Contro il militarismo
Ancora una volta ci troviamo a parlare di guerra e ad assistere a crisi e a formazioni di alleanze di stati contro altri stati.
Queste alleanze variano rispetto al tipo di “problema” che vanno ad affrontare: ad esempio mentre tra alcuni stati europei esistono delle grosse fratture rispetto alla prossima guerra contro l’Iraq, dovute ai diversi interessi che essi hanno su quel territorio, questi stessi stati sono fortemente coesi nel momento in cui si trovano a combattere, al loro interno, qualsiasi forma di dissenso e di opposizione sociale. Hanno attuato una legislazione antiterrorismo comune, stanno applicando gli stessi regimi carcerari speciali (F.I.E.S. in Spagna, 41 bis in Italia, celle bianche in Grecia, etc.), stanno usando gli stessi metodi repressivi contro gli immigrati, specialmente di religione mussulmana, dopo l’attentato di dubbia matrice dell’11 settembre. Tutto ciò per garantirsi il sostegno reciproco e preventivo nel caso in cui potrebbe essere attaccato il principio di autorità su cui si fondano.
Tra l’altro non c’è modo migliore per indurre nei “bravi cittadini” il bisogno di ordine e protezione che inventarsi dei nemici: i terroristi, siano essi Afgani, Iracheni, immigrati, anarchici o qualsiasi individuo che lotta contro questo schifo di società.
Che tutto ciò ricada sulla pelle e sulla vita di milioni di donne, uomini e bambini è marginale, l’importante è che gli artefici di tale “gioco” mantengano i loro privilegi. Il capitalismo crea i bisogni, lo stato li monopolizza per imporli a noi tutti in qualità di cittadini, sudditi o schiavi.
Per una guerra dichiarata o minacciata mille altre si consumano in tutte le periferie sia di tipo geografico (Algeria, Afghanistan, Iraq, Palestina, etc...), sia di tipo politico, come i pestaggi di massa nelle piazze, con le già citate leggi antiterrorismo, che di tipo sociale, con l’imposizione del lavoro la costruzione dell’indifferenza che recupera e delle carceri che rinchiudono gli esclusi. Tutto ciò senza che nessun pacifista abbia speso una sola parola in tal senso; forse perché guardare lontano è sempre più comodo e meno pericoloso che aprire gli occhi su quello che accade vicino a noi.
Come anarchici bisogna prendere una posizione chiara ed intransigente senza correre il pericolo di essere assorbiti in un grande calderone pacifista, che è quanto di più inutile e sterile in una lotta contro qualsiasi tipo di militarizzazione dell’esistente. Difatti il movimento per la pace nasconde al suo interno cappellani, militari ed altri che non rinnegano gli eserciti, ma ne vorrebbero semplicemente altri, con le stesse metodiche di autoritarismo e gerarchia contro cui da sempre gli anarchici si sono schierati.
Sosteniamo tutte le forme reali di opposizione alla macchina militare senza preclusioni e senza creare inutili dietrologie che fanno solo il gioco del potere. Opporsi al militarismo significa comprendere la necessità di non delegare la propria difesa e la propria esistenza ai detentori della violenza istituzionalizzata. Significa boicottare, disertare, disobbedire, attaccare, etc…
Di fronte all’arroganza che crea la guerra come velina per i nostri occhi, rinviando gli orrori del militarismo altrove, la consapevolezza di una rivolta che tutto inondi, scuole, fabbriche e strade, diviene l’ultimo mezzo per riappropriarci delle nostre vite, per autogestire i nostri bisogni.
Gruppo anarchico “Louise Michel"
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