Teatri di guerra
Pace non vuol dire solo “niente guerra” (Badboys)
Il diluvio della merce ha raso al suolo le mura che difendevano il capitale da se stesso e dal suo precipitare. Qui, in occidente, propaganda – in seguito alla costante perdita di legittimazione – la paura e il terrore di “ciò che può capitare”, alla stregua di una famiglia mafiosa, per venderci il rimedio (ovvero il capitale stesso) contro i pericoli che ci aspettano fuori della porta di casa, alle mura della città, ai confini della nazione.
Altrove, in luoghi che sembrano così lontani, erige nuove muraglie per proteggere, sulle nuove frontiere, l’impero della merce (che è entrata prepotentemente nei rapporti, sgretolando totalmente il senso di comunità e diventandone il simulacro). Come un parassita in cerca di nuova linfa vitale, riproduce e impone i meccanismi che tengono in piedi il sistema economico spostandosi sul pianeta in cerca di risorse e consenso, con tutti i mezzi che ha a sua disposizione. Una delle metodologie costanti dell’economia è il saccheggio; chiamare questo saccheggio “guerra al terrorismo” o, con un misero eufemismo, “missione di pace” poco importa...ciò che mi spaventa non è certo uno stupido gioco di parole. Quello che mi spaventa è l’ostinazione a perpetuare un sistema basato su dominio e sfruttamento che già deve fare i conti con il suo inevitabile decadere. Ciò che mi fa paura è la miopia di certi calderoni movimentistici.
Non c’è, in effetti, il bisogno di veder volare, sulle proprie teste, i B/52 per sentirsi in guerra: i bisogni indotti, il costante bombardamento mediatico, non sono forse atti di guerra? Come chiamare la condizione del popolo Rom, uno dei pochi popoli al mondo a non avere un esercito, se non una persecuzione e come tale, un atto di guerra? E l’orrore dell’alienazione urbana, Scampia e le 167 (due zone del napoletano) sparse in giro, mostruosità concepite non per accogliere e unire, ma per creare alienazione e isolamento? E il carcere con tutti i suoi regimi speciali che vorrebbero ridurre al silenzio chi non accetta questo stato di cose e che rinchiude chi, con la propria presenza, rappresenta tutto ciò che i bravi cittadini reprimono e soffocano per bene nel loro subconscio (occhio non vede…)? Ma basta vedere che fine hanno fatto l’Arte e la Cultura, che da mezzi che potevano preannunciarci soluzioni futuribili sono diventati pilastri fondamentali sui quali poggiare le tavole del consenso e della rassegnata accettazione…questa non è guerra?
Intanto, i nostri corpi, reclusi tra i confini della proprietà, si rattrappiscono insieme al senso di comunità, proprio di un animale sociale qual è l’umano, diventando estensione delle case farmaceutiche, ricettacolo di veleni, meccanico organismo programmato per la produzione e la riproduzione, rinchiusi tra le mura di caserme/carceri a cielo aperto che chiamiamo “città”. In questo scenario, lo spettacolo pacifista risulta variopinto quanto inefficace in quanto focalizza l’attenzione su un punto parziale (per quanto terribilmente importante): la guerra in Iraq, cioè questa guerra, quando la guerra è le due torri crollate quanto il telegiornale, quanto la sveglia che rompe i coglioni alle sei e mezza del mattino e mi ricorda che devo essere produttivo e, per giunta, consenziente. Per non parlare delle telecamere nascoste che infestano le strade, la cattiva alimentazione, lo spettacolo dei G8 e “la ruota della fortuna”…
E allora, a conti fatti, perché accontentarsi di poco? Se la causa di ogni guerra, della logica della guerra, è il discorso stesso dell’economia (il capitale) che s’impone con brutale violenza sulla vita e su tutte le sue sane e naturali manifestazioni. Perché accontentarsi di bloccare solo treni che trasportano materiale bellico? Che senso ha boicottare solo prodotti statunitensi o israeliani? Che si blocchino le banche, piuttosto. Le industrie, i pozzi d’estrazione e le miniere, i laboratori di ricerca, le televisioni e tutto quello che contribuisce a mantenere presenti la logica della guerra e la paura di vivere. Solo diversificando l’azione si può sperare di ottenere qualcosa. Facciamola finita con i teatrini. Adottiamo l’azione diretta, il sabotaggio e il boicottaggio contro tutti i “signori” della guerra, ovunque siano e qualunque faccia abbiano, con ogni mezzo necessario e con le più svariate forme e soluzioni che la nostra fantasia ci offre.
Ianara
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