da "Contropotere - giornale anarchico" numero 19 - Gennaio 2004 - anno 2

Il gatto selvaggio


Stendo queste note mentre si sviluppa l’iniziativa per costruire lo sciopero del 30 gennaio indetto dal Coordinamento di Lotta degli Autoferrotranvieri che raccoglie i sindacati alternativi presenti nel settore del trasporto urbano e consistenti gruppi di lavoratori non organizzati dal punto di vista sindacale o che fanno ancora riferimento ai sindacati istituzionali.
Dalla riuscita di questo sciopero dipende molto ma, come si suol dire, il futuro riposa sulle ginocchia degli dei ed a noi sta solo di fare la nostra parte.
Un dato che colpisce in queste settimane è l’alone di simpatia che circonda gli scioperi. Lascio ad altri la dubbia pretesa di fare ed esibire sondaggi attendibili, mi limito a partire dalla mia diretta esperienza e da quella di molte persone che frequento. È evidente che, nonostante questi scioperi abbiano creato problemi reali a molte persone e nonostante la campagna del governo e dei sindacati istituzionali a difesa degli “utenti”, molte persone abbiano visto e vedano negli scioperi degli autoferrotranvieri un segnale di rivolta e di rottura della gabbia di ferro che condiziona la possibilità dei lavoratori, di tutti i lavoratori, di esprimere la loro contrarietà al degrado che viviamo.
Persino i tentativi di presentare gli autoferrotranvieri come dei privilegiati ben pagati e scarsamente operosi non ha funzionato come l’avversario si aspettava e sappiamo bene come la gretta invidia reciproca fra i diversi settori della working class abbia potentemente funzionato per favorire la frantumazione politica della classe: lavoratori industriali contro pubblici dipendenti, precari contro lavoratori con un posto fisso, giovani contro anziani e via dicendo. L’azione, insomma, ha avuto il potere di cambiare il quadro di riferimento di ogni discorso sulla questione sociale assai più di diecimila discorsi magari ben argomentati e fondati.
Non sto, naturalmente, negando la funzione positiva di un discorso critico sull’esistente ma ponendo l’accento sul fatto che la critica teorica e la volenterosa propaganda trovano nella prassi la loro verità pratica e ne vengono straordinariamente arricchite, verificate, potenziate.
Mi vengono in mente, mentre rifletto sugli scioperi degli autoferrotranvieri, le similitudini e le differenze rispetto alla “lotta sporca”, alla radicale mobilitazione dei lavoratori delle imprese di pulizia della FS che, nell’inverno – primavera 2002 paralizzarono il traffico ferroviario, diedero vita a coordinamenti di lotta, si opposero con tutti i mezzi che furono in grado di utilizzare ai licenziamenti di massa ed al degrado delle loro vite.
Si trattò di una lotta, come quella degli autoferrotranvieri straordinaria, come quella degli autoferrotranvieri toccò il delicato settore del trasporto e riuscì a bloccare parzialmente i processi di espulsione dal lavoro di migliaia di persone nonostante le minacce di gravi sanzioni contro gli scioperanti, minacce che furono vanificate dalla mobilitazione di massa che rese impraticabile la repressione.
Vi è, però, una differenza importante, noi sappiamo bene che i lavoratori delle imprese di pulizia sono gli iloti della moderna società industriale, il sottoproletariato all’interno del proletariato sia per reddito che per garanzie. La loro rivolta, che ha assunto immediatamente caratteri radicali, era, da questo punto di vista, “normale”.
Al contrario, gli autoferrotranvieri sono un settore centrale della working class, un segmento di forza lavoro che per competenze, collocazione produttiva, coesione interna ha sempre giocato un ruolo importante dal punto di vista politico e sindacale.
Ricordo, per personali esperienze e frequentazioni, i Comitati Unitari di Base che si svilupparono all’ATM di Milano nel 1969 e il legame con una storia decennale di lotte e di organizzazione che stava alle loro spalle e che rimandava agli scioperi del 1944 svoltisi sotto l’occupazione tedesca e pagati con la deportazione e la morte di molti lavoratori.
La loro mobilitazione è un segno che non ne può più lo stesso corpo centrale della classe, quel segmento sociale dalla cui, relativa, tranquillità dipende la stessa tenuta dell’ordine sociale.
Dunque gli scioperi degli autoferrotranvieri hanno posto all’ordine del giorno la questione salariale. Il continuo impoverimento della massa dei lavoratori dipendenti, quell’impoverimento che è stato concertato fra padronato governi e sindacati e presentato come inevitabile, è oramai non tollerabile e, soprattutto, non tollerato.
