da "Contropotere - giornale anarchico" numero 17 - Novembre 2003 - anno 2

Breve appunto sul nichilismo


Comunemente si giudica colui che si astiene dall’abbracciare qualsiasi visione, qualsiasi idea, direttamente un nichilista, poiché altrimenti la sua posizione sarebbe inspiegabile. Come definire come capire altrimenti una persona che non credendo in niente non crede nemmeno di credere niente, cosa diremmo della sua visione o meglio com’è possibile non avercene una, riuscire ad elevarsi al di sopra del giudizio. Diceva Kant che elaborare una concezione sulle cose e quindi sbagliare è una naturale propensione della ragione, ineliminabile. Sicuramente è una propensione della mente creare teorie, ma dire che è ineliminabile forse è un pò troppo. Ma senza alcuna visione, teoria, su che cosa si baserebbe la vita di ognuno di noi, come giustificheremmo le nostre azioni, allora tutto potrebbe essere giusto secondo il nostro piacimento. Non ci sarebbe più giustizia, non ci sarebbe più etica, morale che potrebbe tenere; su che cosa dovrebbe basarsi?
Osservando di più e pensando di meno proviamo a risolvere il problema, se ci spoglia delle matasse di pensiero discorsivo naviganti nella nostra mente e guardiamo proprio dove i nostri occhi possono tranquillamente arrivare, tutto si risolve. È proprio giustificando un’etica o una morale con una teoria che andiamo dritti al nichilismo e non viceversa.
Questa epoca in cui tutte le culture sono ripetutamente messe a confronto in maniera sistematica, più di altre ci dà la possibilità di capire come tutto è opinionabile, confutabile. A tenere in piedi le nostre visioni è sempre di più l’ostinazione o comunque un atto di volontà gratuito, più che una logica coerente.
Ormai gia da tempo anche la fisica che si vantava di poggiare sulla scienza esatta come la matematica è costretta di volta in volta dinanzi a nuove dimostrazioni, e più teorie valide per lo stesso fenomeno, a ritrattarsi, modificarsi, cercare senza successo un’og-gettività che dopo Einstein non ha più trovato. Frequente nelle persone è la tendenza a non credere più in dei principi perché non sa su cosa basarli.
Quando credendo che dei principi siano giustificati da teorie o visioni razionali, sempre un sostrato di incertezza vive dentro di noi e l’animosità con cui le difendiamo è solo testimone della paura di affrontare direttamente quelle domande che ci porterebbero di nuovo ad una situazione di incertezza, di ricerca di un nuovo punto di appoggio; ma appoggio a che? Si sostituisce l’affermazione credere in qualcosa, con appoggiarsi su qualcosa, o aggrapparsi….. difendersi in qualche modo dal mare delle insicurezze in cui rischieremmo di annegare. Si, perché se cade la nostra convinzione su che cosa possiamo poi basare la nostra vita? Tutto cadrebbe nel non senso.
È proprio cancellando il processo di basare la nostra sicurezza sulla concordanza logica di parole che evitiamo il nichilismo. Sapendo che le regole morali, etiche hanno un fine pratico di pacifica convivenza possiamo salvarle dal nichilismo. Solo evidenziandone il loro aspetto pratico ed abbandonando la presunzione che debbano avere una chissà quale spiegazione teorica, possiamo prenderle come oggettive o quantomeno seguirle senza incertezze. Si è così tanto speculato sull’etica che si è arrivati a volte a sottomettere l’evidenza dello sbaglio nella pratica alla teoria.
La nostra vita deve avere un senso, deve avere dei principi, bisogna avere delle basi sicure: sono questi i germi del nichilismo.
Tali germi generano necessità di giustificazioni teoriche che finiranno per ingabbiarci e poi farci scoppiare. Ci si crea una bella teoria con cui ci mettiamo sempre a confronto. Domandiamo di continuo a noi stessi - per esempio - se siamo liberi nella circostanza in cui stiamo vivendo (bloccando l’attimo vitale), secondo la nostra idea di libertà e per questo o per quel motivo non possiamo giudicarci liberi come pensiamo debba essere una persona libera. Bloccando l’attimo vitale con i nostri concetti della libertà, del senso, del mondo etc. ci torturiamo allontanandoci sia dalla conoscenza che dalla vita: “l’uomo è fatto per vivere non per pensare chi pensa troppo finirà per annegare” Borges. Nel momento in cui ci chiediamo se siamo liberi mettendoci a paragone con un immagine di libertà che ci siamo fatti, già più non lo siamo per lo stesso fatto che ce lo stiamo chiedendo e anche perché un immagine una visione non può mai aderire alla realtà. Molte volte il fatto di farsi questo tipo di domande porta allo sviluppo di una strana vergogna. Mi spiego, ho identificato dentro di me una parte di me come condizionato da certi fattori ed una altra parte come libero allora quando mi comporto in modo che secondo me è “condizionato” mi vergogno di ciò che dico o di come mi sto comportando, ma il problema non sono i condizionamenti in sé ma è la stessa analisi che faccio su me stesso. Si perché se mi giudico una continuazione troverò sempre dei condizionamenti in me o delle cose che non rispecchiano nel mio comportamento per qualche motivo le mie idee, per due motivi: primo, i condizionamenti sono ineliminabili in maniera assoluta, il secondo è nello stesso carattere del pensiero che mi sto facendo.
In conclusione astenersi dall’esprimere, creare visioni sulla vita sul mondo può significare osservare sentire, nel senso di percepire e guardare al mondo in maniera pratica, eliminando la propensione ad attaccarci ad una teoria. La conoscenza si genera mediante un processo di decostruzione di liberazione dalle idee e non viceversa.

Francesco Napolitano


 

Indice