L’altro “come” della reazione
Da più di un anno abbiamo assistito ad un’indiscriminata “guerra santa” contro realtà coesistenti in un globale e autonomo Movimento anticapitalista, antimperialista, antimilitarista e pacifista, generalizzato e voluto dai mass-media come espressione antagonista unitaria “no global”. Le differenze tra le diverse voci dell’unico coro spesso non hanno avuto importanza per gli spettatori; al contrario, sono state fondamentali sia all’incontro-scontro dialettico delle varie forze scese in piazza, sia ai condottieri dell’astuta repressione.
A tempi diversi sono state infatti indicate, scelte, messe in primo piano, isolate e poi incriminate le differenti espressioni di un Movimento in crescita. È toccato inizialmente ai militanti del Sud ribelle e ai disobbedienti di altre regioni: associazione sovversiva e ovviamente indagini, perquisizioni e arresti. Bisognava poi alzare il clima ed ecco che spunta il pericolo delle neo BR, dei CARC, dei nuclei antimperialisti del nord est; il vocabolo preferito è diventato terrorismo comunista leninista: indagini, perquisizioni e arresti. All’appello mancavano gli anarchici, per i media i più duri da individuare e sconfiggere: non hanno gerarchie, organizzazioni autoritarie, codici e morale. In ogni antagonista si cela il terrorista individualista o il più temibile organizzatore, insomma l’anarchico. Inizialmente esplodono bombe: collaborazione tra leninisti e anarchici! Nessuno sa dove si nascondono, cosa pensano, come si muovono (nessuno neanche si chiede quale potrebbe essere il senso di quest’inedita formazione!).
Nella psicologia massificata dire “sono stati gli anarchici” o “è stato il demonio in persona” è quasi la stessa cosa: il pericolo esiste ma nessuno sa individuarlo. Ottimo! Il clima di diffidenza, paura e terrore è diffuso; inventiamo ora un’ipotetica associazione, facciamoli incontrare, materializziamo il pericolo, la gente è stanca e vuole che le istituzioni diano risposte. Cosa ne viene fuori? Qual è il nome di quest’associazione criminale? Ovviamente FAI, ma non come Federazione Anarchica Italiana bensì come Federazione Anarchica Informale! Nessun organo d’informazione mette a fuoco questa differenza e l’opera è completa. Nuove bombe esplodono, partono nuove indagini, e ovviamente perquisizioni e arresti. Intanto molti dei disobbedienti entrano o rientrano nel partito della Rifondazione Comunista e il Movimento, ormai disgregato, è lasciato lentamente a morire.
Che la repressione sia stata intelligente è inutile dirlo, ma che molti dei cosiddetti sovversivi, di qualunque scuola, si siano comportati da ingenui (permettetemi il termine) non è perdonabile. Nel momento in cui l’attenzione e la bufera poliziesca, si spostava (e si sposta) a turno da una realtà all’altra, da uno schieramento all’altro, da un gruppo all’altro, non sempre c’è stata coerente solidarietà, anzi! Cadendo direttamente nella gigantesca trappola, il risultato ottenuto dallo Stato è stato duplice: incriminare agli occhi dei “benpensanti” l’intero Movimento e spaccare il Movimento stesso grazie ai sui aderenti. Come? Nelle diverse fasi della repressione, ho sentito spesso frasi del tipo: “perché solidarizzare coi disobbedienti? E perché con i CARC, fondati da ex-terroristi?” E ancora: “se i nuclei antimperialisti del nord-est sono implicati nell’omicidio Biagi, perché essere solidali? Questo con noi non c’entra!” Ed ora: “perché avere a che fare con gli anarchici se noi non siamo anarchici? La televisione ci ha fatto vedere chi sono gli anarchici!” L’informazione di Stato aveva il compito di rincoglionire le masse teledipendenti e non i compagni, che ora, dando retta a quelle false informazioni, fanno anche distinzioni tra solidarietà giusta e solidarietà cattiva, isolandosi fra loro in inutili intransigenze dottrinarie, senza riflettere che, in questo modo, completano la lunga e capillare opera repressiva. Eppure sanno che l’informazione è falsa e che il reato commesso delle persone, a diversi tempi indagate, si chiama reato di pensiero! Sanno che i cosiddetti crimini a loro attribuiti spesso non esistono e che sono stati fabbricati in un unico cantiere.
E davanti all’attuale repressione se i gruppi sono isolati e divisi su posizioni fra loro conflittuali, rivendicando i meriti e attribuendo le colpe di ciò che è stato, si espongono inevitabilmente ad una facile e rapida reazione. La storia a volte ci fornisce il copione di molte situazioni, e quello che sta avvenendo l’abbiamo già letto: la sconfitta arriva nel momento in cui le diverse realtà vengono intelligentemente fatte dividere.
Personalmente non penso che in questi tempi sia utile riflettere se il mio “diverso mondo possibile” sia uguale o meno dal “diverso mondo possibile” di un compagno di altra scuola politica: ciò che conta ora è ricompattare il Movimento, collaborare con chiunque voglia realmente modificare, cambiare e ribaltare l’attuale mondo: quello in cui ci costringono a vivere. Quello in cui ci costringono a lottare.
Edoardo per il Centro Studi Libertari AQ
centrostudi_aq@hotmail.com
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