da "Contropotere - giornale anarchico" numero 15 - Settembre 2003 - anno 2

Morte nei moduli F.I.E.S.


Il nostro caro compagno Francisco Ortiz Jimenez (Paco) è morto lo scorso sabato 19 luglio nel carcere di Badajoz, modulo Fies. Ha cercato la libertà per mezzo del suicidio con una dose mortale di pillole, una maniera molto dura per scappare definitivamente dalla realtà del carcere e dell'isolamento che non sopportava più.
Conobbi Paco qui nel modulo Fies di Huelva più di due anni fa e lo apprezzavo molto, tutti quelli che ebbero l'occasione di conoscerlo gli volevano molto bene. Mi diceva che "amava la vita, la vera vita in piena libertà, però non questa che avevamo qui in una sezione di isolamento. Questa non era una vita che valesse la pena vivere". Da quando entrò in carcere l'ultima volta, tre anni fa, tentò 7 volte di togliersi la vita. L'ultimo tentativo fu a Jaen II, tagliandosi le vene il 22 marzo '03, però non ci riuscì, la vita troppo forte nel suo cuore rifiutò ancora una volta la morte. Ricordo che in una delle sue lettere mi diceva: "È incredibile, sembra che sia immortale".
A Huelva, quando stava qui con noi tentò due volte, lo portarono in ospedale e tornò dopo pochi giorni come se non fosse successo niente, un po' frastornato, questo si, però tranquillo con la sua determinazione. "La vita è un bene che appartiene a ciascuno di noi ed abbiamo l'indiscutibile diritto di fare di essa il meglio che crediamo", mi diceva.
Paco passò quasi tutta la sua vita in galera: 20 anni, lottando contro le ingiustizie del sistema penitenziario, lottando per la vita e la libertà sua e degli altri ed ora, dopo tanti anni, gli venne a mancare la forza per ricominciare. L'ultima volta che ci scrisse di sé raccontava la sua situazione dal momento della sua partenza da qui per un trasferimento verso Jaen II. Un trasferimento annunciato anteriormente da una notifica della direzione in cui dicevano che tale spostamento era al fine di facilitare il suo recupero: come se fosse possibile aiutare qualcuno rinchiudendolo a Jaen II (io ci sono stato e so molto bene quanto sia duro). Trasformarono il suo trasferimento in una specie di sanzione, e per di più era appena uscito dall'ospedale. Era una falsità senza ritegno sostenere che mettere là il nostro compagno "avrebbe propiziato il suo adattamento", lì si distruggono i prigionieri, si cerca di annientarli, togliendo quel poco di allegria che ancora gli resta.Potete immaginare come stesse male Paco nel maleodorante modulo Fies di Jaen II, in isolamento, all'oscuro, solo ed in silenzio: il luogo più simile ad una tomba. Non è un caso che anche lì cercò di togliersi la vita. Nonostante la sua situazione ed il suo stato d'animo partecipò, con gli altri prigionieri che arrivarono successivamente, ad una lotta per bloccare il progetto di convertire il Fies di Jaen II in una sezione a doppio utilizzo, cioè per prigionieri Fies di prima e seconda fase, come nel carcere di Picassent (Valencia). Le proteste di ogni tipo furono efficaci e la direzione non riuscì ad ottenere ciò che voleva, e Paco fu trasferito al Fies di Badajoz, un modulo di seconda fase dove trova la morte.
E che adesso non vengano con le loro stronzate, perché per noi è chiarissimo che ogni morte in carcere è un crimine di Stato, e sono loro i responsabili delle condizioni per cui queste morti avvengono. È difficile far comprendere come possano accadere simili fatti. Come spiegare la realtà che viviamo e i danni che provocano anni ed anni di isolamento su ognuno di noi?
Nell’incontro che ebbe luogo in Olanda nel dicembre del 2002, si affermò che “l’isolamento è una delle forme più estreme di repressione, così come la tortura fisica o l’omicidio, un mezzo per distruggere le idee in generale e quelle politiche in particolare, una vera e propria tortura concepita per eliminare il prigioniero”. Io vorrei sottolineare l’aspetto vendicativo dell’isolamento… una particolare vendetta del sistema di dominio, contro coloro che, per qualche motivo, si sono posti contro di esso ed hanno respinto ogni tentativo di sottomissione. Parlare di isolamento significa avvicinarsi ad una realtà di morte molto difficile da comprendere, quando non si parla di morte fisica si può parlare tranquillamente di morte cerebrale, la pazzia attraversa questi corridoi…
Perfino gli esperti del ministero non possono negare lo squilibrio mentale del prigioniero dopo dieci anni trascorsi in isolamento. È, per dirla semplice indeterminato. Vivere così le 24, la sostituzione della pena di morte con qualcosa di peggiore come l’internamento a tempo ore del giorno in un buco dove si riesce a vedere soltanto un pezzo di cielo ed un cortile di pochi metri quadrati, è qualcosa che produce effetti psicologici devastanti nella personalità del prigioniero.
Il potere ha nelle sue mani una macchina di distruzione più efficace della sedia elettrica e ciò è, giustamente, quel che è più difficile da capire per la maggior parte delle persone libere. Fino a quando non giungeremo a considerare l’isolamento uguale alla pena di morte, qualsiasi lotta contro il carcere si tradurrà in qualcosa di superficiale che difficilmente potrà evolversi…perché si starà trascurando la parte più importante, più annichilente, più concreta del Sistema repressivo sociale posto in atto ultimamente.
Come prigionieri sappiamo che non abbiamo altra scelta, disgraziatamente è da tempo che stiamo assaggiando il velenoso sapore del carcere, sappiamo che se smettiamo di rivendicare i nostri diritti perderemo quel poco che fino ad ora abbiamo ottenuto.
Quindi continueremo ad essere ciò che siamo… dei prigionieri… senza altra possibilità che non sia continuare a lottare e vivere per ciò in cui crediamo, però temo che le lacrime cadute per il nostro amato Paco continueranno a cadere per molti altri…se noi tutti/e non poniamo un freno a queste bestie che ci dominano.

Claudio Lavazza
Cp Huelva, Modulo 16 FIES
Carretera la Ribera s/n
21610 Huelva (España)


 

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