da "Contropotere - giornale anarchico" numero 14 - Luglio/Agosto 2003 - anno 2

Una vita per l’idea


 "Nell’inferno della vita entra la parte più nobile dell’umanità. Gli altri stanno sulla soglia e si scaldano.” C. F. Hebbel
La memoria collettiva è alla base dell’identità di un popolo. Un evento si “memorizza” attraverso un lungo percorso di ricostruzione del passato, un meccanismo che permette di tracciare le linee di demarcazione tra ciò che è necessario ricordare e cosa consegnare all’oblio.
Spesso la memoria si concretizza nelle pratiche, ovvero in celebrazioni, cerimonie commemorative, lapidi, statue e altro. Questi espedienti, materiali e simbolici, permettono alla comunità di impedire di “sterilizzare” il ricordo di un passato che non può essere dimenticato.
Tuttavia non tutti i trascorsi sono “memorizzati”, ma a volte volutamente rimossi di modo che la loro sia una storia di silenzi, una memoria senza dimora. A questi passati non “manifesti” ma pur sempre “latenti” è opportuno dare voce per farli riaffiorare e rivivere nel presente, perché anche le vicende di personaggi “minori” offrono spunti di meditazione quanto meno sotto il profilo del percorso umano.
Significativa è la vicenda di Francesco Barbieri. Spesso il nome di questo anarchico calabrese è associato a quello di Camillo Berneri, in quanto i due vennero brutalmente assassinati dai comunisti durante i moti di Barcellona nel lontano 1937. Ma se il Berneri, membro di spicco del movimento anarchico italiano, è stato “memorizzato”, più volte celebrato e ricordato dagli anarchici in vari modi, il ricordo di Francesco Barbieri non ha ancora ricevuto una adeguata rappresentazione .
Se ci si accosta, pur casualmente, alle “buste” del casellario politico custodite presso gli archivi di stato, balza immediatamente agli occhi la grossa consistenza del fascicolo di Francesco Barbieri.
Ben 413 carte redatte decine di anni fa da zelanti servitori del regime fascista, racchiudono le notizie di polizia sulle principali attività politiche dell’anarchico più conosciuto (ma non troppo) in Calabria.
Francesco Barbieri nasce a Briatico il 14 dicembre 1895 da una famiglia agiata. Le possibilità economiche della famiglia gli consentono di intraprendere gli studi e conseguire il diploma di perito agrario nel 1914. Negli ambienti studenteschi ha modo di conoscere dapprima alcuni esponenti socialisti, poi gli anarchici. Sebbene il movimento anarchico calabrese non abbia in quegli anni una struttura organizzata e funzionale, il Barbieri si impegna nella diffusione delle idee libertarie e si mostra subito refrattario nei confronti della guerra e svolge una costante attività antimilitarista.
Questa risolutezza è notata dagli organi di polizia che aprono un fascicolo su di lui, schedandolo come sovversivo-anarchico. Nell’aprile del 1921 parte per l’Argentina e si stabilisce a Buenos Aires. Il paese della pampa dopo i moti della Semana Tragica è nuovamente teatro di scontri a seguito delle occupazioni contadine dei grandi latifondi della Patagonia. I moti, ancora una volta, sono repressi nel sangue.
In questo contesto emerge la figura del giovane Barbieri. Decide di stare con gli sfruttati e aderisce al “Comitato Antifascista Italiano”, in cui ha modo di conoscere gli esuli politici che per la maggioranza erano legati al sindacato anarchico della F.O.R.A., molto attivo nelle lotte sociali argentine.
