Le vittime di Nassiriya
Nella mattina di mercoledì 12 novembre, a Nassiriya, nel sud dell’Iraq, un camion bomba si è schiantato contro il quartier generale dei carabinieri provocando oltre venti morti e più di ottanta feriti. Tra i morti 12 carabinieri e 5 militari, operatori di pace, come li ha chiamati qualcuno, spediti dal governo italiano, dietro generosa ricompensa in denaro, per sostenere il povero esercito statunitense alle prese con “i seguaci di Saddam Hussein” (è questo il nome che i media hanno attribuito agli iracheni che oppongono resistenza all’invasione americana). Nell'attentato sono morti anche alcuni di quegli iracheni che per uno strano scherzo del destino vengono chiamati “civili” o “incivili” a seconda se siano morti oppure vivi.
L’episodio è stato immediatamente preso a pretesto per il rilancio di una vasta campagna mediatica di esaltazione dei “nostri” eroi nazionali e di demonizzazione del “nostro” nemico, che in maniera più o meno esplicita ci viene suggerito essere il mondo arabo.
Passano quindi in secondo piano gli immigrati morti a decine al largo delle coste italiane, i disastri ecologici che il governo pianifica in nome nostro, le violenze legali compiute in nome della Giustizia nelle aule di tribunale, così come nelle carceri, o nei paesi in cui l’esercito italiano porta la pace (Iraq, Afghanistan, Albania, Kosovo, Bosnia, Serbia, Etiopia, ecc.). L’unica denuncia compatibile con la democrazia e la civiltà diventa quella della violenza del terrorismo e dell’attacco subito dalla Nazione. L’unica soluzione proponibile consiste nell’incremento del militarismo, della repressione, del terrore di stato giustificato dall’eccezionalità del momento.
Tanto per non sbagliarsi, i politicanti del nostro paese hanno preso in prestito dai loro colleghi americani, l’idea di fare delle vittime della propria politica il simbolo dell’unità nazionale, facendo dei carabinieri italiani in Iraq, quel che i pompieri americani furono per la tragedia dell’11 settembre.
Peccato che sia visibile anche ai più ingenui come l’episodio di Nassiriya sia totalmente comprensibile, se non giustificabile, in una logica di guerra che vede i militari italiani dalla parte degli invasori. Nessuno può realmente credere alla propaganda governativa, che dipinge l’invio di truppe armate come un generoso aiuto umanitario. Se il bombardamento mediatico non fosse iniziato da un tempo purtroppo già sufficiente ad averci totalmente rincoglionito, sarebbe evidente a tutti l’impossibilità di accostare termini quali “esercito” e “aiuto umanitario”. A cosa servono aerei da guerra e carri armati se lo scopo è quello di offrire viveri, elettricità ed assistenza sanitaria?
È un'evidenza logica, oltre che un insegnamento della storia, il fatto che la missione di un esercito consista nell'uccidere, affamare, stuprare ed umiliare la popolazione del territorio che occupa.
È quindi insito in questa sua funzione il rischio che ciascun soldato corre di essere ucciso da una di quelle che dovrebbero essere le sue vittime, giacché l'uomo, per sua natura, non si lascia ammazzare tanto serenamente.
Ciò è talmente vero che i militari giurano, di fronte alle autorità, di essere pronti a morire nello svolgimento delle operazioni succitate, per un ideale che chiamano “Patria”.
Se si crede nella sincerità di tale giuramento, le “vittime di Nassiriya” vanno considerati come dei coraggiosi caduti per una causa superiore e quindi esempio da seguire oppure nemici valorosi, a seconda che si condivida o meno il loro ideale; in ogni caso vittime di null’altro che di se stessi. Al contrario, se si considera come motivazione del militare o del carabiniere quella che può giustificare qualsiasi mestiere, ossia il ricatto economico in cui ciascuno di noi è costretto a vivere, allora il termine “eroi” assume una connotazione drammaticamente ridicola: è la beffa, dopo il danno, riservata a coloro ai quali lo Stato assegna la funzione di carne da macello.
Non credo sia possibile trovare una causa unica dietro la decisione che porta degli individui a vestire l'uniforme ma, in ogni caso, mi riesce difficile pensare sia che siano semplicemente assetati di sangue sia che siano sufficientemente idioti da amare la schiavitù dell'autorità. Tuttavia questi elementi, assieme alla sete di denaro, sono gli unici che mi vengono in mente per giustificare tale scelta. Una scelta che inevitabilmente conduce a combattere ed uccidere uomini che non conosci, per interessi altrettanto ignoti, delegando una volta per tutte la tua capacità di decidere e ragionare a chi ha più stellette sulla propria divisa. Rinunciando alla possibilità di esercitare liberamente la propria volontà, i soldati perdono la propria natura di esseri umani per diventare macchine da combattimento, nelle mani di altri uomini. Per questo, sebbene in un certo senso essi siano, come gli altri, vittime di un ordinamento sociale fondato sulla violenza e la prevaricazione, non è possibile per chi ama la vita (e quindi gli uomini) provare alcun sentimento di solidarietà nei loro confronti.
Personalmente non ho provato alcuna sensazione di piacere apprendendo della strage di Nassiriya, forse perché mi riesce difficile odiare qualcuno che non ho mai visto in faccia (e mi rendo conto di quanto poco ciò sia razionale). Tuttavia comprendo le reazioni di chi ha voluto opporre alla celebrazione degli eroi nazionali, il proprio compiacimento per quelli che hanno definito, non senza ottime ragioni, “17 assassini in meno”.
Ciò è perfettamente giustificabile,
perché la vera solidarietà, che non ha niente a che fare con la carità cattolica che i privilegiati possono concedersi il lusso di esercitare, ha per base un riconoscimento di uguaglianza, impossibile nei confronti di un soldato, almeno da parte di chi non accetterebbe mai di distruggere la propria e l’altrui vita in nome dei principi di patria e obbedienza;
perché sarebbe un ulteriore ingiustizia della società il preservare i principali responsabili delle atrocità che la guerra comporta dall’odio degli oppressi che le subiscono (sia dentro che fuori il paese in guerra).
Allora lasciamo che a piangere questi nostri connazionali siano coloro che li hanno mandati al macello. Sebbene sia difficile credere alla sincerità del loro pianto, fanno bene essi ad esser tristi poiché quei giovani pronti a morire per l’Italia, se non saranno sostituiti da altri ugualmente votati al martirio, erano condizione necessaria al mantenimento del loro potere. A noi anarchici, libertari ed antimilitaristi, spetta far sì che tale condizione venga a mancare al più presto.
Orazio
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