Scienza e anarchismo
Il dibattito riguardo ai rapporti tra scienza e anarchismo nell'epoca contemporanea, come ricordava recentemente un compagno sulle pagine di questa rivista, è giustamente articolato e le posizioni oscillano tra il rifiuto totale e la critica agli aspetti deteriori del sistema scientifico attuale. Vorrei sviluppare in merito una riflessione epistemologica, incentrata cioè sulle procedure metodologiche della scienza contemporanea, in riferimento alle varie possibili pratiche anarchiche di liberazione dell'uomo, inteso come individuo concreto, dalle catene dello sfruttamento e dell'ignoranza. Darò per scontati gli aspetti etici del problema, anche se questi sono inscindibili, a mio avviso, dall'impostazione epistemologica.
Ho la sensazione che la nozione di scienza e di scientificità usata in gran parte del dibattito anarchico contemporaneo sia legata a un paradigma tardo-ottocentesco, di matrice positivistica e riferita prevalentemente alle cosiddette scienze naturali. Secondo questo paradigma, è scienza solo ciò che è riproducibile sperimentalmente e dunque rientra in un sistema di astratta verificabilità empirica. Questa teoria del metodo, nata nel secolo XIX, riflette una pratica di ricerca di più vecchia data, inaugurata da Bacone e Galilei, e affermatasi in corrispondenza dell'affermazione economico-sociale e politica della borghesia (sec. XVI-XIX). Non è difficile immaginare come tale pratica e la corrispondente teorizzazione esprimano una visione fortemente accentratrice e totalizzante del processo conoscitivo, che segue di pari passo la nascita dello Stato moderno con la sua tendenza a irreggimentare e organizzare in maniera gerarchica la vita degli individui. Tutto ciò che non rientra in tale schema razionalistico astratto è pseudo-scienza e, in quanto tale, superstizione e passatismo, allo stesso modo che gli individui o i gruppi sociali refrattari all'organizzazione statale (anarchici e rivoluzionari, artisti, minoranze etniche, etc.) vengono visti come anti-sociali. L'ovvio corollario di questo modo di intendere la scienza è che la tecnologia, risvolto operativo della scienza, è pienamente legittimata a manipolare il vivente nella direzione indicata dagli scienziati in nome dei presunti interessi della collettività, vale a dire dello Stato. Alla fine del XIX secolo e all'inizio del XX, questa teoria del metodo è stata messa in crisi da diverse altre teorie, che rivendicavano un paradigma più allargato della scientificità. Innanzitutto, la distinzione operata dallo storicismo tedesco tra Naturwissenschaften e Geisteswissenschaften (scienze naturali e scienze umane), in un secondo momento le conquiste della psicoanalisi e della psicologia del profondo; infine, i nuovi paradigmi proposti dalla fisica quantistica (Heisenberg), dalla teoria delle relatività (Einstein) e dalle nuove frontiere della biologia organicistica (Whitehead). Se da un lato, storicismo e psicologia del profondo rivendicano la specificità delle cosiddette scienze umane, che hanno per oggetto l'evento unico e irripetibile, arrivando alle leggi generali attraverso passaggi assolutamente non-lineari e non-deterministici, dall'altro, W. K. Heisenberg con il suo principio di indeterminazione dimostra: 1) che in ambito subatomico non è possibile prevedere l'esatta posizione di una particella in un dato momento; 2) che ogni casualità in senso classico (consequenzialità di uno stato futuro a partire da quello presente) è pertanto infondata se riferita a tale ambito; 3) che esiste "oggettivamente" solo ciò che è osservabile: l'osservazione modifica necessariamente l'evento, il quale non è dunque "astraibile" dal contesto in cui è operata la rilevazione. Un'ulteriore problematizzazione critica del verificazionismo classico proviene dalla "teoria della falsificazione" di K. Popper, che vede nella scienza un sistema procedente deduttivamente sulla base di controlli progressivi che smentiscono le ipotesi precedenti.
