Numero 1 - Maggio 2002 - Anno 1

Nomadismo


La critica anarchica alla istituzionalizzazione delle relazioni sociali si innesta in una più ampia critica della civiltà sedentaria, che ha fatto della stanzialità, della fissità la cifra del proprio ordine simbolico e societario, prerequisito di ogni ipotesi di istituzionalizzazione, relegando il dinamismo in sfere lontane dal potere politico (la mobilità sociale, ad esempio).
Un pensiero e una pratica del nomadismo non vogliono dire necessariamente un sentimento di nostalgia nei confronti di un passato mitico che, peraltro, non può ritornare, ammesso che sia auspicabile. La trasformazione delle società nomadi in società stanziali non è opera di élites né di mere volontà di potenza. Tuttavia, così come è avvenuto un passaggio in un senso, se ne potrà dare un altro in un altro senso, lungo un arco di tempo consono a un cambio epocale di acculturazione e civilizzazione materiale e simbolica insieme.
Ma allora a che pro parlare di nomadismo oggi? Che vuol dire pensare nomade, agire nomade? Non certo il globetrotter del facile consumismo turistico, né necessariamente la mistica cult del viaggio nel deserto alle tracce dei Tuareg di turno che sprigionano emozioni mai sopite del tutto in genti stanche e stufe di essere civilizzate a forza e con disagio di esserlo, ma pur tuttavia essendolo costitutivamente.
I nomadi del presente, in carne e ossa, hanno tra le altre cose perso molto del loro aroma perché costretti in qualche modo a cambiare stile dalle condizioni mutate che non rendono più possibile una esistenza realmente nomade, in quanto le terre libere sono state catturate o dagli stati, o dalle economie accentrate.
Allora, pensare nomade è, più limitatamente, una rottura simbolica di categorie consolidate del pensiero della civiltà occidentale; si tratta di sperimentare ansiosamente ma rigorosamente, intensivamente e non gratuitamente, per facili clichés, nuovi modi di pensare fuori dalle tradizionali categorie quali, giusto per dare alcune indicazioni generali, radici, inizio, origine, fine. Del resto, an-archia, dall'etimo greco, significa per l'appunto senza autorità, ma altresì senza origine, ossia senza principi, in entrambi i sensi dati dalle due accentuazioni possibili.
Si tratta di interrompere la memoria con cui si è istruito l'ordine del pensiero nella fissazione inamovibile dei fondamenti da cui non distaccarsi mai, pena lo smarrimento identitario della civiltà, pena l'esclusione nella zona reclusa dello spazio della follia.
Sospensione e fluidità della memoria sono immagini nomadi perché operano una selezione singolare attraverso la quale ciascuno può ritagliarsi la propria pre-biografia collettiva, senza assumere il peso della storia come eredità irrinunciabile da cui non separarsi mai, dietro il ricatto della penalizzazione sociale. Anche dall'etimo questa volta latino, eredità si diceva - e si dice tuttora nel campo del diritto delle donazioni - legato, letteralmente. Ogni commento è superfluo.
L'agire nomade si innesta sull'immagine della mobilità fluida da cui dipartono numerose stilizzazioni al cui interno dati comportamenti trovano radicalità e significazione fuori dall'usuale. In una prospettiva nomade, l'esodo, la refrattarietà, l'apatia radicale, l'estraneazione dai giochi, la sottrazione al potere, denotano modi di incrinare lo spazio bordato del normale per debordare lungo linee di fuga che non sono meramente solipsistiche, individualistiche, ma che rappresentano invece pratiche di tangentalizzazione (dall'espressione geometrica, tangente al punto di una linea curva, non certo dal gergo giornalistico e giudiziario) che inaugurano una dipartita verso una sperimentazione di ciò che non è, di ciò che si pone come altro.


Tratto da "Cruciverba" di Salvo Vaccaro 


 

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