Bolle sanitarie
Nei paesi dominati dal sistema capitalistico il concetto di sanità pubblica è ad un bivio. I cittadini sono, nel contempo, spettatori e pedine di una gara tra governi, a quale di essi è più rapido ed efficiente nel progressivo smantellamento di servizi pubblici. Forze reazionarie e lobbies professionali martellano, con costanza e con foga estirpante, sui cardini culturali e sociali che legittimano ancora, pateticamente, la sussistenza delle strutture sanitarie pubbliche.
Sul suolo italico il percorso è più accidentato perché il ceto dirigente, protagonista di questa rampante svolta culturale, si alimenta, da sempre, delle risorse pubbliche, da esse trae linfa, e si guarda bene, pertanto, dal mettere in discussione l’organizzazione gerarchica e strutturale su cui è impostato il proprio potere. Ma la funzione della sanità pubblica è in declino proprio per l’inadeguato ufficio svolto dalle cariche dirigenziali, manageriali, la cui politica è responsabile dell’impaludamento delle risorse sia umane che economiche, di cui l’alto grado di burocratizzazione della attività sanitaria è testimonianza. Mentre l’originaria funzione sanitaria medica, assistenziale e scientifica, è dispersa in piccole, stagnanti e convulse realtà che, caparbiamente, si affannano a prestare un buon servizio all’utenza, l’azione amministrativa apicale è ovunque uniformata dalla sterile accondiscendenza di privilegi ed interessi, aggiornati nella perenne istituzionalità, invocati ed evocati da clientele partitiche e da gruppi di pressione corporativi.
Uno sguardo a realtà a noi note, nell’ambito della provincia Sud di Napoli, conforta le considerazioni fino ad ora esplicate: negli Ospedali, strutture cristallizzate da decennali accumuli di incomprensibilità operativa, le aree di Pronto Soccorso sono utilizzate da un gran numero di utenti alla ricerca di prestazioni ambulatoriali non fronteggiate dalla medicina di base, ovvero dai cosiddetti medici di famiglia, e tale affollamento condiziona la persistenza di disagi, qualità di lavoro scadente, prestazioni precarie, tale da sfiduciare l’utenza e da indurre i pochi medici destinati al servizio a sollecitare repentine vie d’uscita verso altri lidi. Non manca molto che si dovrà fare ricorso a medici extracomunitari, secondo la squallida definizione di stato, per coprire i vuoti lasciati dagli operatori italiani. In Italia, è un paradosso perché sussiste da anni un alto rapporto tra medici e popolazione, tale da indurre, manu militari, l’introduzione dell’accesso selezionato alla facoltà medica, incivile strumento di manipolazione sociale. Come sempre il disordine vige laddove si alimentano e si cristallizzano privilegi di casta e professionali.
C’è necessità, piuttosto, di una radicale trasformazione e riorganizzazione della struttura sanitaria, su basi egualitarie e socialmente utili, tale da divellere, dalle tante nicchie che incrostano la sanità pubblica, quelle figure professionali che o consapevolmente latitano nei meandri istituzionali o inconsapevolmente sono mortificate da una cattiva organizzazione. A partire dal Pronto Soccorso che deve dare risposte efficaci e rapide, anche per prestazioni che non richiedono necessariamente urgenza, e pertanto deve essere fornito di un gran numero di medici per turno anche venti, trenta e più, a secondo del volume dell’utenza, affinché migliorino le prestazioni sanitarie, le condizioni e la qualità del lavoro, anche delle branche specialistiche e si realizzi un equilibrio di ruolo nell’ambito della medicina generale.
Drammaticamente le cariche manageriali sono indirizzate vero tutt’altra direzione, cioè verso il consolidamento di privilegi e gerarchie. Certo non si pretende dalla loro piccolezza una visione che possa andare oltre la gestione del presente, ma si pretende che tengano conto di indiscutibili fatti che affliggono la sanità pubblica nel nostro territorio: abuso di precarizzazione per tante figura professionali, dai sanitari ai tecnici, tutti fondamentali per il funzionamento di una struttura ospedaliera; carenza cronica di fondamentali strumenti diagnostici e terapeutici; abuso del convenzionamento esterno per cui si pagano centinaia di euro a turno per colmare i vuoti ordinari a determinati e “selezionati” specialisti; scarsa funzionalità di decine di ambulatori e servizi, sul territorio, perché non adeguati ai bisogni locali.
Drammatico è anche il tenore delle proposte offerte da tanti operatori a fronte di tanta confusione organizzativa: far pagare il ticket per ogni prestazione, anche in pronto soccorso. No, e poi no perché il servizio è e deve rimanere pubblico e per migliorarlo ci vuole altro, basta scardinare il grasso dagli occhi.
La sanità pubblica ha bisogno di trasparenza ed efficacia (l’efficienza è un’altra cosa e la lasciamo agli stronzi), ma soprattutto necessita di essere salvaguardata quale patrimonio di tutti per una società di uomini e donne liberi ed uguali.
ARo
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