Numero 12 - Maggio 2003 - Anno 2

Lo Stato terrorista


Chi scrive conosce solo l’America esportata dai media, pertanto, non avendone conoscenza diretta, ogni giudizio è condizionato da tale stato di ignoranza. Chi scrive, comunque, appartiene ad una generazione, quella degli ultraquarantenni, che, nell’intero arco della propria esistenza, ha vissuto in un clima culturale e politico fortemente, se non totalmente, condizionato dai modi e dalle idee provenienti da oltre Oceano. Con tale titolo ne discutiamo, cercando di attenerci a fatti.
Lo sguardo interrogativo sull’America è giustificato dal percorso sanguinario intrapreso dalla contemporanea politica dell’imperialismo U.S.A., che cresce proporzionalmente ai crimini che commette. Una simile affermazione non è un giudizio di valore, ma è la constatazione che la democrazia americana per affermare se stessa è sempre più costretta a sparare nel mucchio, a compiere stragi di civili, ad esplicarsi con toni drammaticamente militaristici. La democrazia americana è a un bivio, ha disilluso troppa gente ed oggi, con l’ennesimo Bush di turno, ha ben poco da raccontare all’umanità, e quel poco lo fa solo con le armi.
Ma è sempre stato così? Mah!. Le lusinghe dell’americanismo hanno accompagnato le tappe più importanti di intere generazioni; il mito americano ha illuminato le aspirazioni di milioni di emigranti; quanti libertari hanno inseguito il sogno americano nella speranza di una esistenza più dignitosa!. Gli stati uniti d’America hanno rappresentato un esperimento per quei pionieri che hanno percorso la storia a cavallo, nelle praterie sconosciute, brandendo le armi quale esercizio di libertà. La forzata e sanguinosa assimilazione delle popolazioni indigene indiane è uno dei primi effetti collaterali della vivisezione richiesta dall’esperimento.
I valori fondanti sono ben noti a tutti e continuamente esaltati dall’iconografia pubblicistica dell’orgoglio patriottico, resa efficace dal ruolo di liberatori da tiranni di ogni specie, di cui hanno assunto l’effigie, con tutto il carico di eccessi e fallimenti. Gli americani si distinguono non solo per la superbia e la capricciosità, ma anche per il pragmatismo che permette di misurare ogni azione dalla convenienza e dall’interesse riproducibile a proprio vantaggio. Il potere economico, nella società americana, è decisivo. Proverbiale è anche il conformismo del cittadino medio negli USA, che adegua il proprio comportamento agli standards generali accettati ed all’affannosa ricerca di uno status sociale che gli offra una stabilità di identità, a fronte dell’eterogeneità e dello sradicamento da cui il paese prende origine. Costante, dicono, è l’aspirazione di progredire individualmente, liberi da freni ed interferenze, riversando ogni energia nell’iniziativa privata e delegando all’autorità statale un ruolo di parcheggiatore, nel senso di sistematore e conservatore dei beni acquisiti dai singoli individui. Si è detto che, negli USA, il socialismo non ha mai preso piede, perché gli americani si sentono già uguali; essi sono partiti senza classi sociali, che invece imperversano nella storia europea.
Il liberalismo sembra soddisfare, compiutamente, le aspirazioni degli americani. Forse nessuna altra società moderna sa esaltare, glorificare e monetizzare altrettanto bene le qualità individuali, e lo si vede nella scienza, nello sport e nelle arti. È sicuramente un grande popolo che ama vivere nel mito di se stesso e costruire la propria storia in una atmosfera cinematografica e percorrere da divi un ruolo di primo piano nello scenario mondiale. È un popolo dalle forti passioni che, stimolato dai sermoni di migliaia di predicatori, tutti invariabilmente illuminati dallo stesso dio, è capace di precipitare in una profonda e collettiva nevrosi, da cui scaturiscono comportamenti e fenomeni negativi come l’isolazion-ismo, il maccartismo, il proibizionismo, il segregazionismo, la vocazione mai sopita per i linciaggi e per le condanne a morte dei più disperati, sbarazzandosi, sfacciatamente, dei diritti individuali e collettivi di altre genie. È una nazione vorace che, nel corso della propria storia, ha inghiottito uomini, lavoro, risorse energetiche e patrimoni culturali e, con altrettanto vigore, ha espulso e perseguito sindacalisti, stranieri e diversi. Ora è il momento della guerra preventiva. Tocca al popolo americano sbarazzarsi di questa retorica sanguinaria e assordante. Ritornando sul suolo italico, è divenuta di moda, da parte della destra parafascista, stabilire una connessione tra rifiuto della guerra ed antiamericanismo, attribuzione ridicola che tradisce solo la paggeria di cui è capace un certo tipo di “clone sociale”, che imperversa nello scenario contemporaneo, il cui parassitismo istituzionale, consolidato da privilegi legislativi e strutturali di lunga tradizione, avrebbe serie difficoltà di inserirsi nel sistema americano liberista, questo in teoria…!
Non ha alcun senso etichettare un altro come anti o contro un’entità geografica. D’altronde, per quanto ci riguarda, oggi, libertari e non, è necessario avere chiaro un fatto: ci piaccia o meno, volenti o nolenti, gialli o rossi, siamo tutti dei figli di puttana perché siamo figli d’America!!! Ognuno rumini dentro di sé una simile constatazione esistenziale. È determinante, invece, per scuotersi dal torpore di una simile filiazione, alimentare, soccorrere, inventare ogni azione, atteggiamento o affermazione di contrasto al pensiero unico oligarchico dell’imperialismo USA, che al culmine della sua crisi di crescita, esprime la più oscura violenza militaresca, ciecamente rivolta a tutti i dissenzienti, popoli o individui. 
È stata davvero inaugurata l’epoca dello Stato Terrorista.

ARo


 

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