Religione e sessuofobia
La civiltà sviluppatasi in Europa negli evi medio e moderno, e dall’Europa estesasi a tanta parte del mondo sulle orme dei colonizzatori, non eredita soltanto la tradizione religiosa giudeo-cristiana ma anche la sua componente sessuofobia e “puritana”, secondo la quale l’amore fisico viene considerato intrinsecamente malvagio e peccaminoso, associandovi un potente senso di colpa tutto imperniato sulla vergogna, il ribrezzo e la paura. Tutto ciò, scaturiva, con impeto tanto maggiore quanto più il gruppo umano era aggressivo e guerriero.
La strumentalizzazione di tali tabù poneva nelle mani dei capi, delle guide spirituali del gruppo, un potere immenso di contrattazione e di ricatto.
Sia l’ebraismo che la successiva setta cristiana, ebbero sin dall’inizio un carattere sessuofobo e guerresco. Sfogliando la bibbia si leggono passaggi di misoginia estrema (Ec 7, 26): “più odiosa della morte è la donna, il cui cuore è irto di trappole e lacci, e le cui mani sono catene. Chi vuole piacere a dio dovrà fuggirla…”. questi e altri passi della bibbia costituiscono una lunga predica rivolta esclusivamente all’uomo; quando si menziona la donna è sempre in funzione del suo “padrone e signore”, oppure per denigrarla.
Naturalmente da questo tipo di letamaio dell’antico testamento, non son cresciuti fiori, ma si è sviluppato il merdaio cristiano del nuovo testamento.
Con il sesso come causa onnipresente di peccato, la minaccia di condanna al fuoco eterno divenne la molla psicologica su cui si manteneva l’intero sistema della chiesa.
L’amplesso fra persone non sposate era un peccato indiscutibilmente peggiore dell’assassinio. Oltre all’atto sessuale vero e proprio venivano inesorabilmente proibiti il tentativo o le intenzioni di compierlo, e gravi anche il bacio e il mero pensiero carnale, per il quale bisognava infliggersi 40 giorni di digiuno e di tormenti; una polluzione notturna si mondava solo alzandosi immediatamente dal letto e cantando in ginocchio sette salmi penitenziali.
Il medioevo passò, lasciando a lungo nel costume religioso le sue tracce, che non si può dire siano scomparse ai nostri giorni. Basta pensare a certe manifestazioni patologiche, schifose, imbastite di masochismo e coprofilia (il fascino per gli escrementi), che vengono presentati come illustri esempi di virtù e motivo di santificazione.
Il grande soffio di “vitalità culturale e politica” pervadente il mondo europeo nel 15° e 16° secolo ebbe i suoi effetti anche in campo erotico, infatti la licenza del clero toccò vertici senza precedenti; alla corte papale stessa erano tenute orge sessuali, con la partecipazione di innumerevoli cortigiane. Fra le cronache su Alessandro I (Rodrigo Borgia) ve ne è una illuminante, che culminò con una singolare gara di destrezza: venivano gettate sui pavimenti dei saloni pontificio un’infinità di castagne; si premiavano le “dame” che aggirandosi nude e a carponi ne raccattavano di più con la bocca; simultaneamente, vi erano premi per quei “cavalieri” che riuscivano a possedere il maggior numero di donne, trovate in posizione così propizia.
Ma cose del genere rimasero a esclusivo titolo della classe aristocratica e clericale. Per il borghese e per il popolano i costumi erano e restavano severissimi: per loro pullulavano tutta una miriade di libretti edificanti, rivolti a combattere l’immoralità.
Come era già successo nel medioevo, il furore sessuofobo scatenò l’oscurantismo culturale, con le conseguenze che bene sappiamo, nel ricordare il martirio di Giordano Bruno (1600), o il noto processo e abiura di Galileo Galilei, costretto a ritrattare le teorie sull’eliocentrismo, solo in questi ultimi anni la chiesa ha riconosciuto il suo torto nei riguardi di Galileo (il grottesco sta nel fatto che il nuovo “processo” abbia richiesto nove anni, dal 1983 al 1992, per assodare che la terra si muove!).
