Le feste comandate
Chiesa, stato e capitale impacchettano la vita dei singoli e delle comunità in sfere di competenza, sospese in scambievole palleggiamento continuo, ben demarcato da linee di campo, a difesa delle regole dell’ordine stabilito. La gestione globale del tempo quotidiano è uno dei perversi effetti del gioco normativo che ritualizza ritmi e funzioni fisiologiche compreso il bisogno di licenziosità, di svago e di tregua dalla lotta quotidiana per il pane e, in ossequio a ciò, fanno a noi tutti . . . la festa.
Processioni, parate militari, pubblicità di prodotti da consumo momentaneo fanno parte dei riti, puntuali nella periodicità di stabilite date simboliche, con cui le suddette istituzioni sistemano la funzione sociale delle feste. Le feste religiose, le feste civili e le profane sono state sempre esperite, nella storia delle tradizioni popolari, come momenti salienti di ribaltamento dell’ordinario, di sospensione delle abituali norme, talora anche di esaltazione estatica che coinvolge una data comunità. Al giorno d’oggi la percezione della giornata festiva ha acquisito, presso la gente di cultura occidentale, nuove valenze, legate essenzialmente al bisogno psico-fisico di stare lontani dal lavoro coatto; si è persa una certa dimensione naturalistica della gioiosa esperienza festiva. Oggi si ha l’opportunità di vivere più vaste esperienze, pertanto si può avere il privilegio, nei bei giorni di festa, di partecipare a coreografici incolonnamenti d’auto su strade infocate da soli cocenti oppure a succosi incollamenti televisivi di massa a mirare i divi di turno, che piacevolmente accompagnano l’uggiosa elaborazione post-prandiale; tutte manifestazioni festaiole concesse a patto di un sollecito e sobrio ritorno, nell’inevitabile giorno dopo, all’ordinaria dimensione sociale.
Il bisogno di festa ha tante espressioni positive che esaltano valenze di affermazione individuale quale lo sviluppo del comportamento esplorativo e della creatività e di affermazione comunitaria come la libertà di fare ciò che, ordinariamente, è proibito, cementare il senso solidaristico di comunità o il rapporto con i ritmi della natura. Ma un paradosso oscura l’esperienza di libertà e di gioiosità che la festa suggerisce. Le feste istituzionalmente decretate hanno, da sempre, esercitato un importante controllo sociale, funzionando da valvole di sicurezza, di fuga controllata del vapore delle folle. A Carnevale, quando ogni scherzo vale, c’è ribaltamento di ruoli, s’infrangono divieti e con il mascheramento si tenta di liberare risentimenti e frustrazioni, ma conclusa la festa, sfogato il disagio, si ritorna repentinamente all’ordinaria linea di condotta; l’illusoria sospensione dell’abituale ha in realtà la funzione di irrigidire le norme sociali e l’esistente.
“Abbassare ciò che è in alto ed innalzare ciò che è in basso, riafferma, in realtà, il principio gerarchico” ha affermato qualcuno. Le feste a sfondo religioso, con le cerimonie e i riti propri, drammaticamente, hanno, da sempre, svolto la funzione accomodante di distogliere la gente dai problemi della realtà sociale e di indirizzarli all’asservimento al potere costituito.
Nell’epoca attuale, quindi, l’originario significato della festa ha subito profondi mutamenti, ed ha assunto essenzialmente la dimensione della “vacanza”, cioè un periodo vuoto, lontano dal lavoro. Ma i poteri, politico ed economico, non terminano certo la funzione coercitiva e i condizionamenti delle libertà individuali. Suggestiva è l’impronta spiccatamente militarista offerta dal governo italiano nella recente ricorrenza civile del 2 giugno. Una parata militare composta da 6000 militari e da 400 mezzi ha celebrato, in piena esaltazione patriottica, con tanto di mano piatta sul petto, labbro tremulo e sguardo commosso rivolto alla bandiera tricolore, un evento di enorme importanza per le popolazioni di lingua italiana, la nascita della Repubblica e l’abolizione della monarchia, manipolato per esaltare le virtù guerresche del popolo italiota ed onorare i caduti per la patria, acquisiti agli atti quest’ultimi, con soddisfazione mercantile, dai mandanti. È la minestra condita alla conclusione della quale c’è stato l’incitamento a consolidare la concordia sociale. Dalla stessa sordida e cupa atmosfera è venuta fuori la recente berlusconata sull’opportunità di abolire alcune festività per incrementare la produttività del paese, con chiaro riferimento al venticinque aprile e al primo maggio, perché feste civili non riconosciute degne di essere celebrate dall’attuale governo, in quanto espressioni di sentimenti politici che i fascisti non possono assolutamente comprendere. È manifesta, con maggiore arroganza, la voglia di certa classe dirigente di imporre, ai lavoratori dipendenti, ulteriori restrizioni nella libertà di scelta delle vacanze dal lavoro, mentre, per loro, è riservata massima libertà di movimento e di espressione vacanziera.
Rivendichiamo, pertanto, libertà di scelta dei tempi e dei modi di fare festa. Esaltiamo la libertà permanente dal lavoro coatto. Esaltiamo la nostra voglia di libertà!
ARo
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