Numero 9 - Febbraio 2003 - Anno 1

Il rogo arde ancora


Il 17 febbraio 1600, Giordano Bruno con stretta alla lingua la mordacchia, nudo e legato al palo sul rogo, eretto in Campo dei Fiori, viene arso vivo.
In tal modo termina la vita di colui che piombò come un fulmine a ciel sereno nel sedicesimo secolo, nel ciel di quella scienza fossilizzata nelle teorie aristoteliche del "motore immobile che tutto move". Di colui che predicò l'infinità dell'universo e dei mondi che lo abitano: idee che lo portarono alla morte.
Giordano Bruno: bandiera dell'antioscurantismo e del libero pensiero, ma soprattutto filosofo, ed è questo tratto che desidererei porre in luce, naturalmente nei limiti delle mie conoscenze.
Nel 1600 siamo in pieno oscurantismo: la teoria aristotelica non viene intaccata neanche dalla teoria di Copernico, prima, e Galilei, dopo.
Infatti se è vero che sia Copernico (con la sua concezione eliocentrica dell'universo), sia Galilei (con il suo modello matematico della misurabilità di ogni cosa), riescono a mettere in agitazione i sacerdoti depositari della pietra filosofale; ma nessuno dei due riesce a scalzare la figura antropocentrica dell'universo, dell'uomo. Anzi proprio Galilei investe l'uomo di maggiore centralità, assegnandoli il ruolo del misuratore del tutto. Giordano Bruno? 
Bruno l'eretico, non rinnegherà mai il suo dio, per egli il mondo è infinito in quanto effetto dell'infinità di dio; negare l'infinità del mondo significherebbe, quindi, negare l'infinità di dio.
Il mondo infinito è, invece, costituito da parti finite: ombra e vestigio di dio. Su questa strada la distinzione tra mondo e dio sembra estinguersi e l'infinito di dio sembra coincidere con l'infinito dell'universo. L'uomo, in tal maniera, dal centro dell'universo viene esiliato nell'infinito. Non avete idea dello smarrimento nella mente dei teologi inquisitori dinanzi a questo non ruolo dell'uomo e a questo universo infinito. Del resto, non credo, che sia stato minore lo sconcerto di fronte alle altre tesi di Bruno, che andavano a investire direttamente il più tradizionale patrimonio dogmatico della chiesa cristiana: non v'era posto nel suo universo infinito per la trinità e l'incarnazione, l'eucaristia e tutto il complesso della vita sacramentale.
Altra era la prospettiva religiosa di Bruno, legata a quella sensazione dell'universale presenza di dio che ravviva e unifica la natura, e in quest'ultima si esprime. Ecco perché Giordano Bruno non è paragonabile a nessuno dei suoi colleghi dell'epoca. Ecco perché Bruno nel suo tempo è un uomo solo.
Di tutto ciò, durante gli otto anni di processo che precedono il rogo inquisitore, Giordano Bruno si interroga arrivando alla conclusione che chi vuole riformare il mondo non può essere che solo, visto che il passaggio dalle tenebre alla luce, dall'ignoranza cristiana alla libertà, non è un percorso lineare. 
Lo accusano di essere folle e lui risponde: "per toccare la verità bisogna correre il rischio della perdita di sé, il rischio della follia, in quanto non si cerca la verità stando sul limite dell'intelletto".
È importante che nella sua analisi, Bruno, non si restringe mai alla sua vicenda personale, alla sconfitta subita, alle sue ambizioni deluse, ma riesce ad andare oltre cercando di fare un'analisi complessiva del proprio tempo, facendo leva sull'asinità e la pedanteria del "secolo felice".
Ascoltata la sentenza Bruno si era limitato a dire: "Forse voi giudici pronunciate la sentenza contro di me, con più paura di quanta io ne abbia nell'ascoltarla".
Non si sbagliava. Giordano Bruno fa ancora paura, fa paura a chi ancora vuol tenere gli occhi chiusi di fronte a chi mostra la necessità d'espressione del proprio essere.

Un bimbo dell'Ateneo Libertario "Maya" 


 

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