Cambiare idea
La conservazione dell’ordine costituito, ossia del sistema di sfruttamento che garantisce a determinate persone il potere di decidere sulle nostre vite in funzione dei propri interessi, costituisce l’unica ragion d’essere dell’apparato statale. Temo che nessuna persona, anche tra quelle infinitamente superiori a me per cultura, coerenza e rettitudine, potrà mai dissuadermi col ragionamento da ciò che ritengo essere provato dall’evidenza dei fatti.
Le idee nascono dal bisogno di capire la realtà e, quindi, un’idea la si abbandona solo quando non è più in grado di spiegare ciò che era nata per spiegare. Voglio dire che, così come crederò nella legge di gravitazione fin quando non vedrò che i sassi lasciati cadere si dirigono verso l’alto, così crederò nell’anarchia fin quando non avrò davanti agli occhi un esempio di società in cui il monopolio della forza armata non produca sfruttamento e miseria.
So di apparire eccessivamente intransigente a chi non la pensa come me ma ho la presunzione di credere che chi difende le ragioni del potere statale sia "mediamente" altrettanto irremovibile di quanto lo sia io nel difendere le mie. Tuttavia, non credo nell’impossibilità di modificare le opinioni altrui (anche perché ciò comporterebbe l’impossibilità di incidere sulla realtà). Penso, però, che non tutto sia risolvibile sul piano teorico del dialogo e che spesso solo il corso degli eventi è in grado di mostrare i nostri errori di valutazione.
Per fare un esempio d’attualità, è ormai consolidata l’opinione, anche fra chi a suo tempo credette nella storia dell’imprenditore buono che ci avrebbe salvato dai comunisti, che l’attuale governo italiano agisca esclusivamente in funzione degli interessi del suo capo. Ciò non può che farmi piacere nella misura in cui sarà utile al crollo del governo Berlusconi, ma ha poco a che vedere con la diffusione di idee antagoniste. Esporre le proprie idee a chi la pensa diversamente è necessario ( personalmente non potrei farne a meno neppure volendo ), ma, in molti casi, è qualcosa che non costa niente e, come tale, non può dare grossi risultati. Tra l’altro, servire lo stato è, per chi appartiene ad un certo ceto sociale, il mezzo più sicuro e meno dispendioso per ottenere qualche beneficio immediato; quindi, anche se si convincessero della bontà delle nostre idee, certe persone non potranno aiutare nessun tipo di azione volta a destabilizzare il sistema, non avendo interesse a che ciò avvenga.
Lo Stato ha bisogno, per mantenersi, di due elementi : il consenso di una "maggioranza" che lo sostiene (spesso non accorgendosi di andare contro i propri interessi ) e la repressione di chi di questa maggioranza decide di non far parte. La forza del sistema sta nel fatto che le due cose si sostengono a vicenda: da un lato il timore della violenza repressiva spinge i cittadini ad abbandonare ogni idea di dissenso che possa essere pericolosa, dall’altro il consenso diffuso, oltre a fornire la manovalanza di cui ha bisogno l’apparato repressivo, permette allo stato di giustificare ogni infamia commessa da quest’ultimo in nome della difesa della collettività.
È quindi ovvio che chi voglia distruggere lo stato attuale di cose deve agire su due fronti: colpire chi ci reprime opponendo la nostra forza alla sua (quando ciò non significhi suicidio) ed estendere il conflitto anche a chi oggi ancora spera in concessioni dall’alto. Il punto è che, anche nella nostra azione, le due cose non possono essere scisse: l’estensione di un conflitto sociale che possa avere sbocco rivoluzionario passa attraverso la nostra capacità di lottare "da soli" ossia di auto-organizzare forme di azione diretta (diserzione, sciopero, astensionismo, sabotaggio, occupazioni, auto-produzione, boicottaggio) in grado di scuotere l’ordine costituito e, al tempo stesso, di creare "embrioni di anarchia". Tutto ciò è immensamente più difficile che tener testa ad una discussione con qualsiasi riformista, ma, proprio per questo, è qui che dobbiamo investire tutte le nostre energie.
Siffredi
|