Sull'antifascismo
Esistono due ordini di motivi per cui, a quasi sessanta anni dal quel 25 aprile 1945 passato alla storia come il giorno della “Liberazione”, avvertiamo ancora la necessità di parlare di antifascismo e dei mezzi attraverso cui praticarlo.
Il primo è che sempre più numerosi sono i gruppi di destra (ironia della sorte anche loro divisi in “buoni”, come Alleanza Nazionale e Lega Nord, e “cattivi”, del genere Forza Nuova) che, oltre a richiamarsi pubblicamente ai “valori” di patria, razza e simili idiozie, si dilettano in vigliacche aggressioni contro compagni e più in generale contro tutti coloro che essi considerano inferiori. Peccato che essi si guardino bene dall’attaccare chi non sia in condizioni di inferiorità fisica o numerica e che mai decidano di rivolgere la propria virile aggressività verso gli esponenti di quel mondo capitalista di cui pure si dichiarano avversari. Con quel mondo, quello dei padroni e dei potenti, non riescono che ad andare a braccetto poiché nessuno come loro è in grado di diffondere fra gli sfruttati giustificazioni ideologiche della miseria e dell’oppressione e nessuno come loro è ben ripagato dallo Stato della propria opera servile. Il loro culto della nazione, o meglio di alcuni eroi nei quali essa è impersonificata, come i carabinieri “morti per la pace” a Nassirya, resta il più solido fondamento ideologico dell’autoritarismo e del militarismo che invadono la nostra società. L’invenzione di un superiore interesse nazionale accomuna l’ultimo degli sfruttati al più potente dei capitalisti, stringendoli attorno alle imprese del “nostro” esercito contro i nemici esterni dell’Italia, così come attorno all’opera di repressione, da parte di polizia e magistratura, dei nemici interni, di volta in volta additati dai media borghesi (dalle BR agli anarchici, passando per gli immigrati musulmani).
A guardare un programma politico come quello di Forza Nuova balza agli occhi la compatibilità, se non la coincidenza, di interessi con quella stessa classe dominante che i neofascisti dicono di voler soppiantare: basti pensare a principi quali quello di “tutela della razza”, utile tanto al potere clericale come giustifica delle leggi liberticide che esso riesce ad imporre sull’aborto, la fecondazione assistita e molto altro, quanto alle lobby imprenditoriali che riescono a presentare gli omicidi legali delle varie Bossi-Fini e Turco-Napolitano come un meccanismo di salvaguardia degli interessi nazionali.
È assolutamente prioritario smascherare questi padroni travestiti da ribelli, attaccandoli nei loro interessi e rifiutando la logica democratica del “rispetto delle idee altrui”, anche quando l’idea consiste nel fatto che devi essere sfruttato, bastonato e incarcerato senza mettere in discussione il sistema che consente la tua tortura. L’autorganizzazione per la difesa dalle azioni squadristiche di chi vuole imporre un modello di società in cui non c’è posto per noi è dunque necessaria e non può che fondarsi sull’azione diretta e la solidarietà fra gli oppressi.
V’è però un altro aspetto del nostro antifascismo che è, se possibile, ancor più importante della lotta ai fascisti e alle loro strutture di potere: la consapevolezza che senza la distruzione dell’attuale ordinamento sociale i valori fondanti del fascismo (gerarchia, intolleranza, repressione, obbedienza e sottomissione) continueranno a dettare la condotta delle nostre vite, anche se noi li ripugniamo. Questa consapevolezza coincide con la capacità di comprendere quanto fascismo sia entrato nella nostra vita: nei rapporti personali di subordinazione uomo/donna, padre/figlio, lavoratore/disoccupato, così come nelle nostre convinzioni quando ci schieriamo pro o contro un popolo, una categoria di lavoratori, un certo gruppo sociale o un suo presunto rappresentante. Per questo occorre mettere continuamente in discussione tutto ciò che, al lavoro, in famiglia, per strada e anche fra compagni, consideriamo un prodotto della volontà altrui contro cui non possiamo far niente o una regola a cui uniformarci nostro malgrado.
Le regole della nostra vita siamo noi stessi a deciderle né, essendo anarchici, avremmo voglia di imporle a qualcun altro che non le condivida. Si tratta solo di valutare quanto siamo in grado di mettere in pratica ciò che teorizziamo e magari di modificare le nostre teorie, ma è vigliacco e disonesto il ritenere le proprie idee e le proprie azioni ininfluenti rispetto all’esistente (altrimenti perché mai pensare le une e compiere le altre).
Rifiutando quindi di delegare ad altri le scelte della nostra vita, non ci resta che distinguere da soli ciò che è bene da ciò che è male ed agire di conseguenza, assumendoci le nostre responsabilità.
È solo riconoscendoci come parte integrante della volontà collettiva di conservazione del sistema dominante che possiamo evitare di perdere di vista l’opzione della rivolta.
Orazio
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