Numero 10 - Marzo 2003 - Anno 1

Inquadrature pacifiche


Me ne stavo tranquillo a girovagare – senza un motivo apparentemente logico – per le stanze della mia umile casa di provincia, quando, improvvisamente, l’occhio cadde sulle immagini spettacolari - trasmesse dalla tv (non pubblica) - di un’immensa scampagnata borghese. Di primo acchito pensai ad una corsa ciclistica, poi ad un ritrovo di vecchie glorie militaresche, poi ad un pic-nic in grande stile, poi ad un rave di piazza per paraplegici (con il dovuto rispetto per quest’ultimi), ma alla fine capii di che cosa si trattava e ne rimasi profondamente scosso.
Rimasi scosso, nel più profondo dell’anima, nel vedere – in tv – tutta quella marea di gente manifestante contro la (probabile) guerra in Iraq.
Rimasi scosso, nel più profondo dell’anima, nell’ascoltare – in tv - le interviste a tutti quei politici incastonati nella marea di gente: «Per dire sì alla pace e no alla guerra!». Sempre la solita solfa del politichese più becero; sempre la solita solfa ripetuta e ritrita di questi ultimi tredici anni (o giù di lì)... per ogni intervento militare (statunitense, Nato o chicchessia) ecco apparire questi impavidi “pagliacci” (con il dovuto rispetto per i professionisti circensi) con le loro solite castronerie.
Sono dell'opinione, anche, che non sia un caso che i politici in questione appartengano ad una specifica e particolare area ideologica... gli stessi che, durante la guerra in Serbia, governavano e allo stesso tempo manifestavano contro le decisioni del Parlamento: nuova forma di Dr.Jekyll e Mr.Hyde... a sostenere il vero, ahimè, bisogna ammettere che il centro-destra è più coerente e, soprattutto, non si fa prendere da colpi di testa dovuti al troppo sole preso nelle piazze.
In un famoso comizio Nanni Moretti sentenziò: «Con questi dirigenti non vinceremo mai!». "Alleluja! Qualcuno con un pizzico di lucidità!" - dissi guardandolo alla tv - peccato che quel "pizzico di lucidità" sia svanito nei girotondi; e a furia di girare in tondo, il bravo cineasta, si è presentato al "popolo" (termine un po' astratto, ma utilizziamolo per rendere l'idea) di sinistra proprio con gli stessi dirigenti da lui criticati.
Gli stessi là in prima fila, il 15 febbraio 2003, a dire “sì alla pace e no alla guerra”: Cofferati, Bertinotti, Pecoraro Scanio, Rizzo, Rutelli e pappardelle varie. Non vorrei dilungarmi troppo sui cosiddetti “Disobbedienti No Global” di Casarini & Compagnia, mai visto al mondo disobbedienti più obbedienti di loro, ma vorrei subito confessarvi che durante la rappresentazione spettacolare dell’evento alcune domande gironzolavano – affette da un forte attacco di delirio – nella mia mente.
“A cosa servono queste manifestazioni pro-pace se non a legittimare un atto di guerra?”
“Se fossi un iracheno, che muore sotto la dittatura sanguinaria (perché questo è) di Saddam Hussein, sarei felice se Nazioni straniere bombardassero il mio paese con l’intento di eliminare il dittatore?”
Per trovare una risposta ai dilemmi sovra esposti, ho riesumato dai cassetti della memoria un film del grande cineasta francese Jean Renoir (figlio del famoso pittore impressionista) – da poco trasmesso in tv – “This Land Is Mine!” (Questa terra è mia! – 1943). Il film, si sviluppa in una cittadina francese occupata dai nazisti e racconta la storia d’amore tra un insegnante (Albert Lory) e la sua collega (Louise Martin). Lory è un personaggio codardo, timido, impacciato con una madre protettiva che maledice i bombardamenti degli alleati, mentre, la ragazza è il suo esatto contrario (definisce i bombardamenti: “Gli amici del cielo”) con un fratello (Paul) che compie atti di sabotaggio contro i nazisti, i quali, per scoprire il colpevole arrestano Lory, il preside della scuola (Sorel) e altri cittadini. La madre dell’insegnante, si reca dal fidanzato di Louise (George Lambert) e gli svela il nome del colpevole (in cambio della scarcerazione del figlio) e quest’ultimo lo riferisce al Maggiore Von Keller. Lambert si uccide e Lory - appena scarcerato – è accusato d’omicidio.
