Fondamentalismi religiosi
I fondamentalismi religiosi, siano essi Cristiani, Musulmani, Indu o altro, meritano di essere esaminati da vicino dagli anarchici poiché sono diventati strumento di controllo politico importante nella scacchiera mondiale negli ultimi anni. Da un punto di vista, molti giornalisti e agitatori pro-guerra non esitarono a definire le guerre in Yugoslavia, Sudan, Cecenia, Palestina/Israele e Afghanistan come “crociate” contro i Musulmani o “jihad” contro Cristiani o Ebrei. Da un altro punto di vista, molte classi lavoratrici religiose sono cadute sotto il falso credo di essere protette dal loro teocratico regime (stato religioso) di appartenenza. Il dibattito sulla supposta natura “rivoluzionaria” di alcuni regimi fondamentalisti religiosi è simile in molti aspetti al dibattito sulla natura “liberatoria” dei movimenti di liberazione nazionale.
Come anarchici, sappiamo che la borghesia elitaria nazionale (che sia atea o comunista), i capitalisti e i fondamentalisti religiosi hanno tutti una cosa in comune: gli interessi della loro classe come padroni di qualcuno o qualcosa, e sfruttatori della classe lavoratrice, dei contadini e dei poveri. La falsa premessa che confonde molti lavoratori è questa: “Il nemico del mio nemico è mio amico”. Come anarchici sappiamo che ciò è una menzogna. Molti rivoluzionari sono fiancheggiati da borghesi e anche da fascisti, che spesso emergono dalla classe lavoratrice in tempi di crisi, ma essi sono solo interessati a usare il potere della classe lavoratrice per acquisire un ruolo di comando su essa. È ovvio, ad esempio, che l’OLP vuole solo stabilire uno stato Palestinese capitalista, con conseguenti Palestinesi schiavizzati per l’arricchimento di Yassir Arafat e dei suo colleghi.
Siamo abituati a vedere in TV immagini di “radicalisti religiosi” che commettono atti di violenza contro l’imperialismo e a volte anche contro obiettivi capitalisti e statali, pertanto è facile confondere radicalismo con rivoluzionarismo. Il semplice gesto di gettare pietre contro i soldati Israeliani (senza togliere quanto coraggiosi e quanto necessari siano tali atti) e di bruciare le bandiere Americane non sono atti rivoluzionari. Un atto rivoluzionario richiede una riflessione più acuta sul pensiero politico libertario, nelle tattiche e nelle strategie, chiarite dall’anarchismo rivoluzionario. Così come è ritenuta la religione, l’anarchismo è una filosofia materialista razionalista. È fondamentalmente atea, sebbene molti anarchici individualisti detengano credenze spirituali personali e sono liberi di farlo. Il modo più facile per chiarire la questione è dire che l’anarchismo è contro la religione organizzata (le organizzazioni politico-economiche chiamate chiese, le moschee e i templi), le gerarchie religiose (preti, imami, rabbini) e contro il misticismo superstizioso, ma non contro la “spiritualità” nel suo senso più ampio: la ricerca di significato per il genere umano. Quindi sebbene la relazione tra lavoratori anarchici rivoluzionari e lavoratori religiosi che combattono per una vita migliore sia complessa (dato l’esempio della guerra Afgana), un esame di una rivoluzione di lavoratori in una terra Musulmana è probabilmente il modo migliore per chiarire la nostra posizione. Sarebbe opportuno pertanto esaminare ciò che accadde durante la Rivoluzione Iraniana del 1978-1979.
L’Iran è un importante campo di analisi anzitutto poiché fino alla rivoluzione, l’Iran era uno dei tre stati chiave pro-Occidente nel Medio Oriente, necessario per sopprimere le richieste dei lavoratori locali e per mantenere basso il prezzo del petrolio (gli altri due sono Israele e l’Arabia Saudita: avendo perso prima l’Iran e poi l’Iraq, gli Stati Uniti chiaramente desideravano l’Afghanistan come suo terzo satellite). In secondo luogo, poiché la rivoluzione, o più correttamente, la contro-rivoluzione clericale Musulmana, era contro gli Arabi, i Curdi e i Persiani. L’Iran rappresentò grande importanza strategica per l’ondata imperialista (specialmente Inglese e Russa, successivamente Americana) se si tiene conto della scoperta di grandi risorse di petrolio nel 1908.
L’industria petrolifera Iraniana concentrò più lavoratori di ogni altra industria nel Medio Oriente – con 31.500 lavoratori nella produzione del petrolio entro il 1940 – ma la maggior parte dei profitti fu destinata all’Inghilterra. L’anno successivo, la Russia e la Gran Bretagna invasero l’Iran e instaurarono uno shah (governatore), ma la militanza lavoratrice stava crescendo. Il Partito Comunista Iraniano era caduto nel 1920, ma nuove organizzazioni divennero una realtà: l’Organizzazione delle Masse di stampo comunista e il Fronte Nazionale. Una risposta da parte dell’esercito dello shah sostenuto dall’Inghilterra pose fine al movimento nel 1940.
Ma nonostante le intense attività della polizia segreta, riemersero cellule militanti di lavoratori e, contemporaneamente, studenti fondamentalisti alleati all’esiliato Ayatollah Khomeini, specialmente durante la rivolta del 1963 e nuovamente nei primi anni del 1970.
