da "Contropotere - giornale anarchico" numero 22 - Aprile 2004 - anno 3

Infanzia da psichiatrizzare?


È un’emergenza. C’è chi, tra gli addetti del settore, la definisce un genocidio culturale, ma non vorrei generare fraintendimenti; da sempre la psichiatria, spacciandosi per una scienza, definisce i comportamenti di alcune persone patologici sulla base di diagnosi che non hanno parametri oggettivi: un simile comportamento diventa psicosi, o rimane nella sfera di una non meglio definita “normalità”, solo per una casualità… le varianti le offrono il contesto, le relazioni sociali, il giudizio medico.
Quando il metodo utilizzato per giungere alle diagnosi è arbitrario, non ci si può aspettare certo una prassi scientifica nemmeno sulla cura; il rischio che però stiamo correndo ora in Italia è che, a farne le spese, siano i bambini: le nostre bambine e i nostri bambini che fino a poco tempo fa consideravamo vivaci perché particolarmente intelligenti e vivi e che ora rischiano di essere bollati come ammalati perché, quella loro stessa vivacità, deve subire un controllo che li renderà probabilmente più idonei a quell’appiattimento culturale funzionale ad una società repressiva ed autoritaria. Non penso di esagerare, veniamo ai fatti.
In sei province (Cagliari, Rimini, Pisa, Lecco, Milano, Roma) si è da pochi mesi conclusa una sperimentazione, denominata Progetto Prisma, atta a diagnosticare l’ADHD (disturbo dell’attenzione e iperattività) su bambini dai 5 ai 12 anni di età; sono stati distribuiti dei questionari contenenti un elenco di domande (spesso muove le mani o i piedi o si dimena sulla sedia… si lascia scappare la risposta prima che la domanda sia terminata… non riesce a concentrarsi o fa errori di disattenzione in alcune attività… dorme in modo normale… vive in un mondo tutto suo… conosce la differenza tra realtà e fantasia… fa ciò che ha promesso… dice cose che difficilmente si capiscono… è sincero… sa aspettare il suo turno) a cui si poteva rispondere: per nulla, abbastanza, molto, moltissimo.
Dalla comparazione delle risposte (insegnanti e genitori), che presuppongono unicamente una valutazione soggettiva del comportamento dei bambini, si è arrivati a diagnosticare i soggetti affetti da ADHD, sulla base di 6 risposte positive su 9; rilevante il dato del 4% che i promotori si erano prefissati ancor prima della distribuzione dei questionari. Tra i fautori di questa “nuova malattia” spicca l’AIDAI (scuola comportamentista); si legge nel loro sito: “dalla genetica si è appreso che la partecipazione poligenica potrebbe essere la principale responsabile dell’insorgenza di questo fenotipo comportamentale (…) l’eziologia è ancora ampiamente incerta (…) numerosi autori sostengono un malfunzionamento nelle aree pre-frontali del cervello (…) un bambino diventato adulto consolida una patologia vera e propria quale tossicodipendenza, sociopatia, disturbi dell’umore (…)”; altre fonti specificano: “i soggetti non completano l’obbligo scolastico, hanno pochi amici, mostrano maggiore frequenza di gravidanze prima dei vent’anni, di incidenti stradali”.
In tutta Italia l’AIDAI insieme all’AIFA (associazione familiari ADHD) sta organizzando conferenze di informazione sulla patologia.
Sono stata ad uno di questi incontri e gli esperti tenevano a specificare che non interessava loro promuovere la cura farmacologica, ma fare opera di proselitismo sull’ADHD, per cui hanno insistito moltissimo sul concetto della causa organica: se i bambini mostrano poco interesse per le attività che vengono loro proposte non ci dovremmo assolutamente interrogare sulla relazione che sappiamo instaurare con loro e questo significa assolvere totalmente anche i metodi educativi imposti dalle strutture scolastiche. Alla mia domanda su quale fosse la differenza tra un bambino vivace e uno affetto da ADHD, la risposta della psicologa è stata: “un bambino di cinque anni che in chiesa non sta zitto e fermo è un iperattivo”! Alla domanda sulla metodologia scientifica usata per accertare la diagnosi, la risposta è stata: “se la cura è efficace, la diagnosi è esatta”!
