Tra sedazione e ribellione
L’abbattimento delle due torri, a New York, è stato un evento drammatico per la spettacolarizzazione della morte e per la conferma di quanta distruttività è artificiosamente ottenibile, una capacità inaugurata a Nagasaki e Hiroshima, dove la violenza guerresca moderna ha disintegrato migliaia di corpi in un colpo solo. Sulla scena di New York i corpi delle sfortunate vittime sono stati i veri ed unici protagonisti delle vicenda terroristica: i corpi che precipitavano lungo le vetrate dei grattacieli, i corpi che si polverizzavano ed erano annientati in pochi istanti.
Traiamo, dall’impressione di quelle scene, alcune riflessioni intorno all’elemento corpo, semi-sconosciuto nel panorama della cultura occidentale, condizionata dalla secolare separazione platonica corpo-anima, un dualismo sul quale i poteri politici, religiosi ed economici hanno legittimato e strutturato la propria essenza prevaricatrice ed oppressiva.
L’espressività corporea è il fenomeno che ci pone in relazione agli altri e al mondo esterno e non a caso la liturgia del potere stigmatizza le gestualità per meglio polarizzare ed influenzare l’attenzione dei sudditi: sorriso ad intera dentatura o l’espressione truce da duro o il gesto perentorio di comando, da uomo risoluto.
Il corpo come accessorio della mente è il paradigma delle ideologie autoritarie e gerarchiche; ora è oggetto di mortificazione e di disprezzo, ora è strumento servile e di consumo, un mezzo puramente esecutivo, giustificato solo dalla resa produttiva. In queste caratterizzazioni è facile ritrovarvi i fondamenti pregiudiziali delle idee religiose e dell’ideologie sia capitalistica, liberale che marxista-leninista.
Il corpo, al di fuori dei compiti prestabiliti, diventa una minaccia e come tale và sedato, punito, incarcerato, umiliato. Il corpo deve filare nei binari precostituiti come è d’uopo nelle parate militari: il corpo come marionetta che marcia, lignea e rigida, ubbidiente ai comandi dei superiori. Il corpo che si inchina, si genuflette o si prostra davanti all’autorità di altri corpi, l’atteggiamento gestuale dell’orante ovvero della supplica al potente, sono le scene che più commuovono i cultori della ineluttabilità dell’autorità e del potere. E’ il trionfo della passività del corpo, espropriato, sacrificato, delimitato. Così concepito il corpo perde la potenzialità operativa nel mondo, perde la capacità della espressione e della comunicazione interpersonale; è solo un mezzo.
Lo scatenarsi di epidemie come l’AIDS è l’emblema della perdita di capacità di comunicazione dei corpi: il corpo è umiliato e mortificato dalla necessità di misure protettive e dall’astensione all’incontro con altri corpi. E’ un modo di concepire il corpo come elemento statico, irreversibilmente compiuto, “già fatto”, in attesa del consumo a cui è destinato, come un utensile da lavoro. A concezione simile opponiamo una visione del corpo dinamica, espansiva, protesa nel mondo a trasformare la realtà e la società, il corpo, quale figura eretta di fronte alla vita, elemento sempre in crescita e modificabile, in luogo del ripiegamento contrito e genuflesso del corpo utensile o supplicante. Il superamento del dualismo corpo-mente è un passaggio essenziale di questo percorso evolutivo, la cui referenza è la valorizzazione e l’emancipazione sia dell’individuo che delle moltitudini. Storicamente l’agire anarchico rispecchia questa volontà di superare gli antichi paradigmi: l’indissolubilità tra teoria e prassi, la volontà rivoluzionaria di cambiare il mondo, l’insofferenza, espressa con pienezza dalla corporeità, verso ogni oppressione e sfruttamento, l’esaltazione del gesto ribelle, la volontà di emancipazione sociale, il rifiuto della ineluttabilità del lavoro coatto, quindi il corpo dell’uomo quale principio attivo del mondo, al di fuori di ogni astrazione o mistificazione.
Ritornando ai giorni nostri, riflettiamo su un altro episodio che i media hanno riproposto con insistenza: gli ultimi istanti delle vita di Carlo Giuliani. Il corpo del giovane è proteso in avanti con la testa alta e con le braccia, simmetricamente semiflesse, con tra le mani un estintore posto a modo di scudo, in atteggiamento difensivo ed insofferente, verso quella canna di pistola, piroettata ad altezza d’uomo, già preparata e predisposta all’atto di uccidere, fatto che avviene. Il gesto di Giuliani è stato un gesto di ribellione, virile e sacrosanto, istintivo, di giustizia spontanea contro l’apparato armato predisposto dal sistema istituzionale, che ha vergognosamente legittimato l’omicidio come legittima difesa, ma il lancio offensivo dell’estintore avrebbe richiesto un equilibrio diverso del corpo, asimmetrico, bilanciato su un solo lato.
Il gesto corporeo di Giuliani è stato ribelle, non violento, non predeterminato, di difesa e il suo corpo è stato mortificato dalla balordaggine e violenza poliziesca.
Il corpo è la realtà che ci appartiene e solo mediante esso esprimiamo la nostra volontà nel mondo, ed, in quanto anarchici, dobbiamo riappropriarci della nostra corporeità di individui liberi e determinati ad affermare la volontà rivoluzionaria di cambiare la società in senso egualitario e libertario. Agli inizi del secolo scorso i compagni spagnoli sentivano l’esigenza di non indugiare in pratiche nocive per il corpo nell’azione rivoluzionaria ed invitavano all’astensione dall’alcoolismo e dal tabagismo per meglio esprimersi nella lotta allo sfruttamento capitalistico e al potere statale. Non è il caso di esaltare simili posizioni radicali, ma una maggiore consapevolezza della nostra integrità corporea è coerente ad una visione attiva dell’agire anarchico, espressa dalla volontà di emancipazione sociale degli individui e delle moltitudini, e non impantanarsi in stati di estasi, in cui stare fuori dal corpo, sedati, diventa la regola, saremmo mistici, non anarchici .
ARo
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