I TRIPS e le piante alimentari
Pochi sanno (perché se ne parla poco e male) che l'uso delle piante medicinali o delle piante alimentari da parte dei popoli "di natura" viene oggi seriamente minacciato dall'accordo, all'interno del WTO (World Trade Organization) sui Diritti di Proprietà Intellettuale (Ipr). Gli accordi sono definiti TRIPS (Trade Related Intellectual Property) e riguardano l'estensione su scala planetaria di un'invenzione prettamente americana: il brevetto, con i relativi diritti legali e commerciali (la cosiddetta "proprietà intellettuale"). Un ufficio brevetti (Patent Office) negli U.S.A. esisteva già nel 1839, ma è solo nel 1980, con la sentenza Chakrabarty della Corte Suprema americana, che si è arrivati a brevettare un organismo vivente. Da allora, la rincorsa alle biotecnologie è stata praticamente inarrestabile e ha coinvolto anche i paesi europei, che hanno subito emanato una direttiva per la brevettabilità delle invenzioni biotecnologiche (98/44).
Un tipico esempio degli effetti nefasti della privatizzazione di un certo know-how biologico sull'economia dei popoli del Terzo Mondo è rappresentato dai semi Terminator prodotti dalla Monsanto, caratterizzati dalla non-riproducibilità naturale: i contadini sono costretti a ricomprare ogni anno le sementi dalla multinazionale americana, indebitandosi gravemente e arrivando spesso a dovere vendere le proprie terre.
Per quanto riguarda le piante medicinali, la situazione non è certamente migliore. Poco importa, infatti, alle compagnie americane se i popoli ricchi in biodiversità hanno da sempre conosciuto e praticato le proprietà benefiche di una certa specie vegetale (o animale), insieme ai procedimenti di estrazione e preparazione. Basta che una multinazionale delle biotecnologie sguinzagli un suo bio-prospector sulle orme del rimedio tradizionale, allettando fraudolentemente la popolazione locale con promesse di facili guadagni (che non verranno mai), perché lo sciamano di turno ceda le proprie conoscenze in merito all'estrazione, alla preparazione o all'assunzione di un determinato fitoterapico. Da quel momento, il gioco è fatto: basta far registrare il brevetto (che per gli accordi WTO ha una validità di 20 anni) e le popolazione indigene dovranno pagare salate royalties alle aziende per la produzione e commercializzazione di quello stesso prodotto che i loro antenati usavano già da tempi immemorabili. A nulla varranno i tentativi dei rispettivi Stati di bloccare con leggi nazionali tale "libero" investimento di un'azienda straniera: se denunciati al WTO, questi Stati saranno passibili di sanzioni economiche consistenti, per avere ostacolato il rispetto della proprietà intellettuale.
Facciamo qualche esempio. Nel 1997 il Parlamento thailandese approva una legge per la tutela del patrimonio farmacologico tradizionale di fronte all'aggressività delle multinazionali straniere. La legge prevede un albo dei guaritori e dei rimedi naturali anche a base di erbe, in modo da mettere le compagnie di fronte al fatto compiuto di una registrazione con validità legale precedente a ogni forma di brevetto. Tale legge si era resa necessaria in Thailandia, vista la precedente controversia con una società giapponese che aveva brevettato l'uso del plao noi, pianta con proprietà anti-ulcerative. Appena presentata la proposta di legge, il Dipartimento di Stato degli U.S.A. manda una lettera di protesta con richiesta di spiegazioni al governo Thailandese su presunte violazioni dei Trips. Nel maggio 1997, una lettera di risposta da parte di numerose Ong ambientaliste è indirizzata a M. Albright per difendere il diritto dei Thailandesi a tutelarsi dall'ingerenza americana. A tutt'oggi, la legge continua il suo iter in Parlamento, nonostante le minacce degli U.S.A. di ricorrere alle sanzioni del WTO. Un altro esempio può essere quello dell'albero indiano detto neem, conosciuto sin dai tempi più antichi per le sue proprietà curative di acne e ulcere e usato tra l'altro per la pulizia dei denti e come pesticida biologico. Presso le comunità indiane, questa pianta è conosciuta col nome significativo di "farmacia del villaggio": le si riconoscono proprietà antipiretiche, antielmintiche, antisettiche, astringenti, anti-infiammatorie e tonico-amare. I procedimenti di estrazione e preparazione sono piuttosto complessi, ma alla società americana W. R. Grace Company nel 1971 è bastato modificare leggermente tali procedimenti per ottenere l'esclusiva su di un pesticida ricavato dal neem. In effetti, la modificazione introdotta dalla compagnia è minima rispetto alle tecniche indigene e per questo motivo più di 200 Ong hanno intrapreso nel 1995 una campagna per difendere i diritti degli Indiani a usare l'albero senza pagare. E' prevedibile che la W. R. Grace farà appello agli organismi del WTO per denunciare l'opposizione delle popolazioni autoctone dell'India a quello che essa considera un suo sacrosanto diritto.