L’AIDAI afferma di non voler parlare di farmaci, ma ci pensa la CUF (Commissione Unica del Farmaco) che dichiara quanto la decisione di reintrodurre il Ritalin in Italia è motivata “dall’elevata incidenza dell’ADHD (350.000 casi fin’ora diagnosticati) e dall’assenza di farmaci alternativi”.
L’obiettivo dell’AIDAI è invece principalmente quello di aprire centri specializzati per la cura delle malattie mentali infantili, ovvio quindi che stiano cercando di accaparrarsi le risorse economiche che stanno per essere stanziate, che abbiano bisogno di appoggi politici e di utenza. Per quanto si nascondano dietro supporti psicologici, parent training, psicomotricità ecc. appare evidente che il binomio Ritalin/ADHD sia inscindibile (si tenga presente che Zuddas, il referente cagliaritano della sperimentazione sull’iperattività infantile, ha da poco dichiarato che un bambino su quattro soffre di psicosi accertate e questo potrebbe significare che dopo essersi inventati questa patologia, ne “scopriranno” altre) e che la spinta della Novartis (multinazionale distributrice del Ritalin) sia a dir poco plausibile visto che il Ritalin, considerato dall’OMS uno dei duecento farmaci più pericolosi, era stato ritirato dal mercato nazionale. Il Ritalin è un metilfenidato, cioè anfetamina, classificato in Tab.I insieme a cocaina ed eroina, ma recentemente è stato declassato in Tab.IV senza che vi sia stata alcuna variazione nel dosaggio; sui bambini questa anfetamina ha un effetto calmante e quindi è ritenuto particolarmente efficace, anche perché li rende miracolosamente attenti in attività di concentrazione anche per un lasso di tempo molto lungo (in alcuni casi troppo lungo). 
Gli effetti collaterali vanno dall’inappetenza ai disturbi di crescita, da scompensi cardiocircolatori alla morte! Si verificano danni accertati ai neurotrasmettitori, inoltre l’inevitabile assuefazione “consiglia” l’assunzione di sostanze come il Prozac e il Risperdal e altri psicofarmaci.
Questi dati ci provengono dagli USA, dove da circa quindici anni il Ritalin viene prescritto su 6 milioni di bambini, alcuni dei quali ormai sono adolescenti ed è la stessa DEA (Drug Enforcement Administration) che mette in relazione l’assunzione di psicofarmaci con episodi di eccessiva aggressività e di autolesionismo. Negli USA ai genitori che rifiutavano la cura psichiatrica imposta ai loro figli veniva tolta la tutela, ma recentemente la Novartis è stata citata a giudizio per sovrapromozione di ADHD e di Ritalin e per la cospirazione attuata insieme all’associazione psichiatrica americana e al CHADD (un’associazione familiari che ha ricevuto finanziamenti dalle multinazionali farmaceutiche) per esercitare forme di influenza e pressioni su genitori ed insegnanti. I dati USA sono molto allarmanti sia per la quantità delle diagnosi, sia per i danni accertati da assunzione del farmaco (o coktail di farmaci) e, come da copione, quando oltreoceano si rendono conto che è ora di fare marcia indietro, in Italia si parte in quarta in modo acritico. 
A Cagliari circa un anno fa un simposio di ricercatori, bioetici e neuropsichiatri decide alcuni strumenti operativi: un censimento dei centri ADHD, uno studio epidemiologico formale che definisca la prevalenza e l’incidenza dell’ADHD e un registro nazionale dei casi ADHD. Ora che la sperimentazione nelle sei province è ultimata e la commissione di bioetica governativa ha dato parere favorevole alla reintroduzione del Ritalin (in aprile la CUF deciderà le modalità di prescrizione, ma non verrà subito commercializzato), in attesa che meglio pianifichino le modalità tramite le quali vorranno raggiungere i loro obiettivi, potrebbe bastare la segnalazione di un insegnante affinché si bolli un bimbo e lo si renda vittima di una droga sicuramente dannosa per le sue funzioni cerebrali, per la sua crescita e per tutta la sua esistenza. Non è un’affermazione proibizionista: stiamo parlando delle nostre bambine e dei nostri bambini a partire dai 4 anni di età (in alcune città è in distribuzione il questionario nelle scuole materne proprio in queste settimane); e non è nemmeno la negazione sull’esistenza di disagi relazionali tra adulti e bambini: è l’approccio metodologico ed ideologico che va cambiato! Se nella società occidentale non tutti gli individui mostrano un adeguamento passivo ai ritmi pressanti e stressanti, è sviante cercare cause genetiche anziché culturali.