Con l’arrivo di Severino Di Giovanni, nel 1923, si rafforza l’ala dell’anarchismo di azione, di tendenza individualista, conosciuto come “anarchismo espropriatore”. Barbieri, che in Argentina chiamano “Chico il professore”, si lega subito al Di Giovanni e ai fratelli Scarfò, anch’essi anarchici di origine calabrese. Tra il 1927 e il 1928, il gruppo compie più di venti attacchi dinamitardi: a confezionare gli esplosivi ci pensa Barbieri. Quando il tre maggio del 1928 Di Giovanni “piazza” una bomba presso il Consolato Italiano, provocando la morte di nove persone e più di trenta feriti, il movimento libertario argentino si spacca sull’accaduto. Durissime sono le accuse del periodico “La Protesta”, organo ufficiale della F.O.R.A., nei confronti degli esecutori dell’attentato, accusati di fare il gioco della polizia. Anche il giornale “Antorcha”, tradizionalmente vicino alle tesi degli “espropriatori”, prende le distanze da un gesto di simili dimensioni.
Il gruppo di Di Giovanni si disperde per evitare ovvie ritorsioni poliziesche. Barbieri ripara prima in Uruguay poi in Brasile. Per caso la polizia scopre il laboratorio in cui “Chico” aveva preparato gli esplosivi e per questa ragione non può più rientrare a Buenos Aires. Grazie all’intervento di un avvocato vicino agli anarchici riesce a non essere estradato in Argentina e rientra in Calabria.
Nella sua terra è ancora sottoposto a continue “attenzioni” poliziesche. Noto per la sua intensa attività antifascista, viene arrestato e condannato a un anno e sei mesi di reclusione. Riesce però ad evadere dal carcere nel febbraio del 1930 e a riparare a Marsiglia.
Anche in Francia la sua militanza politica è instancabile, viene nuovamente arrestato per propaganda sovversiva e si lega al gruppo anarchico “Sacco e Vanzetti” di Lione. Dopo ennesimi arresti e rocambolesche evasioni, si rifugia a Ginevra dove ha sede la Federazione Anarchica Internazionale. Ma la polizia elvetica non è più tenera delle altre, per cui è costretto a scontare altri mesi di prigione per il possesso di documenti falsi e in seguito espulso dal paese.
L’unico posto dove può dirigersi è la Spagna; non gli resta altra scelta e fra l’altro a Barcellona trova gli amici del periodo argentino, Durruti e Ascaso. Qui intraprende un’attività di commercio di prodotti agricoli, ma è sempre interessato e presente nelle lotte politiche, attirando su di sé l’interesse della polizia iberica.
Viene arrestato per banali motivi e una volta scarcerato è costretto a tornare a Ginevra. L’evolversi della situazione politica spagnola è però per lui un motivo di attrazione irresistibile. Tant’è che riparte ancora per Barcellona dove incontra Camillo Berneri.
Tra i due nasce un rapporto di amicizia quasi fraterno. Barbieri assume, per il noto intellettuale, un ruolo protettivo e quasi paterno. Ma se Berneri è un uomo politico, maggiormente predisposto allo studio e alla elaborazione intellettuale, “Ciccio” è un uomo d’azione e in breve tempo assume il delicato ruolo di coordinatore tra i vari comitati e le varie milizie che si formano in Catalogna. 
Dopo i primi anni di guerra civile le fratture tra le forze rivoluzionarie diventano insanabili. Finché alle brigate internazionali giunge l’ordine stalinista di eliminare gli anarchici da Barcellona. Il cinque maggio del 1937 una quindicina di uomini, con bracciali rossi e armi in pugno, bussano all’appartamento che Barbieri e Berneri condividono. I due anarchici chiedono spiegazioni. Si sentono rispondere che sono in arresto perché controrivoluzionari e forse spie dei fascisti. L’indomani i compagni di sempre trovano i corpi dei due anarchici.
I funerali si svolgono l’11 maggio in una Barcellona tetra e impietrita dal dolore. Cinque carri trasportano i feretri di Camillo Berneri, Adriano Ferrari, Lorenzo di Peretti, Pietro Macon e Francesco Barbieri: tutti italiani e tutti anarchici. È l’ultima grande, solenne e tragica manifestazione pubblica dell’Anarchia.
Così si conclude, con il saluto di migliaia di persone, la vita appassionata, intensa e non comune di questo calabrese di Briatico.
Ma tutto questo, per la grande storia, poco conta.

Oscar Greco


 

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