Sulla bioetica
Che relazione vi può essere tra la bioetica e l’antiautoritarismo?
Perché, dichiarandoci antiautoritari, abbiamo interesse a comprendere, analizzare ed esprimerci in quelle che sono le competenze di una disciplina accademica?
Sicuramente non solo per il “gusto” di contrastare delle semplici teorie, ma perché queste vanno poi a condizionare e a stabilire i criteri giuridici e legislativi soprattutto in materia di sanità e di ricerca scientifica.
La bioetica, se si vanno ad approfondire le peculiarità della sua breve storia, è una disciplina di controllo delle menti e dei corpi degli individui, cioè di quelle scelte che dovrebbero rientrare quasi esclusivamente in un ambito di scelte personali. Le commissioni di bioetica (accademiche, private o statali) hanno il compito principale di stabilire i valori etico-morali, di differenziare le categorie del lecito e dell’illecito.
Una delle definizioni di bioetica è: branchia della filosofia pratica che avanza argomenti giustificativi delle condotte relative al trattamento degli esseri umani, rese oggi possibili dagli sviluppi delle scienze biologiche e dalle loro applicazioni tecnologiche e quindi si occupa di aborto, eutanasia, fecondazione artificiale, medicina predittiva, espianto e trapianto d’organi ecc., ma non di tossicità dei luoghi di lavoro, di genocidi e di guerre! Vi è quindi - e sempre di più - una stretta relazione tra l’insorgenza delle commissioni di bioetica e la volontà d’ingerenza sulle scelte degli individui da parte delle chiese e degli stati.
Il controllo delle menti e dei corpi non serve solo a creare sempre più introiti alle multinazionali della ricerca, ma anche ad imporre ruoli sociali ben definiti che poi garantiscono la sopravvivenza di questo sistema di sviluppo, anche se chiaramente in crisi.
In questo quadro vengono stabilite quali siano le categorie umane di serie B, cioè quelle “adatte” alla sperimentazione: carcerati, immigrati, psichiatrizzati, bambini…
Il concetto stesso di bioetica ci riporta direttamente ad un sistema di valori prettamente cattolico ed infatti la partecipazione di rappresentanti confessionali alle varie commissioni è al quanto significativa, anche se non dobbiamo ignorare gli approcci laici a questa disciplina che però solo in rari casi mettono in discussione il concetto che per la ricerca scientifica il corpo sia solo una merce: anacronisticamente c’è chi, pur di contrapporsi all’irrazionalità religiosa, difende uno scientismo che potrebbe poi minare la stessa sopravvivenza della specie animale (umanità compresa).
Le chiese da millenni basano il proprio potere e la propria propaganda al consenso “garantendo” l’immortalità dell’anima e non possono di certo farsi scavalcare da quei ricercatori che si pongono come obiettivo l’immortalità dei corpi (vedi clonazione) e quella che in prima istanza appare come una contrapposizione filosofica e/o metafisica, si traduce in pratica nella spartizione dei fondi in un business che, essendo gestito sia dalle multinazionali che dai governi, coinvolge gli interessi sia del potere-chiesa sia del potere-scienza.
Se la scienza non è neutra, e quindi non è esente da interessi economici ben mirati, così non lo sono le chiese che oltre a doversi garantire la loro fetta di introiti nel mercato della ricerca scientifica hanno il compito di impartire quei dictat su ciò che ha “valore”, sui limiti del lecito: l’ingerenza sui comportamenti degli individui in materia di aborto, contraccezione, libera sessualità, eutanasia ecc. guarda caso ci rimanda immediatamente all’individuazione del soggetto preferenziale a cui impartire il controllo sociale: le donne!
Le gerarchie cattoliche sottolineano molto spesso quali sono i principali problemi della nostra società: il rischio di laicizzazione dell’occidente e lo smembramento della famiglia tradizionale.
Come fare per mantenere intatta questa fantomatica famiglia tradizionale (cioè patriarcale)? Quali sono i soggetti che possono salvare la società da questi rischi?
Ecco perché questi decenni di papato polacco (che tanto potere ha garantito all’opus-dei continuando la linea tracciata da Pio XII e da Paolo VI, furbescamente scavalcando i piccoli ostacoli interposti da Giovanni XXIII e da Giovanni Paolo I) hanno tanto insistito sul genio femminile; la donna non è essere da denigrare, al contrario nel ridarle dignità ne osanna le grandi e geniali capacità al punto da individuarla come principale soggetto responsabile e capace di risolvere i problemi economico-sociali-morali.
Le donne devono lavorare fuori casa (non importa se la parità salariale non viene garantita) perché non devono essere passive; devono occuparsi di figli, anziani ed ammalati perché, realizzandosi nella loro dote naturale di donarsi agli altri, offrono un alibi allo smantellamento dei servizi sociali pubblici; devono, soprattutto da giovani, fare del volontariato perché così apprendono quello che sarà il compito di tutta una vita, cioè sacrificare i propri desideri ai bisogni altrui; le donne che si impegnano in politica devono occuparsi dei settori assistenziali ed educativi.
Ovviamente una donna così geniale e così dignitosa svolgerà principalmente quel ruolo di pacificatrice sia all’interno della famiglia, sia nella società che la porterà “naturalmente” a compiere scelte contro la propria autodeterminazione: non avrà nemmeno il tempo di porsi domande!
Oltre a queste perplessità sulle conseguenze pratiche di teorie che impartiscono solo valori, senza mai considerare per lo meno la sfera dei diritti, va poi analizzato il criterio “scientifico” che adottano i bioetici prima di giungere alle loro sentenze che spesso è basato solo sull’arbitrarietà, che fino a prova contraria nulla ha di oggettivo.
Si inventano le patologie per poter diffondere le cure; la conferma poi dell’esistenza di una patologia è stabilita dall’efficacia di una cura: se prendo un sonnifero, dormo anche se non sto accusando una particolare stanchezza o una difficoltà a prendere sonno, ma se il sonnifero mi fa dormire vuol dire che ne ho bisogno per addormentarmi e che soffro d’insonnia! È questo un misero esempio, ma spesso i comportamenti socialmente non riconosciuti diventano patologia, le mestruazioni e la menopausa sono un ostacolo alla vita frenetica delle donne produttive e quindi sono patologia da curare; si decidono a tavolino le parti del mondo dove diffondere i virus per svuotare i magazzini delle industrie farmaceutiche; si diffondono le paure rispetto a nuove epidemie per diffondere un concetto di prevenzione che aumenta gli introiti della diagnostica e delle soluzioni chimiche o tecnologiche…
Sono in aumento i T.S.O. come strumento repressivo quando il ricorso al codice penale potrebbe far sorgere dubbi o non essere sufficientemente invasivo. La vivacità dei bambini diventa patologia da curare con psicofarmaci: il controllo chimico sostituisce qualsiasi approccio educativo.
Lo scientismo si presenta come una nuova religione, nei confronti degli esperti dei vari settori dovremmo avere una fede cieca per poi fare il gioco (e la posta è molto alta) di chi eliminando qualsiasi volontà di autodeterminazione e di soggettività consapevole, pianifica un futuro di individui-cavie-robot. Il mito della produttività eliminerà geneticamente ogni diversità?
A mio avviso il dibattito su questi argomenti è solo all’inizio e mi auguro che dal confronto possiamo trovare strumenti di lotta.
Chiara Gazzola
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