Numero 10 - Marzo 2003 - Anno 1

Guerra alla guerra


La società capitalista esige, al fine di migliorare la propria situazione economica, lo sfruttamento di altre realtà.
Tale tipo di società è basata economicamente su una costante e incessante produzione di merce da smaltire: a tale legge non sono assolutamente sottratte le grandi industrie belliche che occupano, tra l’altro, un posto predominante nella fitta ragnatela dell’economia mondiale.
Se le crisi economiche possono essere facilmente risolte con un forte incremento delle vendite e della produzione, sembra quasi scontato che una delle cose migliori da fare in tempi “bui” non sia altro che la guerra. A rigor di logica: se non esistessero fabbriche di morte, non esisterebbero guerre… Il circolo vizioso in cui si è autoinvischiata (cosa inevitabile) l’economia capitalista rende, a mio avviso, alquanto impossibile pensare ad un futuro senza guerre.
Un sistema economico che ha continuo bisogno di rinnovarsi non può prescindere da quella che è senz’altro la sua esigenza primaria: l’ampliamento dei propri confini economico-politici a discapito di altri. Questo è il punto:
Economia capitalista ► Sfruttamento di altre realtà ► Guerre di sottomissione ► Fabbriche di morte ► Economia capitalista
La guerra sembra essere entrata ormai nelle strategie di mercato di un’economia malata…
Si pensi all’imminente attacco degli USA ai danni dell’Iraq: quale migliore occasione per controllare le fonti energetiche più importanti del mondo? Quale migliore occasione per ridare linfa vitale ad un’economia che potrebbe collassare sotto il suo stesso peso? Quale migliore occasione per ribadire la propria leadership mondiale attraverso lo sfruttamento delle risorse umane in medio-oriente? Ai miei occhi è questa la causa di tutto… Gli eserciti, sin dai tempi antichi esistono per difendere uno Stato da fattori economicamente deleterei: sono queste le minacce esterne che oggi vengono abilmente camuffate dal potere.
Prendiamo (guarda caso) ad esempio gli Stati Uniti: dopo essersi garantiti la supremazia nel continente americano grazie a governi e dittature portati avanti da loro fantocci in america latina, hanno invaso i territori d’oltreoceano. In parte per sottrarre a proprio favore le terre del vecchio continente dall’impero sovietico e soprattutto per assoggettare le popolazioni “alleate” coinvolgendole inevitabilmente nella loro macchina economico-politica.
Da ciò si evince facilmente come imperialismo e capitalismo vadano di pari passo. L’equazione è la seguente: ESERCITO D’ESPANSIONE = ESERCITO DI DIFESA ECONOMICA laddove con difesa economica intendo la salvaguardia e soprattutto lo sfamare il costante ed inarrestabile appetito del capitalismo. Secondo tale logica gli eserciti non sono altro che milizie costantemente schierate a protezione di un’economia che per difendersi ha un bisogno incessante di attaccare, di sottomettere, di assoggettare smaltendo al contempo ciò che le sue industrie producono e, a seguito di un’eventuale vittoriosa aggressione, le altre componenti della propria economia che possono facilmente prosperare sulle rovine da ricostruire di un popolo che rappresenta soltanto manodopera a costo misero. A questo punto è d’uopo una domanda: che politica attuare dopo aver fatto un’analisi del genere? 
Personalmente non credo nelle proteste futili a sfondo demagogico messe in atto con il pretesto di delegittimare le scelte dello Stato: la guerra va delegittimata con processi differenti e ben più profondi, non con sfilate sotto i riflettori dei mass-media (tra l’altro colonna portante dell’economia capitalista!).
Delegittimare una guerra quando ci si trova quotidianamente coinvolti in processi che ne sono la causa primaria mi sembra stupido e contraddittorio. Ostacolare realmente la guerra significa avviare un processo che risulterebbe essere un forte acceleratore di cambiamento, e tale processo non può prescindere dal rifiuto totale dello Stato, inteso come struttura di tipo gerarchico.
Il militarismo ha bisogno di uomini da sfruttare a favore dello Stato. L’uomo, con il suo muto consenso, è la fonte primaria di forza per chi detiene il potere e, in quanto tale, è sfruttato e sottomesso: lo si include “manu militari” in dinamiche che hanno come parte integrante di se stesse la guerra. Sappiamo tutti cosa lo Stato è capace di fare contro chi si azzarda soltanto a mettere in discussione i suoi principi: repressione, galera, morte…
Se lo Stato non avesse timore di perdere la base su cui si fonda il suo potere non si accanirebbe contro chi da sempre è portatore di idee di vera libertà. Quindi rifiutare il militarismo significa anche rifiutare tutto ciò che il potere schiera contro chi tenta di ostacolare con atti concreti chi ci priva della libertà: lo Stato. Disertare significa non dare mai appoggio a chi continua a trascinarci in guerra.. Disertare non risulta essere dunque soltanto un mero rifiuto della guerra bensì un rifiuto di strutture che per restare dominanti hanno bisogno di creare una società che si regge sulla sottomissione e sul militarismo.
A rigor di logica la diserzione entra a far parte di un processo di liberazione dell’uomo dal suo oppressore più grande: lo Stato.

Michele


 

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