Inoltre, la dinastia shah Pahlavi provocò scontento in tutte le classi sociali Iraniane, anche tra la classe intermedia che era per tradizione forte sostenitrice del regime. Nell’Agosto 1977, 50.000 proletari resistettero alla polizia; poi a dicembre la polizia massacrò 40 contestatori religiosi e lo scontento raggiunse il culmine. Attacchi e sabotaggi portarono l’economia a un’inversione di marcia. Lo shah impose la legge marziale e nel “Venerdì Nero”, l’8 Settembre 1978, l’esercitò sparò su migliaia di contestatori. In risposta, lavoratori infuriati provocarono una ondata rivoltosa che investì tutta la nazione. I lavoratori petroliferi scioperarono per 33 giorni di seguito, arrestando l’economia, nonostante la presenza dell’esercito sui posti di lavoro. Nell’11 Dicembre, 2 milioni di contestatori marciarono nella capitale, Tehran, chiedendo la fine del governo dello shah, la fine dell’imperialismo Americano e chiamando alla rivolta la popolazione. L’esercito fu messo in fuga. Nel 16 Gennaio 1979, lo shah fuggì in Egitto. A metà Febbraio, ci fu una insurrezione, a cui presero parte i cadetti dell’aviazione, l’Organizzazione dei Guerriglieri Fedai Iraniani (detti Fedayeen) e i nazionalisti Mujahedeen per prendere possesso delle basi militari, del parlamento, delle fabbriche, delle armerie e delle stazioni TV. Il regime Pahlavi collassò e Khomeini, ritornato dall’esilio, riunì un governo provvisorio multi-partitico, ma il popolo non si accontentò.
Nacquero i movimenti femministi, i contadini cominciarono la divisione delle terre e in alcuni luoghi, stabilirono concili di coltivazione collettiva, organizzarono materie prime, vendite e produzioni e ridefinirono anche i prezzi del petrolio. Un sistema simile a quello dei soviet (chiamati “shora” in Iran e basato sulla vecchia concezione di fabbrica) prese posto in campi, industrie, istituzioni educative e esercito. Comunità militari, chiamate “kohmiteh”, controllavano le aree residenziali, arrestavano i collaboratori governativi, conducevano corti giudiziarie e prigioni, e organizzavano contestazioni. Era una vera rivoluzione dei lavoratori con rivoluzionari e lavoratori Musulmani che sovvertirono lo stato in tutti i suoi aspetti. Il 1° Maggio marciarono a Tehran 1.500.000 dimostranti.
La sede dei quartieri generali della polizia segreta che controllava la federazione ufficiale del commercio era stata occupata dai disoccupati e rinominata la Casa dei Lavoratori. La nuova federazione lavorativa, che prese il posto del vecchio stato, l’“Unione Di Tutti i Lavoratori Iraniani”, dichiarò che il suo obiettivo era un Iran “libero dall’oppressione di classe” e “formato dai lavoratori di ogni fabbrica secondo i propri bisogni politici ed economici”. Ma i chierici fondamentalisti religiosi controllati da Khomeini erano spaventati dal potere della classe lavorativa e minacciati dallo spettro dell’imminente collasso del capitalismo Iraniano. In tal caso non avrebbero potuto riunirsi come classe elitaria al posto dello shah e non ci sarebbero stati profitti da estirpare ai lavoratori. Tre giorni dopo l’insurrezione, il governo provvisorio richiamò i lavoratori nuovamente sui posti di lavoro; i movimenti ignorarono il richiamo.
Un mese dopo, il governo dichiarò gli shora “contro-rivoluzionari”, definendo “vera Rivoluzione Islamica” il loro regime burocratico di pochi elementi. Gli shoras ignorarono ciò, quindi il regime introdusse una legge che bandiva gli shora da affari di commercio, allo stesso tempo cercando di introdurre un governo negli shora. Il Fronte Nazionale, i Fedayeen e i Mujahedeen seguirono il governo provvisorio erroneamente credendo che una borghesia clericale Iraniana fosse meglio della dinastia imperialista Pahlavi. Khomeini fondò il fondamentalista Partito Repubblicano Iraniano (IRP) per espellere gli altri partiti al di fuori del governo provvisorio e allo stesso tempo istituì le Guardie Rivoluzionarie (Pasdaran), un esercito politico per isolare i rivoluzionari rimasti nel movimento. Il Pasdaran represse gli shora, chiuse i comitati e represse i separatisti Curdi e le organizzazioni femministe, mentre il Partito di Dio (hezbollah) fu creato per completare il regime. L’IRP creò anche un progetto di lavori pubblici per unire le energie dei militanti degli shora, ponendo al loro posto shora fondamentalisti e Società Islamiche, affinché si ricostruisse l’economia capitalista (reprimendo slogan per il popolo o anti-capitalisti come in tutte le dittature fasciste). La vera rivoluzione dei lavoratori fu distrutta e per la classe lavorativa Iraniana, Secolare o Musulmana, era cominciato un altro regime autocratico. Il regime fondamentalista clericale non li aveva liberati: aveva solo prodotto nuove forme di capitalismo e di repressione poliziesca di stato. La lezione Iraniana è fondamentale per gli anarchici: i lavoratori non possono credere in gruppi, religiosi o no, che rivendichino il diritto alla rivoluzione ma solo in quelli il cui vero obiettivo è la lotta di classe.
Michael Schmidt – Bikisha Media Collective
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