Numero 11 - Aprile 2003 - Anno 2

La grande danza


Nel perenne sonno cerebrale di un’umanità persa nel progresso ed adagiata sulle certezze preconfezionate di un mondo sottovuoto, nel perpetuo moto apparente della vita grigia e spenta cresce sottopelle ed aspetta la rabbia del cuore, repressa ed immobile, ferma nel molle strato superficiale del pensiero generale, generalizzato e generico…
La quotidianità incalza sul piacere della scoperta portando con sé i sentimenti, tutti già nomati, tutti schedati e già vissuti, troppo pochi per un uomo solo, troppo noti per una mente.
Ed allora tutto diventa uguale a tutto, l’impensabile diviene scontato e scalza l’immaginazione dal trono del controllo relegandola a semplice opzione di scorta dell’esistenza, la rende futile e scomoda, eticamente sovversiva.
Nulla è fermo, la corsa perpetua al successo, al bene, alla sicurezza stabile, all’unilateralità visiva che regali certezze e battaglie giuste, facoltà di decidere per gli altri, è inarrestabile e cieca, piatta di stimoli e novità ideologiche, morta e vivente allo stesso tempo, macabra danza di un cuore allo sfascio. Gli anni sono ormai in funzione di un momento, di un obiettivo, non importa quanto lontano, non importano più i dubbi, non importano le urla delle coscienze lacerate dal progresso, tutto fa capo alla sopravvivenza disperata della specie del cemento, smarrita nel fluido del suo stesso volere, stroncata dalle gerarchie radicate del perduto amore per l’essere.
Nessuno ormai più tenta di assaporare il battito dell’esistenza, nessuno mastica più gli attimi che scorrono unici e veloci, rari e vivi, magici nella loro fulgida ristrettezza temporale, ma dalle sconfinate quanto recondite sfumature intrinseche di infinità. La totalità fugge dalla sua immagine riflessa nella società, scappa verso una fine soddisfacente e penosa, sfatta di colore e musica, morta e dolente del suo stesso cadavere in putrefazione perpetua. Ogni minuto che passa è un passo in più verso il declino e non una perla in più nel diadema della vita, una freccia tagliente nella faretra delle esperienze comuni ed individuali…
Ma qual è il fine di questa corsa? Il marciume. Il marciume fisico ed intellettuale, la consolazione di una piccola fetta di notorietà e di potere, la soddisfazione corale di essere passati da ignavi sul palcoscenico di un manifesto canone sociologico, un origamo di idee e regole ben accette o male accettate ma comunque condivise. Ormai nessun individuo cura come fiori le sue convinzioni, reazione e rivoluzione, così diverse all’apparenza, contrapposte l’un l’altra ma siamesi disegni fissi del panorama sociale. Il cambiamento radicale fa paura e bandisce le utopie, le crocifigge alla bacheca dei sogni, dove non c’è più spazio per le illusioni. I sogni…
La forza onirica del pensiero distaccato assume la possenza di una farfalla sul far della sera, inerme nell’oscurità e contratta scheggia di bellezza e speranza, morbido cuore d’aria e vento disperso nelle nebbie del tempo. Lo spazio dei sogni è ristretto, quasi nullo, mischiato alla monocromia dell’autodistruzione circostante, e rappresenta la disperata ricerca dell’esistere, del sentire con sé la mano dell’esistenza e di poterla stringere, anche per poco, del modificare l’attimo in infinito e navigarci su, attraversarlo da porto a porto, conoscere le sue genti, mischiare il proprio respiro con la brezza intorno…
Tutto è frenetico e tende al freddo, gela il sangue e lo rende nero, nero oro, nero denaro per il mercato delle vite spettrali e vuote che affollano il mondo del disincanto che bandisce i regni di fiaba dalle sue terre emerse e li segrega nei meandri delle infantili reminiscenze dimenticate, di un corpo in rovina…
Tutti si affannano nel pianeta della fretta, nella terra incantata del cemento tutti parlano e tutto tace, dove il cuore batte sempre allo stesso ritmo, dove la vita è solo un sussurro rarefatto e caustico che deteriora i desideri.
Perché questo è sopravvivere.
Vivere è un’altra cosa…

Luciano


 

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