L’insegnante scopre che il tribunale è l’ultimo posto rimasto nel suo paese dove un uomo può ancora dire ciò che pensa (e dove dichiara per la prima volta il suo amore per Louise). I nazisti vogliono impedirgli di continuare a deporre in aula e scrivono una lettera che prova la sua innocenza, ma Lory la rifiuta e continua nella deposizione che si concluderà con l’assoluzione. Una volta scarcerato si dirige verso la scuola e legge i “Diritti dell’uomo” ai suoi studenti e, appena finita la lettura, sarà prelevato dai Nazisti che lo fucileranno.
Il film – che è finzione (mai come in questo caso giacché la cittadina francese è interamente costruita negli studi americani) - aiuta a ragionare sui fatti della realtà (come dovrebbe essere ogni opera d'arte): aiuta, forse, nel rispondere alle critiche che sono mosse al pacifismo e all’interventismo militare (non voglio usare il termine guerrafondaio). Un filo sottile nella legittimazione di un atto, sia di colore bianco sia di colore nero. Un atto di legittimazione – per quel periodo storico – che sa di propaganda. Una legittimazione dei bombardamenti americani sui paesi invasi dalle truppe di Hitler, ma allo stesso tempo una legittimazione del sabotaggio da parte dei cittadini.
Ritorniamo ai giorni nostri: che cos’è oggi il probabile (se non certo) attacco militare all’Iraq? E’ un’azione per disarmare un dittatore che potrebbe essere una minaccia per i paesi liberi e democratici (ma sono veramente liberi?). L’atto è nobile non c’è che dire, peccato però che sia soltanto uno stupido pretesto (in molti lo hanno già compreso); un pretesto che sbeffeggia gli americani, gli europei e soprattutto quei cittadini iracheni che sperano nella liberazione dell’Iraq (vedere Afghanistan). 
Un pretesto che cade nel ridicolo e nel grottesco: basti vedere il dispiegamento militare degli USA nel golfo per contrastare la contraerea irachena (verrebbe da chiedersi chi dei due abbia l’armamento più temibile e chi dei due sia un vera minaccia alla libertà), per poi dichiarare – nel più burocratico politichese – che sarà una “guerra lampo” dalla durata di poche settimane: dichiarazione di hitleriana memoria.
A parte tutto l’unica cosa certa che ci attenderà in futuro sarà un ammassamento di feriti e di cadaveri (per i dettagli chiederemo a Emergency): morti su morti: tutti fra la povera gente e tra i militari (figli della povera gente)… mentre il brindisi per la vittoria sarà d’uopo nelle solite stanze del potere e i cani obbedienti del giornalismo internazionale saranno pronti a propinarci un nuovo atto di guerra con la complicità delle “truppe” pacifiste.
Lo sfondo demagogico e retorico, se non anche banale, di queste mie parole è dovuto – in parte - all’inutilità della manifestazione romana del 15 febbraio 2003; inutile perché é sentore – secondo il mio modesto parere - di giustificazione dell’imminente attacco militare. Le frasi prendono forma e disegnano scenari irreali dai significati reconditi: “Noi siamo contro la guerra e quindi manifestiamo per la pace… dateci il giorno per manifestare, dopo fate quello che volete…”; e che dire dell’incontro tra il ministro-braccio-destro del dittatore iracheno con il massimo esponente del Vaticano (quando l'opportunismo politico incontra la religione o il contrario: fate voi)? Sono solo atti per sopportare al meglio, con la coscienza apposto, il prossimo spargimento di sangue.
In conclusione se fossi un iracheno, griderei ad alta voce: «Questa terra è mia!»; lotterei contro il regime di Saddam Hussein tanto da diventare un terrorista (sabotatore?), un terrorista dei più feroci; lotterei per la democrazia, la libertà, l’uguaglianza, il rispetto di tutte le etnie e – perché no? – per l’anarchia.
La liberazione dell'Iraq deve essere opera degli iracheni stessi.

Fabio Rampoldi


 

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