Il tentativo di appropriarsi delle risorse biologiche di altri paesi ha portato alcuni a parlare di vera e propria "biopirateria". Tale furto legalizzato dal WTO ha come base l'evidente sproporzione tra la ricchezza di specie dei paesi del Sudamerica, dell'Africa e dell'Asia e la povertà dei paesi occidentali. La maggior parte delle piante agronomiche e medicinali di una certa importanza, infatti, sono state storicamente importate negli U.S.A., data la sua endemica scarsezza di risorse biologiche autonome (il solo girasole è una specie autoctona di una certa rilevanza).
Già negli anni '90 del secolo scorso, quasi la metà dei farmaci convenzionali prodotti in Occidente erano derivati da sostanze naturali o dai loro derivati sintetici. Senza calcolare i rimedi cosiddetti non-convenzionali, una recente ricerca negli U.S.A. ha dimostrato che il 100% dei medicinali dermatologici, il 76 % di quelli per problemi respiratori e allergici, il 76% degli antibiotici e il 75% dei generici e degli analgesici derivano da sostanze naturali, in maniera diretta o indiretta. Per citare solo alcuni dei fronti della ricerca farmacologica contemporanea nei paesi suddetti ad opera delle multinazionali, basti pensare ad anti-coagulanti come l'Hirudin e il Refludan ricavati da alcune specie di sanguisughe esotiche; alla draculina ricavato da alcune varietà di pipistrello africano; a ipotensivi come il tirofiban derivante dal veleno di una vipera asiatica e al bradykinin, ricavato dalla vipera brasiliana detta Jararacussu; a potenti analgesici come l'epibatidina e l'ABT-594, derivati dalle rane colombiane o al ziconotide ricavato da un gasteropode delle Filippine, entrambi parecchie volte più potenti della morfina; ad alcuni tipi di anestetico prodotti a partire dal curaro; al farmaco anti-HIV NIM811, realizzato coi principi attivi del fungo esotico Cordyceps (una cui varietà scandinava produce anche la ciclosporina); alla chinidina, potente antiaritmico derivante dalla Conchona (la pianta del chinino antimalarico). Tutti questi medicinali sono registrati regolarmente come brevetti cui corrispondono diritti legali e commerciali, senza che alle popolazioni native sia giunta se non una parte irrisoria (nel migliore dei casi) dei profitti realizzati dalle multinazionali. I fenomeni di "biopirateria" sono aggravati dalla facilità o dall'ingenuità con cui sciamani e curanderos cedono i segreti curativi della natura, in un'ottica di condivisione con l'uomo bianco dei benefici della stessa. Di fronte a questo scempio, le Ong e i movimenti no-global stanno lentamente assumendo consapevolezza e stanno organizzando campagne di informazione e boicottaggio
Aspetti problematici di tale lotta sono anche i costi proibitivi dei brevetti: da una ricerca recente, pare che per brevettare l'uso di una pianta medicinale della Namibia in 52 paesi ci vorrebbero circa 500.000 dollari annui, più le eventuali spese di copertura legale per difendere i diritti in tribunale. Si tratta, naturalmente, di costi esorbitanti per le comunità povere di quel paese.
In un momento storico in cui la biodiversità del pianeta è seriamente minacciata, come anche la sopravvivenza dei popoli "di natura" che conoscono i rimedi terapeutici della foresta, le multinazionali cercano di appropriarsi di quello che resta delle risorse biologiche di paesi già sfruttati economicamente. Il loro obiettivo è estendere il controllo totale dell'economia sulla materia vivente, rendendola, come i semi della Monsanto, una cosa morta, inerte, una mera merce tra tante altre. A nostro avviso, è compito preciso di ogni persona seriamente interessata a un uso rispettoso e il più possibile sociale delle risorse del mondo naturale denunciare e contrastare in ogni modo possibile questa tipica barbarie del XXI secolo.
Marco Nieli
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