In generale, oggi giorno, il panorama di riflessione e dibattito sullo statuto e sui fondamenti della conoscenza scientifica è molto più vasto e articolato di quanto la vulgata scientifica faccia supporre. Si tende sempre più a considerare come impossibile una netta demarcazione tra enunciati scientifici e pseudo-scientifici e la proliferazione delle teorie e dei metodi ha fatto parlare P. K. Feyerabend di "anarchismo metodologico". Secondo questo autore, bisogna riconoscere che "la scienza ha bisogno e fa uso di una pluralità di standards, e che gli scienziati lavorano meglio se sono al di fuori di ogni autorità, compresa l'autorità della 'ragione'." Con questo, Feyerabend non intende chiaramente ripudiare in blocco le nozioni di razionalità o scientificità, bensì problematizzarle in riferimento alla pluralità e diversità degli ambiti applicativi, nonché delle convenzioni procedurali richieste.
In una società che si voglia spontaneamente organizzata sulla federazione di piccole comunità di liberi produttori, l'assolutismo del metodo scientifico non avrebbe probabilmente alcuna ragione di esistere. L'intervento (non manipolativo) sulla natura da parte dell'uomo avverrebbe nel pieno rispetto delle leggi e dei ritmi naturali, con enormi benefici per l'ecosistema. L'establishment scientifico, così com'è configurato oggi nella società capitalistica, con le sue caratteristiche di assolutismo metodologico, di concorrenzialità e mercificazione dei prodotti della tecnologia, serve a difendere il monopolio di potere della borghesia e delle multinazionali. Se è innegabile che tale sistema abbia prodotto e produca dei benefici per le masse in ogni campo, bisogna però anche riconoscere che tali ricadute positive rimangono ben al di sotto del potenziale effettivo della scienza e della tecnologia contemporanee. Bisogna inoltre considerare che solo un decimo della popolazione mondiale (quella dei paesi occidentali) ha pieno accesso a tali benefici, mentre la maggioranza della popolazione non sa neanche cosa sia il telefono, l'aspirina o il computer, per non parlare di Internet o dei farmaci anti-AIDS.
La risposta a questa problematica non può essere però soltanto etico-politica, dando per scontata la neutralità del metodo scientifico, (come mi sembra facciano diversi compagni), ma deve necessariamente prendere in considerazione anche gli aspetti epistemologici. Non esiste un solo metodo, né procedure uniche per "verificare" una determinata ipotesi scientifica e tutti i tentativi di riduzionismo certamente non favoriscono ma danneggiano la causa anarchica. Farò alcuni esempi concreti per illustrare il mio pensiero a questo proposito.
L'esempio più immediato in questo senso è offerto dalla questione delle fonti energetiche. La ricerca scientifica e tecnologica in questo campo offre potenzialità enormi, ma non si investe abbastanza in questo settore d'avanguardia perché non conviene. Se le tecnologie che fanno ricorso a fonti energetiche rinnovabili ed ecocompatibili (sole, vento, fusione nucleare, locomozione elettrica, etc.) dovessero prendere piede su scala di massa, verrebbero meno gli enormi profitti delle multinazionali del petrolio, le quali hanno tutto l'interesse a far credere che questo è l'unica fonte energetica possibile almeno sul breve termine. Le conseguenze sul piano ambientale di tale assunto sono sotto gli occhi di tutti.
In campo medico, esiste ormai da anni una vastissima evidenza clinica dell'efficacia delle cosiddette medicine non-convenzionali, non supportata da un adeguato riscontro in termini di verificabilità scientifica secondo gli standards della medicina ufficiale. Ciò nonostante, in Italia circa 8 milioni di pazienti dichiarano di trarre beneficio da queste pratiche e di credere nella loro efficacia. A parte il fatto che le ricerche in questo campo sono poche e pilotate, vi sono legittimi elementi per sostenere che le procedure della ricerca ufficiale non siano adattabili a discipline come l'omeopatia, l'iridologia e la nutrizione ortomolecolare. Mentre la medicina convenzionale considera infatti tutti gli individui identici e ricerca dunque l'incidenza statistica in termini di efficacia di un certo rimedio, queste discipline lavorano sull'ipotesi del biotipo definito su di una base di integrità psico-fisica. L'esempio della Germania ci mostra come l'adozione di massa delle MNC in un'ottica preventiva contribuisca sensibilmente ad abbassare il livello della spesa sanitaria, ma tale evidenza viene occultata in nome dei profitti delle case farmaceutiche, che hanno interesse a presentare come unico intervento terapeutico efficace quello puramente sintomatico, allopatico e non-naturale dei prodotti di sintesi.
