La guerra e la pace
Contro la guerra e la pace sociale
Questo slogan, sintesi della posizione anarchica sul tema della guerra da ormai quasi un secolo, è necessario riproporlo ancora oggi a tutti gli sfruttati sottoposti al permanente dominio militare e religioso dei governi. Dare all'interno di ogni situazione di conflitto sociale la spinta propulsiva che esso porta con sé, non è nostalgia, purismo o accettazione acritica del pensiero di alcuni grandi del passato (Galleani, Malatesta, ecc.). È coscienza del fatto che ogni progetto di costruzione di una società che non sia divisa in oppressori ed oppressi, deve necessariamente fondarsi sulla ribellione di questi ultimi verso i primi e, quindi, sull'individuazione degli elementi causa di tale gerarchia a cui è impossibile delegare la propria auto distruzione.
L'aggressione militare di uno stato verso un altro non è che un momento in cui si palesa a tutti (o quasi) la falsità di ciò che sostiene il potere quando afferma di rappresentare un'organizzazione della società fondata sul rispetto di tutti (mediante la sovranità della maggioranza o di qualche altra strana divinità), nata dalla volontà di preservarci dai naturali istinti antisociali degli uomini che, se lasciati liberi, si scannerebbero a vicenda estinguendosi rapidamente (essi chiamano tale condizione "anarchia"). La guerra dimostra, invece, anche ai meno abituati a pensare autonomamente, come l'ordine statuale sia basato sulla coercizione e la violenza della forza militare e come esso sia quanto meno assai prossimo a quella condizione prima paventata in cui ogni uomo è tutto intento nel passatempo di sterminare i suoi simili. È quindi ovvio che chiunque cerchi di rilevare le contraddizioni insite in un ragionamento volto a legittimare lo stato e l'autorità, in una situazione di guerra, abbia gioco facile.
Tuttavia, a mio avviso, non bisogna cadere nell'errore di considerare la guerra un acceleratore di trasformazioni sociali, che non siano l'inferocirsi dell'aggressione statale: se così fosse dovremmo gioire di quest'evento e non tentare di ostacolarlo. Non è possibile leggere, ad esempio, le prese di posizione contro la guerra di partiti guerrafondai, chiesa e relativi seguaci, come un ravvedimento in senso egualitario determinato dall'orrore che suscita nell'uomo il massacro di inermi. L'idea che non sia una bella cosa sterminare una popolazione accomuna quasi tutti gli uomini (non c'è bisogno dello scoppio della guerra per convincerne nessuno): il problema è che tale idea influenza la condotta degli uomini quanto la fiducia nell'aldilà influenza quella dei fedeli. Né si può pensare che i tagli alla spesa pubblica, ovvio corollario dell’enorme quantità di risorse bruciate in spese militari, siano da soli sufficienti a scatenare una mobilitazione generale volta ad ostacolare la politica bellica del governo. Per scoraggiare simili ipotesi è già pronta un’ulteriore spesa in propaganda dei sublimi ideali di Patria, Nazione, Religione, Civiltà e Democrazia, a cui sappiamo bene quanto poco i vari compagni pacifisti siano disposti a rinunciare. Con questo non voglio apparire pessimista (gli anarchici non si sono mai consentiti il lusso di esserlo) ma soltanto osservare che essere quasi all’unanimità nel sostenere l’assurdità di uno sterminio di massa è consolante, poiché significa che gli uomini non hanno ancora completamente perso il lume della ragione, ma potrebbe non servire a nulla se al grido di “l’unione fa la forza” dimenticassimo di individuare i nostri nemici in mezzo alla folla o peggio pensassimo che essi hanno smesso di essere tali per cause di forza maggiore. In guerra i rapporti di potere si complicano, il che comporta maggiori difficoltà sia di analisi che di azione ed è quindi, a mio avviso, errato pensare che un più alto livello di conflittualità sociale possa essere determinato dal semplice rifiuto etico dei bombardamenti da parte dell’opinione pubblica. Ancora una volta ciò che la nostra lotta sarà capace di ottenere dipenderà soltanto da quanto sapremo esprimere in termini di auto-organizzazione, di azione diretta e di comunicazione delle nostre idee. Pertanto meglio rendere manifeste immediatamente le nostre idee e pratiche di sovversione, anche a costo di fare la parte dei cattivi, che inseguire unità fittizie con i nemici di ieri.
Smascherare di fronte a tutti l'imbroglio di chi ci governa è un’azione necessaria, che dobbiamo intensificare adesso perché è più urgente (e lo sarà sempre di più) una rivolta collettiva verso un progetto di distruzione di massa, e non perché l'avanzare di questo progetto contribuisca, di per sé, a rendere maggiormente sensibili le persone alla causa anarchica.
È quindi fondamentale mostrare che la pace armata e lo sterminio bellico si implicano a vicenda e che i sostenitori di questo o quel progetto di dominio militare non sono che degli approfittatori che perseguono i propri interessi a scapito delle nostre vite.
È fondamentale, ma non basta: è altrettanto necessario opporre alle contraddizioni di un sistema privo di sbocchi che non siano la distruzione nucleare del pianeta, la possibilità quotidiana di un agire diverso ed antitetico a quello del potere. Possibilità che deve manifestarsi attraverso l’azione diretta contro ogni forma di imposizione gerarchica, la solidarietà attiva a ribelli, rivoluzionari, sfruttati e prigionieri, la pratica in ogni struttura organizzativa e in ogni contesto sociale di relazioni orizzontali ed antiautoritarie. Dunque fuori e contro lo spettacolo mass-mediatico, le istituzioni, i partiti, le chiese. Sulle forme e i mezzi da adottare per far si che la lotta possa diffondersi fino ad ostacolare le decisioni del potere, avremo probabilmente ancora molto da discutere, ma ciò non può impedirci di agire immediatamente individuando obiettivi concreti: caserme e basi militari, finanziatori diretti e indiretti della guerra, centri di propaganda militarista, ogni mezzo ed ogni uomo che contribuisca in qualche modo alla realizzazione dell’ennesima aggressione del “nostro” Stato e del “nostro” Esercito.
Ruok
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