Si inventa una patologia, dichiarando una causa organica che non viene assolutamente dimostrata e si impone una cura psichiatrica. L’Italia è invidiosa del business americano, ma poi personalizza: il Ritalin ha un’efficacia di 4-5 ore, ma ecco in arrivo la Long Acting che basterà assumere una volta al giorno e potrà essere sospesa durante le vacanze scolastiche (parola di Zuddas); ecco svelato l’arcano, a che serve il metilfenidato? Non a curare bimbi ammalati, ma a renderli più gestibili e adatti alla scuola della moderna società liberista.
La riforma Moratti ha ulteriormente ridotto le compresenze di insegnanti, ha aumentato il numero di iscritti nelle classi, ha un’impostazione dei programmi e della didattica basati sull’efficienza e la produttività e non può ammettere distrazioni ed “elementi di disturbo”. Probabilmente non è poi un problema da neuropsichiatri se le crisi d’astinenza da anfetamina saranno gestite nelle celate mura domestiche.
Silvio Garattini (dell’Istituto Mario Negri) in un’intervista pubblicata da “Il Resto del Carlino” il 17 marzo dichiara che la kiddie’s coke in Italia avrà una diffusione personalizzata, che non si verificheranno abusi e non concorda con chi, anche tra pediatri e psicologi, la definisce “pillola dell’obbedienza”.
Non possiamo ancora smentire le “buone intenzioni” di Garattini, Masi, Zuddas e complici vari sulle ipotesi di corrispondenza diagnosi ADHD/cura-metilfenidato, possiamo però denunciare che fin’ora c’è uno stretto connubio di dati tra bambini diagnosticati e quelli ritalinizzati e per il momento può essere confortante che ci siano genitori che abbiano rifiutato di compilare il questionario e di psichiatrizzare i propri figli. Non va dato per scontato che la promozione del Ritalin sia l’unica molla del micidiale giochino, si parla già anche di desimipramina, nortriptilina, atomoxetina, clonidina e poi, anche se venisse superato il binomio diagnosi-cura, rimane nello stesso concetto di questa diagnosi un’ingerenza sulle libertà individuali.
Certo è che può essere gioco facile far leva sui sensi di colpa per convincere altri genitori a “responsabilizzarsi” sulle situazioni patologiche che, di volta in volta, potrebbero inventarsi quei medici che basano la propria missione solo sulla base di interessi economici cospicui. Va poi aggiunto che il tutto si inquadra nella revisione della L.180 che, al di là delle vicende burocratiche parlamentari, prevedrà il TSO anche ai bambini e l’apertura delle SRA, cioè strutture residenziali con assistenza continua, specifiche anche per minori: ghetti che potrebbero essere gestiti, insieme a quelli carcerari e quelli per le tossicodipendenze, da privati… chissà perché mi viene in mente S. Patrignano.
Se la diversità non viene vissuta come arricchimento relazionale dell’intera convivenza sociale, ma come interiorizzazione di una “anormalità” che diventa vera e propria malattia, avremo sempre più una società nella quale non solo ogni disagio relazionale verrà “risolto” in maniera repressiva, ma non si metteranno in discussione parametri, metodi e contesti perché, e cito “1984” di Orwell: “Lo psicoreato non comporta la morte, lo psicoreato è la morte”.
Punto focale rimane la famiglia (ed in particolare le donne come principali responsabili di ogni aspetto educativo) che, rispondendo all’ideologia clerico-fascista, sarà sempre più un apparato di controllo del comportamento e del pensiero affinché si prevenga, o si curi tramite essa, ogni devianza e venga legittimata ogni delega ad organismi competenti e specifici.

Chiara Gazzola


 

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