Fermo restando il principio della sacrosanta libertà di cura e la validità dell'antibiotico in caso di urgenza, si potrebbe incominciare a prendere in considerazione anche da parte dei compagni l'idea che gestire la propria salute preventivamente attraverso un'alimentazione sana, il ricorso alla fitoterapia, uno stile di vita più sano, etc. può essere il primo passo verso una riappropriazione della propria corporeità da parte di individui liberi e autodeterminati? Possibile che siamo tanti fieri della libertà del nostro pensiero, ma continuiamo a lasciarci condizionare nelle scelte più banali e immediate della nostra vita quotidiana, come l'alimentazione e le terapie mediche? Terzo e ultimo esempio, gli OGM e l'alimentazione. Concordo con l'idea che la ricerca sulle cellule staminali per i trapianti sia ai limiti accettabile, ma ho molte perplessità riguardo all'applicazione delle tecniche di manipolazione genetica nel campo dell'alimentazione. Per parecchi compagni ciò suona quasi come un'eresia, perché significa mettere in discussione i progressi della scienza e della tecnologia e dunque ritornare al passato e a una idea di società pre-scientifica. Finora, però (è facile dimostrarlo), la ricerca delle multinazionali è stata orientata esclusivamente nella direzione degli OGM per motivi di profitto e non certo, come si continua a sostenere, per rispondere al fabbisogno di una popolazione mondiale sempre più numerosa. Se le multinazionali possiedono in esclusiva il know-how tecnologico e i brevetti intellettuali di un determinato prodotto modificato geneticamente, ovviamente faranno in modo da far credere che l'unica maniera realmente scientifica di risolvere il problema della fame nel mondo sono le biotecnologie alimentari. E' questa del resto la linea ufficiale della FAO che è diventata nel corso degli ultimi anni sempre più una vetrina degli OGM. Manipolazione genetica, brevetti intellettuali di alimenti e fitoterapici conosciuti da secoli dalle popolazioni locali, semi programmati per l'auto-distruzione (Terminator) sono tutti aspetti deteriori di una tecnologia che minaccia la biodiversità senza arrecare un giovamento effettivo alla gran parte dell'umanità. Partendo da presupposti scientifici radicalmente differenti, la ricerca alternativa di parecchie comunità locali e di ricercatori slegati dalle multinazionali ha dimostrato come si possa egualmente intensificare la produttività, abbattendo i costi, rispettando i ritmi naturali e insieme evitando gli enormi rischi alla salute derivanti dalla soia o dal mais transgenico. Mi riferisco soprattutto alle sperimentazioni condotte in varie parti del mondo con anticrittogamici naturali, al settore biologico, ai sistemi tradizionali delle comunità ripresi in chiave moderna. Il tutto con enormi ricadute benefiche sulla salute e il benessere delle comunità locali e nel rispetto della biodiversità. Vogliamo continuare a credere che scienza e tecnologia siano solo ciò che ci propinano gli esperti del settore del tutto interessatamente? In una società di libere comunità produttrici, pienamente integrate nei rispettivi ecosistemi di riferimento, l'assolutismo metodologico della scienza contemporanea non avrebbe ragione di esistere. Una volta liberata la ricerca dai vincoli del profitto e dell'organizzazione statuale, gli scienziati sarebbero mossi soltanto dall'obiettivo di favorire il progresso delle loro comunità e ciascuno opererebbe secondo criteri emersi dalla specificità dei problemi concreti emersi di volta in volta. La presunta universalità del metodo scientifico inaugurato da Bacone e Galilei non è nient'altro che l'ultima frontiera dell'ideologia borghese, fondata sulla trascendenza del sapere e la sovradeterminazione dello Stato all'individuo.
Le dicotomie scienza-creatività, materialismo-psichismo, natura-cultura non avrebbero diritto di cittadinanza in una società libera e in questo senso la società degli eguali potrebbe davvero liberare l'uomo in tutta la sua integrità psico-fisica. Come ci ricorda l'anarchico americano Bookchin, "l'anarchia non è solo una società senza stato, ma anche una società armonizzata che espone l'uomo agli stimoli provenienti dalla vita urbana come da quella rurale, dall'attività fisica e mentale, dalla sessualità liberata come dalla spiritualità autodiretta, dalla solidarietà comunitaria come dallo sviluppo individuale, dall'unicità locale come dalla fratellanza mondiale, dalla spontaneità e dalla disciplina, dall'abolizione della fatica come dalla promozione della manualità".
Per una tale società liberata, solo una scienza liberata potrà fornire le risposte più adeguate.
MORK
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