L’oggetto del contendere
Anche se, per le persone più accorte, la questione era calda da tempo, è assurta agli onori delle cronache la vertenza pensionistica, vertenza aperta dal governo e non certo dai lavoratori. Dopo l’intervento a “reti unificate” del ducetto italico e la, conseguente, levata di scudi della triplice sindacale da alcuni giorni e, immagino, per diversi giorni ancora, la questione della previdenza pubblica, in Italia, rimarrà all’ordine del giorno.
Vorrei soffermami, piuttosto che sulle questioni di contesto (cosa ha detto questo, cosa ha fatto quello), sulle questioni di merito. A cosa punta l’azione del governo.
Anticipo una conclusione: la sostanza dell’azione governativa è del tutto coerente con le politiche di questo e dei governi precedenti e, nel merito, fatta forse eccezione per parte della CGIL e sicuramente eccezione per i sindacati di base, sia l’opposizione sindacale che quella politica istituzionale (con, anche in questo caso, l’eccezione di Rifondazione Comunista) sono concordi con le linee guida della proposta governativa. Qual’è quindi l’oggetto del contendere?
Per parlare di previdenza pubblica, in Italia, bisogna partire da lontano. Tutto comincia quando Mussolini confisca i beni dei sindacati dei lavoratori (le casse di resistenza e le società di mutuo soccorso) e fonda l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale. L’azione del duce italico non è informata a principi di solidarietà e mutualità ma dalle più impellenti necessità bellicistiche che richiedono ingenti disponibilità patrimoniali da destinare al riarmo. I soldi dei lavoratori divengono quindi bilancio pubblico.
Nel dopoguerra post-fascista anziché ripristinare le condizioni ante-fascismo il compromesso Togliatti-De Gasperi, su questa come su innumerevoli altre questioni, mantiene in vita l’INPS, sottomettendo la gestione previdenziale al controllo politico.
L’altra grande operazione sulla previdenza la fa un altro ducetto italico: Bettino Craxi. Nella metà degli anni ’80 (assieme alla sterilizzazione della scala mobile), Craxi inventa il “debito pubblico allargato”. Tale operazione che sulle prime appare pura “finanza creativa”, tendente a ridurre il peso del debito (in termini percentuali e del tutto relativi) in confronto al Prodotto Interno Lordo, getta le basi per le operazioni che verranno condotte prima da Amato (con un governo di transizione del CAF al bipolarismo) e poi da Dini (con un governo di transizione dal centro-destra al centro-sinistra).
Nel debito pubblico “allargato” o “spesa pubblica complessiva” finiscono anche le pensioni che, in realtà, non sarebbero altro che la restituzione “assicurativa” dei versamenti contributivi dei lavoratori. Amato perfeziona l’operazione craxiana mettendo nel conto economico dell’INPS anche la spesa assistenziale. È un’operazione che vale, all’epoca circa 3 punti percentuali del PIL. Dini, partendo dall’operazione di Amato, considera la spesa dell’INPS antieconomica. Infatti i contributi per l’assistenza pubblica si pagano con l’IRPEF, soldi che incamera il governo e le relative spese si pagano con i soldi delle pensioni; non è un mistero se i conti non tornano! Sulla base di questo trucco contabile che non è mai stato messo in discussione n’è dai partiti del centro-sinistra n’è dal CGIL-CISL-UIL e accoliti, si attaccano i meccanismi di difesa del salario dei lavoratori che erano stati conquistati con duri anni di lotta:
1) viene tolto l’aggancio ai salari, unico, vero, baluardo contro le speculazioni “attuariali” delle assicurazioni pubbliche e private;
2) viene ridotta di circa il 30% la copertura “assicurativa” garantita dal sistema previdenziale pubblico;
3) viene distrutto il meccanismo solidaristico e mutualistico della ripartizione delle pensioni in base ad un reddito medio (anche se non uguale per tutti);
4) vengono, contemporaneamente, tolti i “tetti pensionistici” che erano il corollario del sistema a ripartizione; oggi abbiamo le pensioni di invalidità a 300 euro al mese e (secondo le proposte del governo Berlusconi) il “tetto pensionistico” (del tutto virtuale perché penalizzato per solo il 2% di contributo di solidarietà) di 15.000 euro al mese.
Morale. Già con la riforma Dini la copertura assicurativa delle pensioni scendeva dall’80% del salario a meno del 65% del salario ed aumentava significativamente (di circa 7 anni) il numero degli anni lavorativi necessari a conseguire la pensione. La riforma proposta da Berlusconi è, in confronto, acqua calda. Non voglio certo dire che la si debba lasciare passare ma mi preme sottolineare, dopo averne lette e sentite di cotte e di crude non nei giornali della destra ma in quelli della sinistra, come l’attuale opposizione alla riforma pensionistica sia, quanto meno, tardiva.
Detto questo, qual’è l’azione concreta che si prefigge Berlusconi?
1) accelerare la riforma Dini, portando la copertura pensionistica sotto il 50% del salario entro il 2012;
2) con i soldi risparmiati (è un eufemismo che viene ricorrentemente usato per non dire la verità: con i soldi rubati) poter aumentare le spese militari, di mantenimento dell’apparato statale (anche qui è bene precisare che lo stato non sono l’educazione, la sanità e la previdenza pubblica – nemmeno le municipalizzate -, bensì l’apparato di governo, le carceri, le questure, le prefetture, i partiti) e regalare altri soldi alle sue clientele: industriali, preti , sbirri e fascisti;
3) riaffermare il principio che la previdenza non è di proprietà dei lavoratori ma è di proprietà del governo che ne può fare ciò che gli pare.
Non stanno in piedi le giustificazioni di far lavorare più a lungo le persone anziane. Fatti salvi alcuni settori del pubblico impiego, nel mercato del lavoro la maggior parte dei lavoratori oltre i 50 anni sono “indesiderati”, da rottamare, con cassa integrazione, mobilità lunga e prepensionamenti. Certo, con pensioni da fame, i lavoratori rottamati saranno chiamati all’innalzamento del PIL attraverso lavoro nero, precariato e ulteriore sfruttamento.
Per cosa scendere in piazza, dunque? Non certo per difendere l’esistente! La riforma delle pensioni per la quale vale la pena battersi dovrebbe prevedere:
1) l’immediata restituzione di tutto il patrimonio del movimento operaio alle sue organizzazioni;
2) la costituzioni di fondi pubblici, assolutamente non controllati dal governo, gestiti secondo criteri di mutualità e solidarietà messi sotto un controllo realmente partecipato dai lavoratori;
3) la confisca di tutte le ricchezze eccedenti il 200% del salario medio operaio e la destinazione di queste risorse alla mutualità.
E’ ora di prendere il nostro destino nelle nostre mani!
Walter
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