo stesso discorso finora svolto vale, ovviamente, anche nel caso di attentati distruttivi verso le cose: cercare, per esempio, di impedire una guerra distruggendo le mura di una caserma non ha alcun senso; e se si ha la forza di distruggere davvero l’operatività effettiva di un intero esercito, o magari di due o più alla volta, perché non fare la rivoluzione e limitarsi ad impedire questa specifica guerra?
Un praticante in buona fede della "Lotta Armata", dunque, assomiglierebbe molto ad una persona inesperta che volesse imparare il pugilato dando uno schiaffo a Mike Tyson: l’unico risultato che otterrebbe sarebbe quello di risvegliarsi in ospedale, insieme a tutti quelli che Tyson, in base al suo insindacabile giudizio, riterrebbe suoi "fiancheggiatori" nell’azione. Il tutto, ripeto, anche senza considerare l’ipotesi, per niente peregrina, che lo Stato si schiaffeggi da solo, o provochi lo schiaffeggiamento in questione, proprio allo scopo di giustificare la seria punizione inflitta ai suoi oppositori...
shevek


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