Nell’intera cristianità la sessuofobia rimase isolata dagli sviluppi della critica apertasi con il “secolo dei lumi”. La proverbiale frivolezza del costume settecentesco può trarre in inganno, facendo pensare che vi sia stato un nuovo indirizzo etico, mentre invece non fu che l’espres-sione della corruzione e della licenza di una classe privilegiata, la quale approfittava dell’ermetico isolamento che i suoi secolari privilegi continuavano ad assicurarle per fare i propri comodi.
Il 18° è il secolo in cui pullulano leggi e decreti per la punizione dei “reati sessuali”. È il secolo che produce, oltre ai “grandi risvegli” religiosi, le associazioni laiche di vigilanza morale.
Si giunge al 19° secolo, dunque, senza che si sia prodotta alcuna modifica sostanziale all’antica visione cristiana dell’amore, introdotta in Europa dal vangelo e dalle interpretazioni ecclesiastiche. Ma con il Romanticismo si produce addirittura la più vasta e profonda crisi della moralità sessuofoba. Ciò non deve meravigliare, se si considera che il pensiero critico moderno, sfociato nell’Illuminismo, indirettamente, aveva scosso i cardini religiosi dei pregiudizi tradizionali.
La risposta della chiesa non si fa attendere. Due fattori politico-sociali vengono posto come soluzioni di tale conflitto. Uno è la Restaurazione con la “difesa della morale cristiana”, l’atro fattore, ben più permanente, si produsse con l’immissione nei ceti dirigenziali nazionali delle nuove classi borghesi, ancora rigidamente fedeli a i principi tradizionali, per determinare quel fenomeno di costume che è passato alla storia con il nome di “Vittorianesimo”.
Il Vittorianesimo si accompagnò come un contrappunto con il movimento romantico, dal suo sorgere alla sua decadenza.
L’epoca vittoriana si accanì contro ogni forma di spontaneità e allegria nella vita quotidiana delle masse popolari. Con il pretesto di promuovere l’osservanza del raccoglimento festivo, di combattere la bestemmia e di abolire l’immoralità, le leghe moralistiche perseguitarono ogni forma di svago e ogni amore prematrimoniale, riducendo quello matrimoniale a una “devota affezione”. Una delle conseguenze più ovvie di tale repressione fu lo sviluppo impresso proprio alla già fiorente industria della prostituzione. Rispetto alle correnti ultrasessuofobiche delle diverse epoche, quella vittoriana si distingue per l’ulteriore, estrema generalizzazione del tabù, esteso fino a coprire non solo le immagini o le cose sessuali vere e proprie, ma anche quelle lontanamente associabili simbolicamente alla sessualità. Perciò nelle case “perbene” il petto e la coscia del pollo o del tacchino venivano tradotte in “carne bianca” e “carne rossa”, ma ciò non bastava: le gambe del tavolo e delle sedie andavano rivestite pudicamente. È comprensibile che parole come gravidanza e ventre furono sostituite con curiosi surrogati quali “stato interessante” e “stomaco”. La masturbazione fu lugubremente combattuta. Furono costruite gabbiette e museruole per il pene dei giovani, e il padre ne teneva la chiave.
Tali filosofie “titaniche e virili”, trasposte sul piano politico, trovarono seguito in tutti gli uomini cresciuti nell’ambiente bloccatissimo e perverso della società decadentista, molti dei quali diventeranno l’élite del governo fascista e nazista, sostenitori di un etica da “superuomini”, e che ora ritroviamo nei gruppi nazional-fascisti di forza nuova e affini. Partendo proprio dal significato dell’amore cristiano, un’efficace lotta che possa iniziare a minare la monolitica morale cristiana, è iniziare a riappropriarci dei nostri desideri, ridefinendo la sfera del piacere o meglio ancora riuscire a liberarsi dalle catene morali che la chiesa è tutti i suoi apparati censori sono riusciti a metterci, trasformare la vana è inutile ricerca per la dimostrazione dell’inesistenza di dio, nella più materiale e dissacrante ricerca del piacere e della libertà.
Tommy
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