La rivoluzione dell’essere
Di fronte a una prospettiva di tipo rivoluzionario, l’anarchismo si è sempre mostrato il movimento più attento all’aspetto della coerenza, ma nonostante i suoi forti contenuti è ancora percepito dall’immag-inario collettivo come sogno romantico, utopia irrealizzabile. In effetti, di fronte alla schiacciante manipolazione culturale diretta dai tentacoli del potere, una visione di società libera, senza stati, senza polizia, senza gerarchie né forme padronali come quella propugnata dagli anarchici può facilmente passare per utopismo fra la maggior parte delle persone. Questo è il punto forte della lotta anti-anarchica: serve quindi una riformulazione della parola “utopia”.
Esistono, in effetti, due modi di intendere l’utopismo, ma il primo significato, quello corrente, lo lega alla fallibilità. Vediamo dunque perché l’utopia è un’illusione, analizzando due utopie di matrice occidentale: il cristianesimo e il socialismo.
Il cristianesimo, fra le tante novità che ha apportato al pensiero umano, ha introdotto una concezione lineare del tempo in chiave escatologica: un giorno –dicono i preti- gli uomini saranno liberi, uguali, fratelli. La “Città di Dio” che vedrà la realizzazione di questo ideale è cosa metafisica, che trascende la vita terrena e condanna i fedeli ad una “Città degli uomini” dominata dalla schiavitù e dal peccato, dallo strapotere delle gerarchie ecclesiastiche, dall’indifferenza e dall’ostilità verso gli eretici. L’attesa di un mondo futuro non ha fatto che rafforzare gli apparati coercitivi, imperialisti e liberticidi della Chiesa, col pretesto di salvare più anime possibili in attesa del giudizio di Dio.
Volendo studiare le conquiste della Rivoluzione Francese tenendo conto di questo contesto storico, non possiamo che vedere i tre grandi valori da essa proclamati come un parziale tentativo di secolarizzazione dell’utopia cristiana.
Gli stessi ideali trapiantati nel nascente pensiero socialista sono la triste conferma di una mancata rivoluzione esistenziale. Le rivoluzioni comuniste sono state politiche, sociali, economiche, religiose, ma non si son certo sottratte dal vizio storico della metafisica: il domani trascendente del cristiano non è poi tanto diverso dal domani storico – ma trascendente l’adesso - del rivoluzionario borghese. L’attesa passiva della dimensione religiosa si è vista sostituire dall’azione storpia di una dimensione unicamente pragmatica, logica conseguenza dell’etica utilitaristica moderna. I tanto sbandierati ideali rivoluzionari sono stati dimenticati per permettere fantomatiche fasi di transizione, e sono sfociati in ciò che la pratica dei mezzi rivoluzionari poteva portare, cioè alla statalizzazione degli stessi: alla guerra, alla dittatura, al totalitarismo, a società tutt’altro che socialiste.
L’errore di utopie che hanno fatto tanto sognare l’uomo non è stata la progettualità lineare. D’altro canto, un isolamento nell’istante che non tenga conto di efficaci catene consequenziali non è una realtà che possa confacersi all’uomo, per natura dotato e desideroso di lungimiranza. L’errore è stato piuttosto la dicotomizzazione del tempo in frazioni non eguali, non omogenee. È stato un inventare un tempo scisso dalla linea temporale in cui ci troviamo, un mondo dietro il mondo, una metafisica. Il tempo, al contrario, noi lo percepiamo come una linea che è eterno ritorno dell’uguale, di un uguale diveniente e trasformantesi, è vero, ma sempre legato a sé stesso come un medesimo filo conduttore. Promettersi un mondo da venire è comodo, ma non funziona: sembra più realizzabile invece cominciare a inventarlo sin da subito.
L’errore, in sintesi, è stato l’incoerenza: si è pensato che il fine giustificasse i mezzi. Ma non è di giustificazioni che ama parlare il moderno, quanto di efficacia: un mezzo che contraddice il mio fine dove può portarmi? Che tipo di persona mi farà diventare? L’eroe rivoluzionario che si macchia di stragi per la libertà è un libertario o vorrebbe piuttosto diventarlo? Non serve a nulla interrogarsi su quale tipo di società vogliamo, quanto piuttosto su cosa siamo, perché ciò che siamo è ciò che costruiamo lentamente nel nostro ambiente sociale, spesso senza nemmeno accorgercene. L’essere è sperimentazione, è già rivoluzione, è la dimostrazione palpabile che un mondo diverso è possibile. L’utopismo esige una rivoluzione esistenziale prima che sociale, non deve rimandare al domani ma recuperare lo spontaneismo etico dell’immediatezza. Tutto ciò che non avviene adesso, di fatto non avviene, ma avverrà, forse.
L’anarchia, summa e nuova lettura degli ideali umani di libertà, uguaglianza, solidarietà, è una rivoluzione dell’essere. Cosa significa rivoluzione dell’essere? Significa che è un mutamento da parte di un soggetto sulla sua stessa persona, sulla sua volontà, sulla sua coscienza, sulle sue azioni, sui suoi pensieri, sul suo presente. E’ un processo lento di introspezione e ascolto, di precisazione e determinazione della propria identità, che richiede amore e rispetto della libertà in tutte le sue possibili manifestazioni. Dentro ogni uomo ci sono infinite anime: esistono un pensiero razionale così come una molteplicità di pulsioni emotive e irrazionali, esiste un linguaggio verbale e mille linguaggi del corpo, esiste un inguaribile sete di autoaffermazione così come un anelito irrefrenabile all’amore e alla condivisione, esiste il desiderio d’azione come l’ozio e la paura e la stanchezza e l’entusiasmo e l’amore di sé e l’egoismo e la compassione e la religiosità e il dogmatismo e il narcisismo e l’odio e il rancore. Non sempre queste mille personalità in lotta dentro di noi possono andare di pari passo, così spesso tendiamo a delegare alla più forte di queste la repressione della fastidiosa concorrenza, ma prima o poi questa vuole venir fuori. Sondare questi abissi più o meno comodamente mascherati, dare a ciascuno un eguale spazio, in vista di una loro manifestazione spontanea e di una possibile evoluzione naturale verso la serenità e la libertà, combattere la morale e ogni menzogna: tutto ciò è la rivoluzione dell’essere.
La rivoluzione dell’essere trascende ogni pianificazione utopistica, nella rivoluzione dell’essere non esiste il domani, pertanto anche la parola “utopia” ha un significato diverso. L’utopia, per ogni rivoluzione individuale, non è un luogo o un tempo da venire, ma semplicemente una proiezione virtuale sulla quale stampare il nostro ideale di vita in società. L’utopia ha la caratteristica dell’immanenza. La massima è: “Agisci adesso come agiresti nella tua utopia!” Tenendo l’utopia come modello archetipo, come faro irraggiungibile e inesistente, in quanto creazione mentale dell’uomo, noi ci tracciamo binari sui quali condurre in modo più agevolato la nostra esistenza. Non per raggiungere quel dato modello in un futuro prossimo, ma per cambiare l’adesso.
La libertà, signori, noi la vogliamo subito! Ci rendessimo solo conto di quanto e fin quanto la vogliamo! Spesso, infatti, essa ci spaventa…
Michail
|