Già da alcuni anni il porsi come centrale della questione salariale era evidente ma la lotta degli autoferrotranvieri ne ha svelato il carattere radicale e ha lanciato un preciso segnale all’assieme della classe: è possibile rompere la gabbia della concertazione e della legislazione antisciopero, è possibile farlo collettivamente, è possibile vincere.
Contemporaneamente, la lotta degli autoferrotranvieri pone in evidenza gli effetti devastanti della precarizzazione della working class. Le imprese del trasporto urbano, come tutte le imprese, hanno usato a man salva la legislazione che ha destrutturato il mercato del lavoro e l’impossibilità per i lavoratori di opporsi sino a quando restavano sul terreno della legalità per assumere personale con Contratto di Formazione Lavoro riducendone radicalmente retribuzioni e diritti di un numero crescente di lavoratori. La lotta ha ricomposto il fronte fra lavoratori fissi e lavoratori assunti con CFL. Un altro segnale importante delle possibilità di ricomposizione di un fronte di classe sulla cui scomposizione si è prodotta una letteratura sin troppo vasta a fronte di una disponibilità all’intervento pratico e quotidiano da parte degli stessi compagni, a mio avviso, sovente inadeguata. Penso, a questo proposito, a quanto si va sviluppando nell’universo del feudalesimo industriale del call center.
Gli scioperi, questo è evidente all’ultimo somaro, hanno funzionato perché non hanno rispettato la legislazione antisciopero. Non si tratta, almeno a mio avviso, di fare un’apologia, tanto stupida quanto deviante, dell’illegalità. L’illegalità non è un valore in sé, altrimenti il barista medio che non batte lo scontrino quanto ti serve il caffè sarebbe un’avanguardia della rivoluzione sociale. Il vero passaggio a nord ovest per il movimento di classe è la presa d’atto che solo l’esercizio della forza collettiva su precisi obiettivi permette di ottenere dei risultati e che questa forza si esercita solo se si è in grado di spezzare i vincoli che l’avversario ci vuole imporre. A questo punto, la norma appare esattamente per quello che è: uno strumento delle classi dominanti e dello stato per imporre il proprio dispotismo e come tale viene trattata. Scioperando fuori dalle norme gli autoferrotranvieri si sono bruciati i vascelli alle spalle e hanno imposto, al di là di qualsiasi progetto precostituito, nuove regole del gioco.
Il movimento degli autoferrotranvieri è stato spontaneo, questo è evidente, se abbiamo chiaro che spontaneo non vuol dire cieco ed irriflesso.
Certo, le contraddizioni fra sindacati istituzionali e governo, fra enti locali e governo centrale, fra aziende e ceto politico, fra segmenti del ceto politico hanno favorito lo sviluppo del movimento. Ma dicendo questo non facciamo che prendere atto di un fatto abbastanza ovvio, le contraddizioni dell’avversario sono un fattore favorevole al movimento di classe.
Quello che conta è che le contraddizioni interne ai dominanti hanno dato spazio all’emersione della contraddizione radicale fra lavoro e capitale, fra dominanti e dominati.
Il sindacalismo alternativo presente nella categoria, e non solo, ha svolto un ruolo importante non nel suscitare il movimento, cosa che non pretende minimamente di aver fatto, ma nel fornire, al di là della sua consistenza associativa, strutture di coordinamento, sedi di confronto, strumenti di elaborazione, reti di solidarietà. Non è, a mio avviso, poco. Vi sono segnali importanti di un suo significativo rafforzamento che, comunque, si misurerà, inevitabilmente, nei tempi medi.
Oggi abbiamo dinanzi alcune precise questioni:
Continuare e sviluppare il lavoro di informazione critica sulla vertenza del trasporto urbano.
Favorire l’estensione della mobilitazione ad altre categorie ed aziende. È vero che i lavoratori del trasporto hanno un potere contrattuale specifico ma è anche vero che tutti i lavoratori possono trovare strumenti di azione efficaci.
Organizzare la solidarietà ai lavoratori che rischiano sanzioni e peggio. Non dimentichiamo, visto che siamo in argomento, che quattro lavoratori delle ferrovie sono stati licenziati per aver denunciato in una trasmissione televisiva lo stato di abbandono delle ferrovie.
Un percorso impegnativo ma, credo sia evidente, interessante.

Cosimo Scarinzi


 

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