Solo un'opinione...
I discorsi affrontati di recente all’interno del Centro Studi Anarchici dell’Istituto Universitario Orientale di Napoli, in occasione della presentazione del libro “O.G.M.- Organismi Genovamente Modificati”, mi hanno spinto, dopo una lunga riflessione, a prendere una posizione ben precisa riguardo ad uno degli argomenti che, visto lo spirito con cui se ne discute negli ambienti anarchici, mi è sembrato essere di particolare rilevanza: l’uso della violenza nelle metodologie di lotta contro il potere.
La mia riflessione è nata soprattutto dal constatare il fatto che durante una delle tante discussioni tenute nella sopraccitata occasione, alcuni compagni appartenenti a diverse aree del movimento anarchico espressero opinioni differenti e contrastanti riguardo tale argomento. Da una parte si giustificava l’uso di metodologie di lotta violenta (dallo scontro con le forze armate alla distruzione dei simboli del potere) in ogni caso, considerando tali metodi sempre e comunque utili ad una destabilizzazione dell’attuale stato delle cose; al contrario alcuni compagni prendevano nettamente le distanze da certe posizioni, giudicando alcune azioni alla stregua di “cose fini a sé stesse”.
Personalmente trovo altamente controproducente il fatto che all’interno degli ambienti libertari siano utilizzate formule molto simili al classico “aut-aut” senza comprendere che spesso, e di sicuro riguardo il tema “insurrezionalismo – gradualismo”, si tenda a dividere due cose che, a mio avviso, separate non hanno ragion d’essere. Spesso sembra che alcuni compagni abbiano perso la coscienza del fatto che l’anarchia ha un fine ben preciso, la rivoluzione, obiettivo che va perseguito con ogni mezzo, senza precludersi delle strade in base a delle prese di posizione fuorvianti.
È un grossolano errore credere che un fine clamoroso come quello rivoluzionario vada ottenuto o soltanto distruggendo in maniera nichilista ogni ostacolo si ponga dinanzi al nostro cammino o soltanto teorizzando su ciò che sarebbe giusto, ciò che potrebbe essere, ecc…
L’azione diretta, a mio avviso, non può prescindere da un programma che si basi sul gradualismo, che a sua volta non può prescindere dall’uso della violenza, là dove ce ne sia il bisogno, ovvero dove esistano delle condizioni ed un contesto tali da richiederlo.
Specialmente oggi, in una società resa ancor più gabbia di ciò che è da un completo controllo sociale che passa attraverso i media, occorre attuare una “politica” che si basi in un primo momento su una fase di “educazionismo”, laddove con “educazione” non intendo alcuna imposizione, ma voglio invece indicare, magari usando un termine un po’ brutto e forse inappropriato, il semplice “far sapere” i motivi che spingono noi anarchici ad attuare certe forme di lotta.
Occorre ricordare che la rivoluzione va fatta con la gente…
Non si può pretendere di rendere partecipi persone che, a causa di un informazione completamente manipolata dal potere, hanno un’opinione errata del movimento anarchico. Le rivoluzioni, si sa, nascono da esigenze precise che si manifestano nel momento giusto, nel modo giusto e soprattutto in contesti adatti.
Occorre, in un certo senso, risvegliare le esigenze dell’uomo, assopite da troppi anni di palliativi, non cercando però di convincere (attenzione!), bensì semplicemente facendo presente che la libertà non è quella che ci hanno insegnato e non è quella sbandierata durante campagne elettorali da fantocci e millantatori…
I contesti sociali che favoriscono certi processi non nascono dal nulla e, tranne rare eccezioni, vanno edificati man mano, con gran pazienza, senza compromettere con azioni avventate ciò che sta nascendo.
La violenza, e qui attingo a piene mani da ciò che fu detto nel Centro Studi Anarchici, è utile in quanto acceleratore di trasformazioni sociali e, in quanto tale, risulta a mio avviso essere una sorta di colpo di grazia da infliggere per ottenere lo scopo.
In occasione della presentazione del libro fu portato l’esempio di Seattle in cui il movimento gridò al mondo e ai potenti la sua esistenza.
Chissà se un giorno riusciremo a decapitare la Gorgone che con il suo sguardo ammaliante pietrifica le nostre coscienze…
Michele
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